Il ministro Profumo non ha parlato solo di ora di religione.
Cronaca di un ritardo nell'Istruzione che facciamo finta di non vedere

L'amnesia geografica che affligge la scuola

Da oggi sino al 5 ottobre 2012 si terrà a Macerata il 55° Convegno Nazionale dell'AIIG (Associazione Italiana Insegnanti di Geografia) che ha come tema "Le Marche nella macroregione Adriatico-Ionica". Pubblichiamo l'intervento di Ilvo Diamanti

Ilvo Diamanti la Repubblica, 27.9.2012

Francesco Profumo, ministro dell'Istruzione e dell'Università, ha suscitato grandi polemiche, nei giorni scorsi. Oltre le proprie intenzioni, ritengo. In effetti, si è limitato a sollecitare - e prefigurare - il "cambiamento" della programmazione scolastica in relazione al "cambiamento" sociale. In particolare: al cambiamento demografico. Visto che l'immigrazione ha mutato la popolazione scolastica in modo rapido e profondo. E oggi vi sono zone dove oltre metà degli studenti delle scuole elementari e medie proviene da paesi stranieri. Per cui - ha detto (ragionevolmente) il ministro - occorre modificare il modo di insegnare. In particolar modo la religione e la geografia. La religione. In Italia, significa, semplicemente, religione "cattolica". Il ministro ha annunciato di volerla adeguare, facendone un'ora di "storia delle religioni" oppure di "etica". Il ministro ha, inoltre, sottolineato la necessità di modificare anche l'insegnamento della Geografia. Che, secondo Profumo, si dovrebbe studiare ascoltando le testimonianze di chi proviene da altri Paesi. Visto che già oggi gli studenti apprendono la disciplina "Non dai libri ma dai compagni che raccontano le loro città e i loro costumi''. A differenza di quel che è avvenuto per la Religione, nessuno ha sollevato polemiche a questo proposito.

Non perché il tempo previsto per la Geografia, nella scuola, oggi, sia sprecato. Ma perché, semplicemente, è pressoché sparito. Visto che la riforma Gelmini del 2010 ne ha ridotto sostanziosamente le ore di Geografia, nel biennio dei Licei e, ancor più, negli Istituti Tecnici. Mentre l'ha fatta scomparire da quelli Professionali. Senza grande scandalo negli ambienti politici ma neppure tra gli intellettuali. Se ne sono accorti solo gli addetti ai lavori - coinvolti. Cioè: i professori e gli insegnanti della disciplina. Le parole del ministro sull'insegnamento della Geografia, dunque, non hanno provocato alcuna reazione semplicemente perché, ai più, era sfuggito che questa materia esistesse ancora, nei programmi scolastici. D'altronde, il territorio stesso sta scomparendo ai nostri occhi. Inghiottito dalla metastasi immobiliare di cui soffre il nostro mondo. Ma, prima ancora, è scomparso il senso delle distanze e dei confini. Dei percorsi e degli itinerari. Ormai, chi organizza più i propri viaggi e i propri spostamenti su mappe e carte? Ci pensa il GPS a guidare e a guidarci. Un passo dopo l'altro. Basta avere un navigatore satellitare oppure uno smartphone.

Magari non è aggiornato e ci spinge su percorsi vietati o inesistenti. Oppure ci fa fare più strada del necessario. O ancora, ci conduce in luoghi immaginari. Però, vuoi mettere il piacere di non pensare? Di non avere il problema di cercare? di organizzare e comprendere lo spazio? D'altronde, lo spazio è ormai privo di territorio. Tutto è qui, accanto a me. Con me. Il "dove" è "dovunque" e "nello stesso luogo". Al tempo stesso. E Nello stesso tempo. Basta utilizzare un cellulare, uno smartphone un tablet. E parli con chiunque - dovunque esso si trovi. Migliaia di kilometri o pochi centimetri: fa lo stesso. Con Skype, l'altro è davanti a te. Lo puoi guardare, parlargli. Anche se è al di là dell'oceano. I media, poi, ti informano a flusso continuo. Su tutto ciò che capita. Dappertutto. In luoghi e in Paesi di cui non supponevi l'esistenza. (Senza che ciò ti impedisse di vivere...) Così tutto avviene e tu sai tutto. O forse no. Perché se perdi il senso delle distanze e dei luoghi, allora tutto diventa, al tempo stesso, vicino e lontano. Lontano e vicino. Aleppo e Bengasi. La Cina e la Tunisia. Il Sud Sudan e l'Emilia. È lo stesso. Così la Libia. A un passo dalle nostre coste. Da noi. Appare lontanissima. Le sue vicende: come non ci riguardassero.

Avanza così uno strano "individuo". Sempre più "solo". Perché senza luogo né spazio si indebolisce la possibilità di "con-dividere". Di incontrarsi con gli altri. Un uomo senza tempo. Perché senza una mappa, dove delineare i confini. Dove seguire e riprodurre i cambiamenti, rapidi e profondi, del limes e del finis. I Confini. In nome dei quali si coltivano identità antiche e nuove, radicate e immaginarie. Si combattono guerre e si compiono attentati. Come puoi orientarti, metterti in rapporto con gli altri? Come puoi ricostruire il passato e immaginare il futuro? Perché non c'è storia senza geografia. E viceversa. D'altronde, anche la Storia non se la passa molto bene, nella Scuola italiana. Associata alla Geografia, nei programmi. Eppure distinta da essa. Come altri "terreni" disciplinari. Perché nella nostra scuola si ignorano la Geo-politica e la Geo-economia. Ma anche, a maggior ragione, la Geo-storia.

L'amnesia geografica della nostra scuola e della nostra società ci priva, necessariamente, anche della storia. Perché non può esserci storia - né economia né politica - in una società senza memoria. Senza mappe. Senza confini. Senza territorio. Così, in questo Paese, dove si polemizza perché "non c'è più religione", avanza, nel silenzio, un "uomo sospeso". Senza spazio e senza tempo. Senza dove e senza quando. A-polide e a-storico.

Per questo ha ragione il ministro Profumo, sulla geografia nella Scuola. Oggi gli studenti apprendono la disciplina non dai libri ma dai compagni (di diversa provenienza) che raccontano le loro città e i loro costumi. Ma occorre che gli anche studenti di origine e provenienza atraniera sappiano da dove vengono e dove vivono oggi. Che comprendano perché essi, i loro genitori, se ne sono andati dai paesi di origine. Come i nostri nonni e bisnonni, tanti decenni fa. Emigrati lontano. Spinti dalla necessità economica, dalle guerre. O dal desiderio di migliorare la condizione propria e dei propri figli. Senza una storia e una geografia di "lunga durata": educare i giovani e integrare i "nuovi italiani", non mi sembra possibile.