Richiesta di riconoscimento ufficiale
dell’orario di servizio dei docenti,
con corrispondente retribuzione

lettera di Roberto Zanrè* 26.10.2012

Ai docenti della scuola italiana

Ai genitori

Agli studenti

Oggetto:
Impossibilità dell’aumento dell’orario di lezione frontale dei docenti della scuola da 18 a 24 ore settimanali. Richiesta di riconoscimento ufficiale dell’orario di servizio complessivo dei docenti, con corrispondente retribuzione
.

Cari Colleghi,

mi rivolgo a Voi pubblicamente, immaginando di essere letto da tutte le persone interessate, più o meno direttamente, alla scuola pubblica e dunque al contempo mi rivolgo anche alle famiglie e agli studenti.
Non ripeterò i concetti già ampiamente esposti nei numerosi interventi di colleghi e opinionisti che precedono questa mia pubblicazione e dei quali si trova abbondante presenza nel web e nei media.

Il motivo che mi spinge a dare il mio contributo al dibattito è che penso sia arrivata l’ora per noi docenti di condividere gli obiettivi e i significati della scuola con la società in cui viviamo e operiamo.
Senza condivisione di questi obiettivi e di questi significati, rischiamo di parlare di oggetti diversi e pertanto di compromettere la corretta comunicazione tra chi offre questo servizio e chi ne usufruisce. Stiamo parlando di uno dei servizi fondamentali che caratterizzano le società evolute: la formazione strutturata e qualificata delle nuove generazioni.

La conseguenza di questo errore di comunicazione è quella di lasciare il campo aperto a misconcezioni e pregiudizi – così facilmente indotti da forze che hanno interesse a screditare la scuola – che troppo facilmente si diffondono attraverso slogan superficiali che colpiscono gli sguardi spesso distratti dell'opinione pubblica e che vanno a strutturare quest’ultima facendo leva su elementi irrazionali. Innanzitutto è arrivata l’ora di dire ai cittadini con chiarezza che la scuola pubblica, oltre ad essere un complesso servizio alla società, frutto di grandi intuizioni e conquiste, rappresenta un processo storico che si sta svolgendo in Italia da circa 150 anni.

Questo processo – cui hanno contribuito milioni di figure e tra queste i docenti che si sono via via succeduti – ha richiesto enormi investimenti e la mobilitazione di ingenti risorse e, nel bene e nel male, ha restituito alla società italiana i mezzi culturali complessivi per la sua crescita, per la sua modernizzazione e innovazione, per la sua ricchezza, per la sua salute, per il suo benestare. Ha fornito alla società un patrimonio integrato di beni. Tutti beni – non dovrebbe essere dimenticato o dato per scontato – che sono capillarmente diffusi e a cui tutti hanno potuto singolarmente accedere.

E’ necessario dunque dire tutte queste cose insieme, in modo logico e coerente, perché non ci è più permesso di essere solo distrattamente consapevoli di questo.
Non possiamo più agire, pertanto, la nostra professionalità come se il nostro operare fosse scontato. Non possiamo più comportarci come se fossimo solo dei semplici quadri o burocrati più o meno bravi. Noi siamo gli “addetti ai lavori”, noi siamo i portatori fondamentali della professione su cui si basa l’esercizio di questo diritto fondamentale, con grande fatica concepito e conquistato. Non possiamo più essere indifferenti al quadro sociale nel quale ci troviamo ad operare, con grande dispendio di energie personali, senza riconoscimenti per questo nostro fondamentale contributo alla crescita della società.

Il mondo della scuola, oltretutto, si è trasformato e si è ampliato, negli obiettivi, nelle procedure, nei significati, assieme alla società che ha contribuito a far crescere. E’ diventato molto più complesso e articolato, più efficace, più trasparente, più qualificato, più inclusivo e integrante e molte altre cose ancora e tutti questi aspetti imprescindibili hanno elevato i costi di questo servizio primario. Data la sua “preziosità”, tuttavia, dovrebbe essere inaccettabile per ogni cittadino che si consenta di svilirlo o distruggerlo. Un oggetto prezioso per la società andrebbe riconosciuto, custodito e valorizzato da tutti i componenti di questa società.

Non possiamo pertanto più accettare che questo enorme sforzo sociale e questo fondamentale servizio sia percepito ancora come cento e più anni fa, quando la società ancora si interrogava sul senso di un’educazione pubblica. Oggi questo senso dovrebbe essere completamente acquisito e andrebbe sostenuto a qualsiasi costo.

E’ ora di dire dunque cosa rappresenta la nostra opera formativa e la sua importanza fondamentale, a molti livelli, siano questi individuali o sociali. Spieghiamo umilmente quello che per noi è ovvio, ma che sembra apparire poco comprensibile ai molti, a causa anche di una percezione avvelenata da ripetute e continue campagne mediatiche. Spieghiamo umilmente come, dal punto di vista individuale, la scuola permetta l’elevazione morale, culturale, economica dei singoli cittadini. Spieghiamo come, dal punto di vista sociale, essa permetta ad una società di diventare benestante, permettendo la condivisione di un tessuto culturale sul quale innestare la crescita della società stessa, l’innovazione delle idee e delle procedure, elementi importantissimi della nostra vita in una società evoluta.

Questi significati, qui solo accennati, purtroppo non sono condivisi dal nostro tessuto sociale ed è grave che non sia chiaro ai molti cosa possa significare vivere senza una scuola pubblica o con una scuola pubblica che non eserciti in modo pieno le proprie funzioni. Eppure sarebbe possibile immaginare le conseguenze, per esempio guardando al nostro passato o guardando alle realtà odierne nelle quali la scuola pubblica non ha ancora potuto esercitare la sua feconda influenza (esempio i paesi nei quali non esiste un sistema pubblico di istruzione e nei quali il benessere non è diffuso ma molto elitario).

Non possiamo, infine, nemmeno ignorare quanto sia ancora difficile nel nostro paese far maturare nelle persone un sincero interesse per la cultura e per la formazione. Non aver ancora creato questa percezione in modo diffuso costituisce senz’altro uno dei problemi di base del nostro paese e non a caso paghiamo questa mancata consapevolezza in termini di mancata crescita e difficoltà verso il futuro. Un problema per il quale la stessa scuola pubblica ha le proprie responsabilità.

Non possiamo più accettare che si perpetui lo stereotipo dell’insegnante come un professionista a tempo parziale. Non possiamo a maggior ragione tollerare che sia proprio il Ministro della Pubblica Istruzione della nostra repubblica a rilasciare messaggi che riproducano i soliti pregiudizi su una delle professioni più importanti in una società moderna e civile. Allo stesso modo non possiamo più accettare che si svilisca ulteriormente la rilevanza sociale della professione docente.

Ci appare inoltre inverosimile che sia proprio il Ministro della Pubblica Istruzione ad ignorare il fatto, facilmente dimostrabile e intuibile, che per fare 18 ore di cattedra ne siano necessarie almeno altrettante per la preparazione delle lezioni e per la correzione di verifiche. Non è credibile che sia proprio il Ministro della Pubblica Istruzione ad ignorare che, a questa già onerosa attività, è necessario aggiungere il tempo per le attività collegiali e per il rapporto con i genitori (quasi un centinaio di ore annuali). Speriamo, infine, che esita la consapevolezza del tempo necessario per la preparazione professionale (non quantificabile e finora a costo zero per lo stato).

Eppure sembra che sulla carta si sprechino le dichiarazioni altisonanti sulla necessità di elevare la qualità dell’apprendimento e sulla costruzione di ambienti di apprendimento efficaci e rispondenti ai bisogni di una società moderna. Addirittura si parla da più di un decennio di didattica individualizzata, per non parlare dell’integrazione scolastica degli studenti con disabilità.

Tutto questo viene richiesto dai nostri burocrati. Essi dimostrano però di non possedere la minima competenza su questi concetti. Essi si sentono liberi di assumere decisioni unilaterali, offensive e di un livello inqualificabile. Da molti anni è diventato evidente come si stia cercando di far quadrare un cerchio, rilasciando a più riprese proposte schizofreniche e contraddittorie.

Spieghiamo e chiediamo, pertanto, ai genitori – quegli stessi che chiedono, giustamente, da un lato che il loro figlio riceva adeguata e significativa attenzione da docenti preparati e motivati, e dall’altro appoggiano la demagogica politica di svilimento della professione docente – se a loro appaia ragionevolmente possibile insegnare a trecento e più studenti (è questo che comporterebbe in molti casi l’aumento delle ore di cattedra frontale). Chiediamo se questo appaia, anche a uno sguardo superficiale, compatibile con le giuste istanze di considerare i loro figli anche solo degli individui e non dei numeri. Chiediamo se sia possibile che tutto questo si possa umanamente e professionalmente fare, cercando oltretutto di creare ambienti di apprendimento diversificati, individualizzati, efficaci, coerenti. Tutti concetti e valori che solo un docente serio e professionale ha a cuore, ma che la politica e la società sembrano ignorare del tutto. E, infine, chiediamo se sia possibile esercitare un processo di valutazione pertinente e trasparente a più di trecento studenti. La valutazione, ricordiamo pure anche questo – corretta, efficace e trasparente –, costituisce uno dei diritti fondamentali dello studente.

A noi addetti ai lavori è chiaro come la differenza tra realtà e dichiarazioni altisonanti sia diventata patologica. E’ giunta l’ora che queste verità diventino trasparenti e riconosciute da tutti.
Non dobbiamo temere di fare riflettere sul fatto che la cultura e l’apprendimento sono oggetti delicati, che si perseguono con calma e persino con perdita di tempo, utilizzando cioè il tempo per scambiare i contenuti in modo significativo e ridondante. Il tutto sarebbe dunque ben lontano dalla diffusa corsa all’efficientismo e alla quantità.

Ho l’impressione, infine, che molti non si rendano conto che un docente non potrà mai essere l’essere umano perfetto e non potrà senz’altro agire come un robot. Nemmeno il docente più bravo e dedito alla sua professione. Ammesso che un robot, oltre alla capacità di gestione di un numero considerevole di oggetti (che in questo caso sarebbero però delle persone) possa essere in grado di fare tutte quelle cose che sono di pertinenza di una mente umana competente.

Interroghiamo i nostri interlocutori sul fatto se ritengano efficace far lavorare malissimo i docenti che esercitano bene la loro professione allo scopo, non raggiungibile con queste proposte, di far lavorare di più i docenti che non la esercitano bene e se non siano invece altre le strade da seguire.

Per questo, cari colleghi, è giunta l’ora per noi di uscire dalle nostre aule e dal nostro rapporto preferenziale con gli studenti – che ci obbliga moralmente a fornire la nostra professione gratuitamente – e chiedere il riconoscimento che ci spetta per quello che diamo alla collettività.

Il ministro ha voluto esercitare l’ultimo meschino svilimento della nostra professionalità. Ebbene, facciamo vedere che questa è l’ultima volta. Chiediamo, forte e chiaro, che ci venga riconosciuto tutto il tempo nascosto che dobbiamo dedicare all’esercizio di qualità della nostra professione.
Chiediamo, noi per primi, di poter lavorare ufficialmente e in modo trasparente – non solo ufficiosamente – le ore necessarie a svolgere la nostra professione. A fronte di questa ulteriore provocazione e offesa, dobbiamo essere noi a chiedere che ci vengano riconosciute non 24 bensì 36 ore settimanali (delle quali 18 in aula, perché non materialmente e qualitativamente possibile farne di più). Sappiamo bene che non saranno ancora sufficienti a svolgere il nostro lavoro in modo completo. Diciamo che desideriamo per primi che venga riconosciuto ufficialmente il nostro lavoro, e che non è più possibile accettare di svolgerlo gratuitamente, senza la conseguente retribuzione. Per esempio, la retribuzione riconosciuta a tutti i colleghi europei, nei paesi civili.

Diciamolo forte e chiaro che non vediamo l’ora che ciò accada.

 

* Prof. Roberto Zanrè Docente di Chimica
(I.I.S. “Canova” – Vicenza)