Scuola

Se i 100 e lode dicono come
cambiare l'esame di Stato

di Daniela Notarbartolo il Sussidiario 2.10.2012

Il ministero ha reso noti i dati relativi agli esiti dell’esame di Stato del II ciclo, altrimenti noto come esame di maturità. La stampa ha dato vasta eco ai dati, con tabelle e grafici di riferimento: aumentano i licenziati, i punteggi si distribuiscono più che in passato sulla fascia medio-alta sfoltendo le due code (i 60 e i 100), calano notevolmente i 100 con lode. La pubblicazione dei voti dell’esame di maturità non è una di quelle notizie che si aspettano con ansia. Se c’è una cosa che è diventata sempre più chiara in questi ultimi anni è lo scarso valore informativo dei voti scolastici, sia per la loro opacità (non corrispondono a capacità univocamente descrivibili), sia per la loro scarsa attendibilità (all’otto possono corrispondere performance molto diverse non solo da scuola a scuola, ma persino da sezione a sezione). Ragionare quindi su una entità così poco determinata ha per me qualcosa di inquietante. Non si potrebbe certo dire che i ragazzi siano diventati meno bravi analizzando il variare verso il basso dei voti in uscita, e questo per motivi molto precisi.

Innanzitutto le prove d’esame hanno un carattere di standardizzazione quasi nullo, se consideriamo anche solo un aspetto molto parziale: la prova di matematica del liceo scientifico (!) non ha una sua griglia per l’attribuzione del punteggio condivisa a livello nazionale, tanto che lo stesso voto può essere assegnato a compiti totalmente diversi. Inoltre, come hanno ben mostrato i diversi Rapporti Invalsi sulla prima prova scritta (il compito di italiano), i voti assegnati dalle commissioni d’esame non sono espressione in maniera diretta delle capacità di scrivere dei ragazzi, ma sono molto più significativamente correlati al credito scolastico, tanto che compiti anche molto scadenti sotto diversi punti di vista (ideativo, lessicale ecc.) vengono valutati positivamente. Del resto, le quattro tipologie dello scritto di italiano presentano un grado di difficoltà molto variabile: è difficile sostenere che si equivalgano voti uguali dati su consegne molto differenti: articolare un saggio breve dal punto di vista logico-argomentativo ha una complessità diversa dal seguire diligentemente la traccia già strutturata dell’analisi testuale.

Infine, il “meglio” e il “peggio” in questo contesto sono concetti assai vaghi. Come è noto, uno dei problemi tecnici che lo stesso Invalsi sta affrontando, ma sulle ben più solide prove standardizzate, è l’ancoraggio fra loro di prove lontane nel tempo, specialmente della Prova Nazionale nell’esame di III secondaria di I grado da un anno scolastico all’altro, in modo da tenere sotto controllo il suo grado di difficoltà. Per il calcolo del valore aggiunto (la crescita nel tempo degli apprendimenti) è necessario mettere a punto oltre agli ancoraggi una serie di controlli tecnici piuttosto sofisticati. Ecco perché la variabilità dei voti dell’esame di maturità non segnala in fondo se non un aumento (positivo ma generico) di achievement press (v. il mio articolo precedente).

Il solo dato su cui mi pare valga la pena soffermarsi è il calo della percentuale di “100 con lode”, sotto la spinta di criteri più rigorosi per la loro attribuzione introdotti come compensazione parziale alla disomogeneità dell’esame. Abbiamo letto che la lode è stata assegnata solo a certe condizioni “retroattive” che interessavano il credito e i voti dell’intero triennio, una batteria di voti scolastici sempre molto alti, elementi che segnalano almeno la costanza dell’impegno di uno studente e l’eccellenza (benché sempre relativa allo standard del valutatore) dei suoi risultati.

Il tema dei 100 con lode era già stato segnalato in altre occasioni su queste colonne. Si sa da tempo che certe zone geografiche, che in base ai risultati delle prove nazionali e internazionali risultano stabilmente sotto il livello di guardia, hanno votazioni scolastiche in uscita sistematicamente più alte che altrove. Proprio la disomogeneità fra dati interni ed esterni e la situazione di scarsa trasparenza che ne consegue hanno richiesto prima la costituzione e poi il rafforzamento di un Sistema Nazionale di Valutazione (SNV). Fra le azioni di controllo dei risultati in uscita si colloca anche l’introduzione di una Prova Nazionale standardizzata all’interno dell’esame conclusivo del primo ciclo (III media): intervento discusso e non privo di punti critici, ma rispondente all’urgenza di calmierare il sistema scomposto degli standard scolastici attraverso “misurazioni” tendenzialmente attendibili.

Per quel che riguarda l’esame finale del II ciclo, a partire dal 2008 le Rilevazioni sulle prove di italiano e di matematica hanno dato informazioni abbastanza chiare sulla scarsa trasparenza dei voti, ma poco decisive ai fini del riequilibrio, proprio per la mancanza di una prova standardizzata all’interno dell’esame. Che questa prova sia prevista dalla normativa, è noto, se e quando essa entrerà in vigore è un problema irrisolto. Appare poco probabile, e non auspicabile, l’aggiunta di una prova ulteriore all’interno di un apparato preesistente del tutto dissimile per natura e modalità delle prove, che appesantirebbe l’esame senza annullare i difetti di cui esso soffre.

Probabilmente, anche se questo passo è piuttosto impegnativo per un governo tecnico, è venuto il tempo di ripensare del tutto l’esame di maturità, in vista del 2015, anno in cui saranno valutate le classi nate con la riforma degli ordinamenti. Bisogna focalizzare innanzitutto lo scopo dell’esame: accertamento di conoscenze proprie del tipo di scuola? Certificazione di competenze correlate al Quadro delle qualifiche? Preselezione per l’accesso all’università? Accertamento di alcune competenze funzionali (lingua straniera e informatica)? Ognuna di queste opzioni comporterebbe scelte differenti.

Quest’anno poi, in cui le prime classi riformate entrano nel triennio, proprio la riforma diventa il punto di riferimento obbligato. Non si è trattato di un semplice riordino ordinamentale, se si guarda ai Profili in uscita, che hanno impresso ai percorsi scolastici un principio ordinatore nuovo, orientando il percorso agli esiti in uscita e non solo all’offerta formativa come i precedenti “curricoli”: sarebbe il caso di rileggersi almeno il più sistematico Profilo in uscita dai licei, ingiustamente confinato ai margini della normativa come “Allegato A del Regolamento” (http://archivio.pubblica.istruzione.it/riforma_superiori/nuovesuperiori/index.html), dove sono indicate le aree di competenza in uscita: sono le dimensioni metodologica, logico-argomentativa e comunicativa, che a buon diritto potrebbero diventare parte integrante del Quadro di riferimento di una eventuale prova standardizzata.

La riflessione di questi anni sulle competenze rischia altrimenti di non lasciare traccia alcuna, se il momento finale del percorso di studi resta indifferente alla loro concreta assunzione come indicatori. Lo studio di un costrutto credibile per una prova finale standardizzata (dentro o accanto all’esame) è compito quanto mai urgente e impegnativo, ma esso si colloca ragionevolmente dentro una più ampia riflessione sulla conclusione dei percorsi quinquennali superiori.