Meritocrazia. Le aberrazioni
di Roger Abravanel

di Giuseppe Caliceti il manifesto, 6.10.2012

Ha fatto un concorso dieci anni fa. Non lo ha vinto. Non è stato assunto a tempo indeterminato, ma gli è stato chiesto di lavorare nella scuola entrando in una graduatoria come precario. In attesa di assunzione. Lo Stato, come un buon padrone, ha detto al precario-apprendista: «Lavora qui, mancano docenti, poi ti assumiamo, questione di tempo». Detto a 250.000 precari. Poi cambia idea: «Senti, faccio un nuovo concorso, tutti partite da zero. Se vinci, ti assumo. Se non vinci…». «Ehi, ma tu…». Lo Stato: «Comando io. Ho cambiato idea. Fine del discorso». Figura meschina? Fate voi. Ma al governo non importa solo imporre le sue scelte, ma convincere l’opinione pubblica che sono le migliori. Per farlo dispone di mezzi di informazione e prezzolati giornalisti. Roger Abravanel, del Corriere, titolare del blog Meritocrazia.it: «Quale insegnante preferireste per vostro figlio, una signora 45enne oggi al numero 152 della graduatoria di merito di un concorso di 10 anni fa, o una giovane trentenne che è risultata tra i primi a un concorso fatto in questi giorni?» Domanda retorica che dovrebbe scagionare il governo dalla figuraccia. Rispondo: un docente giovane, Roger. Esatto?

Detto questo: come mai, allora, l’età di pensionamento dei docenti è aumentata ad oltre i 65 anni? Qui tu e il governo ve ne fregate di studenti e famiglie? Esatto. Sostiene Abravanel: «In Italia negli ultimi 25 anni si è diffusa una mentalità devastante che ha di fatto ucciso la meritocrazia nelle nostre scuole: il pensare sempre e solo ai problemi di chi lavora nella scuola (gli insegnanti) dimenticando le esigenze dei “clienti” del servizio pubblico dell’istruzione (gli studenti)».

Altra devastante falsità. Perchè non ricorda che la scuola primaria italiana, prima di Abravanel e Gelmini, era la 1ma in Europa e la 5a al mondo per qualità (dati Ocse) e adesso è precipitata in classifica. Non dice che l’Italia è tra i Paesi che investe meno in formazione e ricerca. E ogni volta che qualcuno parla di difficoltà del sistema scolastico, lo si fa solo per tagliare: vedi l’epocale taglio Gelmini. Non dice che in Italia gli studenti che escono dalle private sono mediamente meno preparati di quelli che escono dalla scuola pubblica (dato Ocse 2008). Insomma, dice solo ciò che vuole.

Parlando di «clienti» al posto di «studenti»(?) di scuola come servizio e magari, presto, a pagamento e privato – e non come istituzione pubblica e gratuita. In sintesi, non parla della scuola della Costituzione, cuore della democrazia – che ha a che fare con l’art. 3, – ma di un’altra. Quale? Ne parla in Meritocrazia.

Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto (Garzanti 2008), un aberrante manifesto dell’ideologia meritocratica. Favorevole a una selezione precoce della specie-studente. «In genere si ritiene che per assicurare eguaglianza di opportunità bisogna dare a tutti la stessa qualità di istruzione. Questo luogo comune è profondamente errato: dando a tutti la stessa educazione non si aumenta la mobilità sociale e il merito muore» (p. 256). Siamo al darwinismo sociale. Ci sono i meritevoli e gli immeritevoli, i furbi e i coglioni. Le differenze avrebbero una giustificazione naturale di tipo parascientifico, razzista. L’antica aristocrazia di nascita è sostituita dall’ «aristocrazia dell’ingegno». La scuola? Fortemente gerarchica, dove non si insegna più la pluralità di culture e valori, ma si inculcano precocemente i valori del sistema produttivo. L’intelligenza? «La capacità di aumentare la produzione, direttamente o indirettamente, si chiama «intelligenza» (p. 173). L’educazione e l’istruzione di bambini e ragazzi? Sostituita da misurazione e classificazione delle abilità. «A che pro abolire le ineguaglianze nell’istruzione se non per rivelare e rendere più spiccate le ineluttabili ineguaglianze della natura?» (p. 122) E ancora: «Sessant’anni di ricerche psicosometriche e sociologiche hanno portato a ritenere che (le) capacità intellettive e caratteriali siano prevedibili, senza che sia necessario attendere la «selezione naturale» della società» (p. 65). Siamo oltre ogni aberrazione pedagogica. Qui pare che Abravanel abbia già in mente una teoria eugenetica che ha come suo nemico principale la democrazia. Sono queste la scuola e il governo che vogliono gli italiani per i loro figli? Sveglia!