Scuola, qui è tutto da rifare Studenti e insegnanti che protestano insieme. Perché non ci sono solo i tagli: c'è un insieme di decisioni improvvisate, caotiche, contraddittorie che hanno messo l'istruzione pubblica in ginocchio. Ed è il momento di pensare a una vera rifondazione di Mariangela Vaglio L'Espresso, 30.11.2012 «Semo venuti già menati!» La foto dello slogan ironico con cui gli studenti si sono presentati all'ultimo corteo di protesta per la scuola ha fatto il giro di internet e poi è stata riproposta da tutti i giornali. Ma il mondo della scuola, al di là delle manganellate piovute addosso ai cortei durante le manifestazioni, in questo periodo "menato" si sente parecchio, tanto che non sa nemmeno più dove voltarsi per evitare di prendere altre sberle. La grande mobilitazione di docenti e studenti è partita all'annuncio che il Governo meditava di imporre per decreto un aumento di sei ore di lezione frontale ai docenti delle medie e delle superiori e di due a quelli delle elementari, portando per tutti l'orario di lezione a 24 ore settimanali. L'emendamento è stato (pare, si dice, si assicura) ritirato, anche per l'impossibilità di trovare un solo partito che fosse disposto a votare una simile disposizione: non solo perché sotto elezioni nessuna forza politica vuole giocarsi un bacino elettorale corposo come quello degli insegnanti, ma anche perché un aumento del 33% di carico orario per una qualsiasi categoria deciso senza contrattazione sindacale, a costo zero e con un contratto ancora in vigore avrebbe scatenato una immediata serie di ricorsi ai tribunali, e sarebbe stato giudicato illegittimo e cassato dalle corti. Resta il fatto che dopo anni di parziale quiescenza, il mondo della scuola è tornato in fermento. Il problema dell'orario è stato solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso: il malumore è montato e ormai è diffuso a tutti i livelli, anche se per ora sta cercando forme e strade per concretizzarsi. Il problema è che, come categoria di lavoratori, gli insegnanti non sono mai stati un blocco unico ben coeso al proprio interno, anche perché "gli insegnanti" in realtà sono lavoratori che prestano servizio in diversi ordini di scuola (le vecchie elementari, medie e superiori) ognuna con problemi specifici ben precisi e spesso diversissimi. Neanche il Presidente del Consiglio Monti dimostra di aver ben chiaro il panorama della situazione, dal momento che, l'altra settimana, rispondendo a una domanda di Fabio Fazio a Che tempo che fa, ha affermato che agli insegnanti era stato chiesto di fare "due ore in più" di lezione: cosa che corrisponde al vero solo per gli insegnanti della primaria (che fanno 22 ore di lezione frontale e settimana e due di coordinamento); i docenti degli altri ordini di scuola, infatti, si sarebbero ritrovati con sei ore in più in classe ogni settimana, spesso anche da svolgere in sedi diverse. La realtà è che i motivi della protesta del mondo della scuola sono vari e diversificati. Se per tutti l'aumento di orario è una spada di Damocle per ora solo sospesa sul capo, che non si sa che calerà mai come una mannaia, per chi è di ruolo c'è il blocco degli scatti di anzianità, che da anni impedisce di avere in busta paga gli aumenti dovuti e previsti con il passare degli anni. Altro fattore di ansia sono i prospettati tagli al FIS, il fondo di Istituto, che serve nelle scuole a garantire le ore in più fatte dai docenti, e viene usato, per esempio, per pagare le supplenze quando bisogna coprire le classi di colleghi assenti per brevi malattie, oppure organizzare attività di recupero e sostegno per studenti in difficoltà, o ancora finanziare progetti particolari offerti agli alunni di un istituto. Per compensare il mancato risparmio che si sarebbe ottenuto facendo lavorare i docenti gratis sei ore in più a settimana, il Governo medita di tagliare il FIS. Il che vorrebbe dire che non ci sarebbero fondi per numerose attività finora offerte dalla scuola gratis agli studenti. Siccome però questa attività vengono preventivate all'inizio dell'anno scolastico e cominciano subito, ma ancora non si sa se il fondo sarà tagliato o di quanto, il rischio è che i docenti facciano ore e ore di straordinari in più per scoprire solo in seguito che non verranno loro pagate: una specie di volontariato obbligatorio e al buio, insomma. Se questi sono i guai dei docenti di ruolo, i precari storici, d'altro canto, vivono anch'essi sospesi in un limbo di incertezza. Dopo aver conseguito con vecchi concorsi (l'ultimo del '99) l'abilitazione, oppure averla ottenuta con la frequenza a pagamento delle varie scuole di specializzazione per l'insegnamento che dovevano garantire l'immissione diretta in ruolo, quelli che non sono ancora riusciti ad essere assunti a tempo indeterminato si trovano di fronte l'incognita del nuovo "Concorsone", le cui prove selettive dovrebbero partire fra poco. Alla fine, il Concorsone partorirà una nuova graduatoria per l'assegnazione delle cattedre, in cui i precari con anni di lavoro nella scuola alle spalle temono di vedersi superati da giovani appena laureati o di perdere ogni speranza di entrare mai di ruolo, non avendo superato il Concorso stesso. Polemiche vi sono anche, e a non finire, per le modalità con cui il Concorso sarà svolto: le prove selettive modello test attitudinale sembrano pensate più per ridurre il numero dei candidati che per provare l'abilità didattica e la preparazione culturale specifica dei medesimi. Particolarmente paura fa poi la prospettiva di doversi preparare a tenere lezioni (alle superiori) della propria materia in una lingua straniera (si presume inglese): questo perché finora non esistono corsi di formazione per insegnare ai docenti – nemmeno a quelli già di ruolo - come preparare una lezione in lingua straniera, cosa per cui è richiesta la conoscenza approfondita dei termini tecnici e settoriali, e anche chi parla più o meno bene l'inglese non è detto che però sia in grado di tenere in questa lingua una lezione della materia che poi insegna normalmente in italiano. Se le giovani generazioni non riescono ad entrare, quelle vecchie non riescono ad uscire. L'aumento dell'età pensionabile e anche alcuni emendamenti che non tengono conto della specificità della scuola (che ha un calendario suo, con inizio a settembre e fine a giugno, e non va quindi con gli anni solari come il resto dell'amministrazione pubblica) rendono difficoltoso per gli insegnanti che hanno maturato l'anzianità riuscire a trovare la finestra per andare in pensione. Tutti, poi, giovani e vecchi, si trovano a fare i conti, amaramente, con il discredito sociale che è piovuto addosso alla categoria: indicati per anni da ministri e politici come un insieme di scansafatiche che lavora poche ore al giorno, i docenti si trovano ad avere un prestigio pari a zero, a fare un lavoro faticosissimo che non viene loro riconosciuto e per giunta ad essere additati come "sfigati" in quanto titolari di stipendi risibili in una società in cui il denaro diventa sempre più il metro di giudizio del valore. In tutto questo i docenti fanno anche fatica a trovare forme di protesta efficace. Gli scioperi, per legge, non possono protrarsi per più giorni, né è possibile bloccare gli scrutini o gli esami. Gli stessi docenti, poi, sono poco contenti, spesso, delle proposte fatte dai sindacati, accusati di non capire più fino in fondo i motivi di insoddisfazione dei lavoratori. Oltre al fattore economico, c'è bisogno di ripensare in Italia il sistema dell'istruzione nel suo complesso, mentre negli anni passati i sindacati si sono spesso arroccati sulle difesa di alcune posizioni a prescindere (no ad un sistema di valutazione dei docenti, no agli stipendi differenziati, no al conteggio delle ore globali dedicate alla correzione dei compiti e alla preparazione delle lezioni a casa, etc.). Il risultato è che molti insegnanti non hanno rinnovato le iscrizioni sindacali, e fanno persino fatica ad aderire agli scioperi. Le scuole poi, singolarmente o formando reti e coordinamenti volontari e spontanei, stanno attuando a macchia di leopardo forme di protesta diverse: c'è chi ha bloccato tutte le attività extra, cioè quelle che dovrebbero essere finanziate con il FIS, quindi non partecipa a commissioni, progetti o si rende indisponibile a fare ore straordinarie; c'è chi ha già detto che non darà l'adesione per le gite scolastiche, altra zona d'ombra della scuola, perché i docenti accompagnatori sono compensati con una diaria risibile e per giunta rischiano, per qualsiasi incidente avvenga, di ritrovarsi in tribunale. La mobilitazione è diversa nei diversi ordini di scuole: più sentita per ora alle superiori, dove insegnanti e studenti tendono a fare fronte unico - di questo anche si è lamentato Mario Monti ? mentre è più sfumata negli altri ordini di scuole, alle elementari e alle medie, dove del resto non esistono, data la giovane età degli alunni, comitati studenteschi che possano fare da controparte. L'impressione è che comunque tutto questo fermento sia dovuto a qualcosa di ben più serio e profondo che non una rivendicazione legata all'orario o allo stipendio. La scuola, martoriata da anni di tagli indiscriminati passati spesso sotto il nome di riforme, sente il bisogno di una sorta di momento ricostitutivo, una rifondazione, e di una profonda ed articolata riflessione comune. Se questo riuscirà o se si tratterà di un fuoco che si spegnerà presto non appena si sarà trovato un modo per far rientare l'emergenza lo potremo capire solo nei prossimi mesi. |