Verso la terza Repubblica?/2. da TuttoscuolaNews, n. 561 19.11.2012 Se il limite della prima Repubblica, in campo scolastico (e non), è stato quello di rinviare continuamente le grandi riforme, con l’eccezione dell’unificazione della scuola media e della riforma dell’ordinamento della scuola elementare del 1990, quello della seconda - nata con l’intento di accrescere la governabilità e la capacità decisionale del sistema politico e istituzionale - è stato quello di fare riforme o ingestibili come quella di Berlinguer (legge n. 30/2000) o camaleontiche come quella di Moratti (legge n. 53/2003), che ha finito per non cambiare quasi nulla, in quanto i processi di innovazione non si sono concretizzati nei contesti operativi in assenza di un’efficace gestione amministrativa del disegno riformatore. La costante della seconda Repubblica è stata piuttosto il calo della spesa per l’istruzione sia rispetto al PIL sia rispetto al totale della spesa pubblica. Chi auspica una terza fase nella vita della Repubblica italiana punta, nel settore della scuola, soprattutto all’inversione di questi trend: a riforme di grande respiro (esempi: abbattimento della dispersione, conclusione degli studi scolastici a 18 anni, certificazione delle competenze in alternativa al valore legale dei titoli, rilancio economico e professionale degli insegnanti) e all’aumento della spesa per l’istruzione sul PIL destinando però le maggiori risorse a investimenti: in ricerca, formazione, valutazione, diritto allo studio legato a criteri meritocratici. Chi parla più apertamente di terza Repubblica è oggi il movimento che fa capo a Luca di Montezemolo Italiafutura, che sabato scorso ha promosso a Roma una affollata convention nazionale per lanciare le sue proposte, riassunte in un progetto intitolato proprio ‘Verso la terza Repubblica’, il cui filo conduttore è quello di “porre un argine ai populismi di destra e di sinistra”. Nel documento programmatico, per la verità, c’è poco: si annuncia il sostegno alla formazione professionale post-liceale (Istituti tecnici superiori), e alla necessità di “fare quanto necessario per garantire agli studenti meritevoli l’accesso alle migliori università indipendentemente dal reddito familiare”. Si afferma inoltre che “autonomia e specializzazione devono essere i principi ispiratori di ogni intervento nel campo dell’istruzione superiore e della ricerca”, che “Non tutte le università devono fare tutto. Non tutti i territori devono disporre di una università. Il futuro dei giovani è una cosa troppo preziosa per scambiarlo con la loro comodità o, peggio, con gli obiettivi dei docenti”. E’ tutto. Probabilmente ci sono anche altre idee allo studio. Altrimenti sarebbe anche… poco. |