I poteri forti e l’attacco alla Scuola pubblica di Pasquale Picone Educazione & Scuola 1.11.2012 Di fronte al panorama del progressivo degrado delle relazioni sociali, grazie al dilagare dei disvalori, dell’elevazione a categoria divina del profitto e del danaro, c’è da chiedersi, da dirigente di un liceo dello Stato, dove attingere l’energia quotidiana per guardare negli occhi i docenti di scuola pubblica, per sostenerli nel loro lavoro di formazione dei giovani. Ancora di più, come guardare oggi negli occhi gli studenti liceali, così affamati di futuro, di chiarezze, di motivazioni ai valori. Non vi possono essere più dubbi: mai come nel momento storico che stiamo attraversando la scuola pubblica è chiamata ad un’opera coraggiosa e generosa di demistificazione dei “crimini di pace” di basagliana memoria. Franco Basaglia fu uno psichiatra che rifiutò la “delega del controllo”, della devianza e della sofferenza, che il potere costituito affidava tradizionalmente agli psichiatri ed al loro luogo di culto, il manicomio. Adottando una chiave di critica sociale, tradizionalmente lontana dalla medicina e dalla psichiatria organicista, Basaglia dimostrò che il manicomio si era trasformato in una “istituzione totale”. Una istituzione, cioè, che aveva talmente snaturato la sua ragion d’essere, da ribaltarla nel suo opposto. Istituzione nata per curare, in realtà produceva malattia. Basaglia vinse la sua battaglia. I manicomi furono chiusi per legge. Forse c’è una vicenda di struttura scientifica per la psichiatria. Perché già Freud e Jung, insieme ad altri, si erano resi conto che per il sapere sulla psiche risultavano insufficienti le conoscenze puramente mediche ed organiciste. In tutta evidenza, l’oggetto d’indagine, la psiche, è un complesso di funzioni che, a differenza di quelle di altri organi, non è del tutto riducibile all’organo che, in prevalenza, la supporta. Per i fondatori della psicoanalisi, il sapere medico aveva bisogno di coniugarsi con le conoscenze filosofiche, sociologiche e delle scienze umane in generale. Freud riconobbe esplicitamente che la sua teoria della duplicità pulsionale, Eros e Thanatos, derivava da Empedocle. Per Jung, basterebbe una sbirciatina al recente Libro Rosso, per percepire i risvolti “filosofico-letterari”, artistici e storico-religiosi della sua concezione della mente umana. Illuminante, per tale linea di riflessioni, il più recente contributo di James Hillman, “Plotino, Ficino e Vico precursori, della psicologia junghiana” (in Jung e la cultura europea, Rivista di Psicologia Analitica, IV, 2, 1973). Del resto, la designazione di “cura dell’anima” è insita nell’etimo stesso di philo-sophia (philo = amicizia, amore, aver cura). E già Diogene Laerzio, nella Vita di Platone, 45, aveva affermato: «C’è anche un nostro epigramma che suona così: Se Febo non avesse dato la vita a Platone nell’Ellade come avrebbe potuto curare con le lettere le anime degli uomini? Suo figlio Asclepio è il medico del corpo: dell’anima immortale è Platone. Ed un altro sulla sua morte: Febo generò agli umani Aslepio e Platone: l’uno per la cura del corpo, l’altro dell’anima». Tutta quella prima generazione di psicoanalisti concepì la scuola come il comparto della prevenzione psicologica. A. Freud a Londra e S. Spielrein a Mosca fondarono scuole per l’infanzia con una metodologia psicoanalitica. Guardando a quell’auspicio dalla posizione contemporanea, bisogna considerarlo come un’aspirazione idealizzata. I processi di insegnamento e apprendimento accadono nella mente o negli alluci dei piedi? Esistono o no differenze nell’organizzazione della mente e della personalità della prima, della seconda, della terza infanzia; della pubertà e dell’adolescenza? L’omogeneizzazione delle professionalità di docenti e dirigenti scolastici, concepita e stimolata a prescindere dalle peculiarità delle diverse fasce di età –maturazione di competenze specifiche con l’oggetto/soggetto del proprio lavoro- con la reversibilità irrelata, acritica e incoerente tra i diversi ordini di scuola, ha rafforzato o depauperato la funzione formativa della scuola pubblica? Il falegname deve conoscere o no la morfologia e la tipologia del materiale con il quale lavora? Nella concretezza della storia della scuola pubblica soprattutto in Italia, la battaglia, degli anni 60 e 70 del Novecento, sia per la formazione psicologica degli insegnanti sia per la presenza di uno psicologo nell’organico di ogni scuola -come c’è da cinquant’anni nei paesi di lingua anglosassone- è stata totalmente sconfitta. Grazie anche al mix di indifferenza, acquiescenza ed ostracismo delle baronie universitarie (baronie che considerano la scuola solo come terreno da colonizzare; in base al metodo della jungla “forte con i deboli e deboli con i forti” si è arrivati a proporre le 24 ore per i docenti di scuola a salario congelato ma nessuno ha parlato dei docenti universitari che fanno lezione con tre studenti), di alcuni ordini professionali di medici e psicologi, sino a pezzi delle stesse società psicoanalitiche. A conferma, se ce ne fosse bisogno, dell’interesse che i “poteri forti” hanno sempre avuto nel manipolare la scuola pubblica, sin da molto prima dell’Unità d’Italia, per mantenerla in uno stato di minorità. Un altro grande spirito del Novecento, A. Einstein, aveva visto più realisticamente le relazioni tra poteri forti e scuola. Il 30 luglio 1932, proprio rivolgendosi a Freud sulla questione della guerra, così si esprimeva: «La sete di potere della classe dominante si oppone in ogni Stato a qualsiasi limitazione della sovranità nazionale. Questo smodato desiderio di potere politico viene sovente alimentato dalla brama di potere di un altro ceto sociale, che mira a conquistare vantaggi materiali, economici. Penso soprattutto al piccolo ma deciso gruppo di persone che, attive in ogni popolo, e inaccessibili a qualsivoglia considerazione o scrupolo sociale, vedono nella guerra, cioè nella fabbricazione e nel commercio delle armi, soltanto un’occasione per ottenere vantaggi personali e ampliare l’ambito del proprio potere. Tuttavia l’aver riconosciuto questo dato inoppugnabile ci ha soltanto fatto fare il primo passo per capire come stiano oggi le cose. Ci troviamo subito di fronte a un’altra domanda: com’è possibile che la minoranza ora menzionata riesca ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha soltanto da soffrire e da perdere? (…) Una risposta ovvia a questa domanda sarebbe che questa minoranza di individui al potere ha in mano prima di tutto la scuola e la stampa, e perlopiù anche le organizzazioni religiose. Ciò le consente di dominare e orientare i sentimenti delle masse, rendendoli docili strumenti della propria politica». Se, per citare un solo esempio, un giornalista liberale illuminato ci ha informato due anni fa, prendendo la notizia dal New York Times, che «i liberi mercati sono in realtà guidati da un vero e proprio comitato d’affari dotato di risorse pressoché illimitate e della potenza politica ed economica che ne deriva» (E. Scalfari, “Nove banche vogliono dividere l’euro in due” in la Repubblica, 19/12/2010), questo è un “crimine di pace”. Del quale, si spera, docenti e studenti della scuola pubblica, prendano coscienza, anziché rimuoverlo. Una delle funzioni fondamentali della scuola pubblica deve ritornare ad essere quella di educare alla consapevolezza e non alla rimozione, alla negazione e allo scotoma cognitivo. Se, come dicono Grillo, Monti e Tremonti, “siamo in guerra”, qui non si tratta più solo di debito pubblico e di salvezza degli Stati. Il vero dilemma è tra civiltà o barbarie. La scuola pubblica dovrebbe dissociarsi con disprezzo da un’Europa che sta affossando la Grecia, fons et origo della nostra civiltà. La scuola pubblica è nata lì. Nell’Accademia di Platone e nel Liceo di Aristotele. I popoli dell’America latina, a partire dall’Ecuador, stanno fornendo una lezione di altissimo valore formativo per tutti. |