Presidente, i finanziamenti alla scuola
li devono pagare i docenti?

di Andrea Toscano La Tecnica della Scuola, 27.11.2012

Mentre Mario Monti parla di “corporativismo” a proposito della lotta dei docenti contro l’aumento, a parità di stipendio, di 6 ore (non 2, come per mancata conoscenza (!) del DdL di “stabilità” proposto dal suo Governo, o per un “preciso disegno”, ha riferito lo stesso premier), il Capo dello Stato dice che se si vogliono ridistribuire le “misure riduttive della spesa pubblica” salvaguardando i finanziamenti per la scuola "non si può restare prigionieri di conservatorismi e corporativismi".

Come descritto benissimo in un altro pregevole articolo pubblicato in questo sito, nel quale si evidenzia che “l’opinione pubblica viene incalzata continuamente col cliché diffuso ad arte ed assorbito con superficialità degli insegnanti che lavorano solo 18 ore” (una storiella già sentita quando rappresentanti del precedente Governo definivano “fannulloni” i docenti per aprire la strada alla lunga e triste stagione dei tagli), la questione del tentato aumento dell’orario di servizio degli insegnanti, messo da parte dopo le indignate proteste di docenti e sindacati (neppure consultati) e le inattese (per il Governo) prese di posizione degli stessi partiti che sostengono l’esecutivo, viene puntualmente riproposta attraverso sortite dei “soliti noti” (associazioni e fondazioni che farebbero bene ad essere “pensatoi” per i problemi delle aziende ad esse vicine e non per “pontificare” su cultura ed istruzione) e/o interventi governativi. Per esempio, la trattativa sulla “produttività” nella scuola”, imposta dal ministro Grilli contestualmente al recupero degli scatti di anzianità (dovuti, non elargiti benevolmente! Peraltro è stato consegnato l’atto di indirizzo all’Aran per il recupero dell’anzianità relativamente soltanto al 2011, con grande ritardo e in extremis un paio di giorni prima dello sciopero: per “spaccare l’apparente ritrovata unità sindacale?), lascia molto perplessi e sembra preludere alla volontà di “una intensificazione quantitativa”.

Insomma, come scritto in un altro interessantissimo articolo di alcuni giorni fa, che pone delle precise domande su cosa si intenda per “aumento di produttività del personale scolastico”, “c’è il legittimo sospetto che, con la scusa di saldare la una tantum degli scatti di anzianità già maturati nel 2011” si voglia “fare rientrare dalla finestra quello che non è riuscito a passare dalla via maestra della legge di stabilità, cioè l’aumento dell’orario settimanale di servizio a parità di salario”.

Ora il presidente del Consiglio, intervenendo alla trasmissione Rai “Che tempo che fa” (… “piove Governo ladro”, si diceva quand’ero bambino io) di Fabio Fazio (un conduttore garbato, non esattamente propenso a “torchiare” un primo Ministro, come dovrebbe fare un giornalista di fronte a una situazione economico-sociale allarmante: sarà un caso che il premier, che non va praticamente mai a dibattiti politici nelle reti televisive e che a precise domande politiche ha anche risposto “me lo chieda in inglese” - ve lo immaginate Obama che risponde ad un giornalista americano “me lo chieda in italiano oppure magari in francese”? - sia andato a parlare a ruota libera a… “Che tempo che fa”?!?), ci dice che “nella sfera del personale della scuola abbiamo riscontrato anche grande spirito conservatore, come per esempio la grande indisponibilità a fare due ore in più a settimana che avrebbe significato più didattica e cultura”.

Allora, primo: come sanno tutti (tranne il Presidente del Consiglio dei ministri che ha presentato il testo di legge al Parlamento?) le ore in più di cattedra, a parità di stipendio, erano 6 (un terzo in più di quanto si lavora in aula adesso nelle scuole secondarie!) e non 2 (forse Monti, però, lo ricordava); secondo: come ho già scritto tempo fa in un altro articolo (“I diritti non si barattano neppure… per un pugno di euro”) c’è un problema di forma che è ovviamente anche di sostanza, esistono ancora le rappresentanze sindacali (come, peraltro, il Parlamento che decide) e queste materie vanno affrontate per contratto (… già il contratto, e chi se lo ricordava più: è già scaduto da anni senza rinnovarlo!); terzo: non è vero che gli insegnanti lavorano solo 18 ore settimanali e godono di tre mesi di vacanza, perché gli impegni in orario non curriculare sono molteplici e perdurano, tra scrutini, esami di Stato e corsi di recupero dei debiti formativi, con relative verifiche, anche a giugno e luglio (e lo abbiamo già elencato nel suddetto articolo, nel quale si citano anche confronti, ripresi da alcuni sindacati, con altri Paesi sul monte ore di lezione, da cui risulta che i docenti italiani lavorano almeno quanto la media dei loro colleghi europei, ma sicuramente mediamente guadagnano di meno!).

E a proposito di “più didattica e cultura”, il premier sa che il precedente Governo ha operato tagli non solo al numero di docenti ma anche, con la riforma Gelmini della scuola superiore, al monte ore di lezione? Nei tecnici e professionali persino nelle classi non coinvolte nella riforma, tanto che alcuni tribunali amministrativi avevano dato ragione a ricorsi contro tale provvedimento “ingiustificato” - se non per i tagli - e iniquo: ricordo uno specifico ricorso dello Snals ed anche di alcuni genitori (lo ricorda anche l’Age Toscana?) ignorato però dall’Amministrazione scolastica. Allora, se si vuole “più didattica e più cultura” perché si diminuisce il monte ore di lezione? Se si aumentano, invece, le ore di lavoro di insegnamento dei docenti, mantenendo le ore di lezione l’intento non mi pare “più didattica e più cultura”, ma “più lavoro e meno docenti” (perché è ovvio che un maggior numero di ore di lavoro comporta tagli al numero di cattedre). E’ un po’ diverso, no? E per giunta a parità di stipendio (siamo all’ “oro alla Patria?”). E per “risparmiare” così ci vuole un Governo di tecnici? Conosco uno, un “supertecnico”, che ha pronta una ricetta più bella: “più lavoro e meno stipendio”: potrebbe essere assunto al Ministero dell’istruzione greco?!

Mi pare, peraltro, che l’attuale Governo non abbia fatto progressi nei finanziamenti alla scuola pubblica.

Sin qui Monti, le cui parole sul “corporativismo degli insegnanti” hanno subito suscitato la giusta indignazione di tantissimi docenti e le reazioni pressoché unanimi dei sindacati.

A quel punto, interviene il Presidente Napolitano, che dal Quirinale dice: “si può discutere, ed è bene che si discuta, su una possibile diversa distribuzione delle misure riduttive della spesa pubblica, su una maggiore selettività che salvaguardi, ad esempio, considerandoli prioritari, i finanziamenti per la scuola e specialmente per l'università, per la ricerca e la cultura”, ma “bisogna farsi carico, allora, di concrete proposte alternative che garantiscano egualmente il raggiungimento degli obiettivi complessivi di risparmio”. E poi ha anche affermato che bisogna “predisporsi a tutti i cambiamenti strutturali, istituzionali, comportamentali, necessari per garantire il più razionale, trasparente e sobrio uso delle risorse finanziarie pubbliche. Non si può restare prigionieri di conservatorismi e corporativismi, come proprio ieri ha sottolineato il presidente Monti”.

Ma abbiamo capito male o in pratica sintetizzando vuol dire per salvaguardare i finanziamenti per la scuola bisogna “predisporsi a tutti i cambiamenti strutturali e non si può restare prigionieri di conservatorismi e corporativismi”, cioè i docenti devono essere disposti a lavorare di più a parità di stipendio (perché questa era la proposta governativa) e pagare quindi loro gli stanziamenti della scuola con i risparmi dei costi di un numero maggiore di cattedre da distribuire?

Puntuale, come sempre quando Monti e il suo Governo sono in palese difficoltà, l’intervento del Capo dello Stato: non ci addentriamo in precedenti situazioni perché ci occupiamo di scuola, ma sinceramente le attestazioni di reciproca stima in momenti un po’ “insidiosi” (quasi di “mutuo soccorso”) tra i due Presidenti (ha ragione il premier,,,, ,,,se me lo chiede il Capo dello Stato) rischiano di diventare un po’ “stucchevoli” (lo dico da cittadino, prima che da giornalista: non sono un docente e quindi non rischio, in questo caso, di essere tacciato di “corporativismo”). Un solo caso vorrei citare, perché il più recente in ordine di tempo prima della sortita sul “corporativismo” degli insegnanti (gente paziente, per come ha consentito di essere “sbeffeggiata” e talvolta insultata - “fannulloni” - negli ultimi anni, nonostante il ruolo di responsabilità e i sacrifici: tagli, contratto non rinnovato, come tutto il pubblico impiego, stipendi bassi per un professionista laureato, scatti di anzianità non corrisposti, ecc.): è quello della precisazione di Napolitano di fronte all’obiezione di chi ritiene che Monti se vuole governare il Paese in futuro (eventuale legittima aspirazione) dovrà presentarsi al vaglio elettorale. Il Presidente della Repubblica ha ribadito che Monti non può candidarsi alle elezioni in quanto già senatore a vita.

Allora chiedo: perché Mario Monti è stato nominato appunto senatore a vita, carica che spetta agli ex Capi di Stato o a pochissime personalità che hanno acquisito particolari meriti ben "autenticati" e dato lustro all'Italia? Tra l'altro, quando gli si è assegnato il "posto" a vita in Parlamento (che peraltro costa un tantino e poi,,, "che noia il posto fisso"!) non era ancora neppure il "salvatore della Patria"! Si può fare sommessamente questa domanda o "è lesa maestà" alle prerogative di qualcuno, che comunque ha il dovere di rispondere sul proprio operato come tutti gli altri cittadini?
Le elezioni sono il “sale della democrazia”, ci dispiacerebbe un altro esecutivo di “nominati” che non partecipano alla tornata elettorale, perché il Governo non è un “consiglio d’amministrazione”. Un esecutivo di tecnici che non sempre dimostrano grandi competenze.

E infine, un dubbio: perché di fronte ad una mobilitazione corale e ben riuscita, quella del 24 novembre (forse molti non se l’aspettavano dopo che alcuni sindacati avevano “disdetto” lo sciopero due giorni prima), Monti sente il bisogno di dire che “i corporativismi hanno usato anche i giovani per perpetuarsi e non adeguarsi ad un mondo più moderno”. Forse che i docenti “cavalcano” per scopi “corporativi e di "bassa etica” la protesta degli studenti che “fanno bene a manifestare il loro dissenso”?

Se si vogliono dividere in questo momento studenti e insegnanti si è capito assai poco del malessere e del senso di “ribellione” che c’è nella scuola; tra gli alunni e i loro docenti c’è una grande saldatura (grazie proprio all’operato degli ultimi Governi).
E Monti forse non ascolta i ragazzi e i loro slogan, altrimenti saprebbe che il suo Governo non è molto “popolare” fra i giovani, E del Capo dello Stato gli studenti universitari ricordano ancora quando (un po’ ingenuamente) a lui si appellarono per bloccare la “riforma Gelmini” dell’Università (dopo aver ricevuto attestati di stima e assicurazione di essere ascoltati), che, se ricordo bene, appena qualche settimana dopo Giorgio Napolitano firmò senza batter ciglio (o forse lo batté… e allora gli studenti gli saranno per sempre grati).

E ormai i luoghi comuni non bastano più, neppure il “mantra” delle tecnologie, come dice il prof, Benedetto Vertecchi “spacciano la tecnologia come fosse la palingenesi della scuola, mentre altri Paesi si stanno interrogando sull'invasività di internet nella vita dei ragazzi, ad uso e consumo delle grandi aziende, noi enfatizziamo un uso delle tecnologie che non ha niente a che vedere con la cultura”. Per Vertecchi, pedagogista e docente universitario (in passato presidente del Cede - Centro Europeo dell’Educazione) “la proposta di far lavorare i prof sei ore in più è da incompetenti in assenza di un nuovo patto per riorganizzare il funzionamento delle scuole in questa direzione, ma servono fondi e non tagli” e “la scuola va totalmente ridisegnata per diventare un modello di riferimento educativo in completa autonomia dai mercati”.

E allora, per usare uno slogan, “io sto con Vertecchi”, uno che di scuola ne sa più di tutti i ministri degli ultimi due decenni.