Il mantra delle 18 ore
di Giancarlo Cerini Educazione & Scuola
4.11.2012
Allora, chi ha vinto?
Difficile parlare di
orari di lavoro degli insegnanti, di questi tempi, tra improvvide
manovre finanziarie e scontatissime reazioni “piccate” degli
insegnanti. Questo “confronto” muscolare l’abbiamo già visto in
altre occasioni (come non ritornare al “concorsone” di Luigi
Berlinguer, ministro carismatico ma costretto alle dimissioni dalla
protesta dei docenti). Anche questa volta gli insegnanti hanno vinto
(stando agli emendamenti soppressivi del Parlamento sulla proposta
di elevare l’orario frontale da 18 a 24 ore settimanali di
insegnamento), ma il rischio è che per un altro decennio la
condizione docente resti invariata e scivoli inesorabilmente verso
la marginalità… Colpa di governanti insensibili – si dirà – ma forse
c’è dell’altro…. E’ di questo altro che vorrei parlare, avvalendomi
di un bel dibattito in rete, sul network “Chiamalascuola” (un gruppo
che su facebook conta ormai oltre un migliaio di aderenti). Qualche
serata fa è stato organizzato un focus flash mob sul tema.
Non riporto gli oltre 200 interventi, leggibili in rete, ma una mia
parzialissima e personale sintesi [con alcuni inserti in corsivo,
ripresi dal dibattito in rete].
Oltre l’orario in classe, c’è dell’altro…
La questione
dell’orario di lavoro dei docenti è controversa: nell’insegnamento
c’è un quid di professionalità che fatica a stare dentro a
conteggi di ore e di minuti, ma c’è anche l’esigenza di apprezzare e
far “vedere” pubblicamente la qualità/quantità del lavoro
effettivamente svolto. Ma non sceglierò in questa sede né un
approccio sindacale (il contratto di lavoro), nè giuridico (i
diritti/doveri, le ore obbligatorie o meno), nè politico (la
presunta insensibilità della politica verso la scuola), ma
strettamente culturale e professionale (che cos’è o dovrebbe essere,
oggi, il mestiere dell’insegnare).
Occorre però far uscire
il dibattito dalla trincea delle 18 ore frontali. Perché sembra una
difesa d’ufficio dell’esistente: anche perché c’è chi già svolge 25
ore frontali -come gli insegnanti di scuola dell’infanzia. Il tema
vero è il valore e l’intensità del lavoro, con la sua evasiva
regolazione contrattuale (ferma a 40 anni fa), con il mancato
riconoscimento sociale che è legato alla scarsa visibilità sociale
del contenuto professionale (certamente si fa lezione, ma occorre
anche studiare, documentarsi, preparare la didattica, correggere i
compiti, incontrare genitori e colleghi, curare l’aggiornamento,
ecc. tutti elementi spesso lasciati nel “limbo” del dover essere).
Un professionista socialmente credibile
E poi il lavoro dei
docenti è cambiato [sta cambiando]: si svolge in aula, ma anche
fuori, in una pluralità di situazioni, formali e informali. Il
rischio è che il mantra delle 18 ore finisca con il confermare lo
stereotipo e l’immagine di una professione docente da anni ’50. E’
certamente inaccettabile aumentare carichi di lavoro senza
corrispettivi, ma il nodo vero è far crescere la considerazione
sociale verso insegnanti preparati, competenti, appassionati, che
sanno fare comunità professionale e che vivono la scuola come
ambiente di apprendimento per i ragazzi e gli adulti…ma questa è
un’altra storia, che interpella tutti noi, e non solo politica e
sindacato.
…
ma allora occorre cambiare subito il contratto e “far apparire”
anche le ore che sono “nascoste” nel contratto attuale, come
preparazione, correzioni, ricerca ecc. ecc. Se necessario,
facciamole a scuola di pomeriggio, così tutti le “vedranno”, ma
mettiamole belle in chiaro nel contratto. (Negro dell’Audiofracasso)
E’ un problema di
contratto di lavoro, certo, però bisognerà arrivare preparati ad una
nuova tornata contrattuale, con assemblee costruttive e partecipate…
Intanto, però, bisogna ricostruire l’identità del lavoro del docente
nell’immaginario della gente (e quindi dei decisori politici).
De-privatizzare le pratiche professionali
Se continuiamo a
parlare di “ore” confermiamo un modello cattedratico-tayloristico da
anni 50…. ove regnava la lezione frontale. Ma il lavoro didattico
efficace (quello che può produrre risultati positivi con gli
allievi) non è più questo…
…andando oltre il monte orario, si dovrebbe iniziare a parlare di
professione per i docenti. L’apertura all’esterno è necessaria, ma
continuando a contabilizzare le ore in classe, la si impedisce. Per
creare reti con territorio e famiglie, non si può chiedere ai
docenti di conteggiare le ore in classe o a scuola. (Laura De
Angelis)
Un professionista deve
andare oltre lo schema delle ore di lezione, oltre ciò che succede
strettamente in classe. Se con certi ragazzi di un istituto
professionale (ma anche delle medie, dei licei, delle elementari,
ecc.) siamo in difficoltà, forse dovremmo uscire dalla classe,
inseguirli sul web, accompagnarli in uno stage, ascoltarli il
pomeriggio, proporre esperienze motivanti…. Serve un orario di
lavoro che contenga e dica tutto questo, altrimenti non si uscirà
mai dalla diceria populista: “…ma quante poche ore fanno i
docenti…“. In un recente sondaggio televisivo si è notato che il 45%
degli intervistati era d’accordo sull’aumento dell’orario di lezione
per i docenti.
…è
vero, l’operazione
è stata condotta dall’alto e per finalità soltanto economiche, ma
approfittiamo per sollevare il problema. Per esempio le nuove
Indicazioni parlano di realizzare la comunità professionale dei
docenti. Dove trovare i tempi per de-privatizzare le proprie
pratiche e crescere insieme in un apprendistato cognitivo in cui
tutti, esperti e novizi, possono apprendere reciprocamente
attraverso un confronto sulla pratica?Tutti dovrebbero mettere in
discussione il loro “curriculum script” spesso fatto di modalità
routinarie…. (Cinzia Mion)
La “mossa del cavallo”
A mio parere, ci vuole
una “mossa del cavallo”: con la intangibilità delle 18 ore forse si
vince una piccola scaramuccia, il disegno di legge sarà ritirato (è
vero, era di scarsissimo profilo, con i conti sbagliati,
confezionato da apprendisti stregoni) e amici come prima: per altri
vent’anni continueremo a lamentarci della nostra condizione ingrata
e marginale. Bisogna dire a voce alta e con orgoglio di cosa è fatto
oggi il lavoro del docente, di che cosa si compone una buona
professionalità, come la si attesta e valuta, come la si mette in
pratica, come la si coltiva …e con tolleranza zero verso la
mediocrità….
…
sto osservando nei docenti una difficoltà sempre maggiore di
gestione della classe: completamente soli di fronte a classi sempre
più diversificate, che richiedono programmi a diversi livelli, con
una enorme difficoltà a far rispettare le regole, con genitori poco
collaborativi. Sono convinta che molti non reggerebbero un aumento
del carico di lavoro con ancora più classi. Aumenteranno le assenze
per malattia, aumenterà il burnout e complessivamente tutto il
sistema entrerà in sofferenza. (Alga Maria Paola Borriello)
Una ricerca fatta in
provincia di Bolzano[1] mette
in evidenza che il lavoro docente effettivo oscilla tra le 36 e le
38 ore settimanali. Perché non prenderne atto ufficialmente? Ci
dovrebbe essere un tempo di presenza a scuola “all inclusive”
(per la dimensione collaborativa e pubblica del lavoro che è tanta,
ma non è tutto) ed un quid professionale per la
preparazione e l’elaborazione personale. Di fronte a questa
prospettiva, le 18 ore di lezione sono una gabbia autoconsolatoria.
…
in certi consigli di classe si perde più tempo a trovare il
segretario verbalizzante che a parlare dei ragazzi… E che dire dei
compiti con dati mancanti o errati? Forse ripartire dalla “inerzia
docente” può aiutare! Rimanere a scuola a lavorare è momento
socializzante e può essere coinvolgente se c’è almeno un buon numero
di docenti motivati su cui fare leva per ritrovare nuova energia!!!
(Carla Parolari)
Facciamo un po’ di conti
L’emergenza finanziaria
è un vincolo che la scuola, da sola, non è in grado di bypassare. Il
50% del nostro bilancio dello Stato se ne va a pagare interessi sul
debito consolidato da oltre 40 anni, per cui la quota di risorse
pubbliche sulla scuola, sulla sanità, sulla previdenza, sulle
infrastrutture, sugli apparati pubblici (abbiamo meno dipendenti
pubblici di Francia e Germania…) è sempre la più bassa rispetto ai
paesi europei e OCSE. Qui i problemi sono più grandi di noi. Non è
scontato dire: bisogna investire di più sulla scuola (e infatti sta
scritto in tutti i programmi elettorali, ma poi non si fa).
…un
docente inadeguato, poco professionale, poco capace di entrare in
empatia coi suoi studenti e di trasmettere le sue conoscenze arreca
un danno esponenziale ai suoi studenti, che produrrà i suoi effetti
nel corso degli anni. Il mio timore è che i “decisori politici”
abbiano fatto leva su un malcontento purtroppo diffuso per operare
tagli e fare cassa. La cosa che più mi sta colpendo è che nei vari
tg e approfondimenti non se ne parla che sporadicamente, a margine.
Secondo me oggi non si può più prescindere da una valutazione seria
della professionalità, unico criterio per determinare progressioni
di carriera, altro che anzianità di servizio! (Isabella Pinto)
Decisori politici . . .
opinione pubblica . . . immaginario sociale . . . scelte politiche .
. . comportamenti delle scuole . . . professionalità dei docenti . .
. tutto si tiene . . . l’orario così com’è contrattualizzato
forse tutela (!?) la categoria, ma finisce col danneggiarla nel
lungo periodo. Ben vengano proposte più articolate: rendere visibile
il sommerso, costruire tempi di presenza a scuola “non frontali”,
essere esigenti sulla professionalità (reclutamento, formazione
obbligatoria, valutazione, ecc.), definire profili part-time e
full-time, chiedere ai migliori di mettere energie e disponibilità
per sviluppare la qualità della propria scuola. Queste esigenze sono
debolmente rappresentate nel contratto di lavoro, oggi per altro
bloccato.
La
realtà è che il “territorio” ci ha già “valutati”, da tempo. Siamo
precipitati nella considerazione sociale, è saltato quasi ovunque il
patto con le famiglie, abbiamo genitori sempre più “invadenti” che
si sentono autorizzati a discutere e sindacare ogni scelta, spesso
non con intento collaborativo ma in chiara opposizione. Se non si
tiene conto di questa situazione sociale, non si capiscono certe
scelte politiche, inimmaginabili fino a solo pochi anni fa… La
“gggente” NON è con noi, cerchiamo di farcene una ragione e, se
possibile, di riconquistare almeno in parte un po’ del perduto
prestigio…(Antonio Fini)
Come se ne esce?
Insomma, c’è da fare
una lunga traversata nel deserto… e bisogna saper cogliere gli
indizi positivi (se ci sono e comunque farli crescere se non ci
sono) negli orientamenti di senso comune (le lettere ai giornali, i
titoli dei quotidiani e dei Tiggì, i discorsi delle mamme sul
portone della scuola, un filmato positivo, ecc.). La sfida si vince
lì… i documenti da “indignados” io li capisco, ma parlano solo a
noi, tra di noi…
L’orario di lavoro degli insegnanti dovrebbe salire a 26/28 ore
settimanali (5/6 ore al giorno, e basta con l’idiozia delle ore di
buco), di cui 18 passate a fare lezione in classe, le altre a
programmare, accogliere, integrare, lavorare in commissioni o
gruppi, recuperare o potenziare, progettare, sostituire colleghi
momentaneamente assenti (non certo sugli spezzoni)… E a fronte di
queste 26/28 ore di servizio dovrebbe corrispondere un aumento
salariale, a voler essere seri e onesti, di almeno 200/300 euro
netti in busta paga. Dove si trovano questi soldi, per essere ancora
più onesti e seri? Magari tagliando del 50% i fondi d’istituto,
quelli appunto da cui si prendono i soldi per pagare le attività
progettuali, le commissioni, le consulenze di esperti, attività che
sarebbero svolte direttamente dai docenti, con la differenza che i
soldi arrivano in busta paga, e la si fa finita con quella
indecorosa forma di redistribuzione del reddito che è l’assegnazione
del fondo d’istituto ai docenti. Quanto ai giorni di vacanza, che si
dice siano troppi, che vengano pure trasformati in altro
(programmazione, aggiornamento obbligatorio, auto-aggiornamento),
lasciandoci godere senza inutili ironie dei giorni di ferie previsti
per contratto: 36, come tutti. (David Nadery)
…nella valle del Foglia, le aziende sono in crisi, le fabbriche
chiudono ed è di questi giorni il fallimento di una delle più
importanti produzioni di mobili. Mezzo paese rimarrà presto a casa.
Quando vado al bar non oso parlare del rischio di dover fare due ore
in più di lavoro, finirei per ingurgitare il caffè di traverso (e
avrebbero ragione). Quindi non lo faccio. Mentre invece parlo
volentieri dei bambini e di come e cosa occorra per accompagnarli
per avere una buona preparazione. Cerco di essere convincente. I
genitori, che hanno perso il lavoro, non possono perdere anche la
speranza per il futuro dei loro figli. Così, coi colleghi in gamba,
ci ritroviamo per progettare e riprogettare. Se i genitori lo
vedono, lo percepiscono…saranno dalla nostra parte. Ma dobbiamo fare
sul serio. (Marco Renzi)
Alla ricerca di idee convincenti
Bisogna saper
argomentare e provare a farla questa “buona scuola”, altrimenti si
vince …forse… nell’immediato, ma si perde per il futuro.
…questo circolo virtuoso potrebbe essere innescato da tre operazioni
che un governo attento dovrebbe promuovere: 1) investimento sulle
strutture scolastiche in modo da renderle adatte al nuovo modello di
scuola e di docente (laboratori e ambienti per un orario pieno e
trasparente); 2) adeguamento degli stipendi allo standard europeo;
3) articolazione di carriera, previa valutazione delle capacità e
disponibilità. Vorrei aggiungerne una quarta che ritengo preliminare
al fine di far crescere la fiducia nel sistema scolastico:
selezionare dirigenti all’altezza della funzione. (Giuseppe
Prosperi)
Giuseppe Prosperi[2],
dirigente scolastico per tanti anni, ha fatto una bella sintesi
delle nostre aspettative. Il problema è però: “a chi spetta il primo
passo?”, “come rendere credibile la prospettiva di un aumento delle
retribuzioni?”, “che tipo di modello professionale dell’insegnante
proporre all’opinione pubblica?”, “come rimuovere le situazioni di
mediocrità?”, “come costruire una proposta credibile e
condivisibile, dal mondo della scuola ma anche dalla società”. Ecco
questioni su cui occorre ritornare, con proposte credibili e
condivise.
Post-it (da Mara Pacini,
insegnante di scuola dell’infanzia)
Sto
pensando che ho cominciato il 39° anno di servizio nella scuola
dell’infanzia statale, già “scuola materna”: i primi anni facevo 40
ore alla settimana, poi divenute 35 (7 ore al giorno in una scuola
che stava aperta dalle 7.45 alle 18.15). Da molti anni faccio 25 ore
frontali con le bambine e i bambini, più tutte le riunioni con le
colleghe, i genitori, gli enti territoriali, i seminari di
formazione e aggiornamento, letture e studio personali per rimanere
informata…. Uso il mio computer personale, perché a scuola quel che
c’è è praticamente incompatibile con tutto. Inoltre non c’è tempo
per sedersi al pc per leggere o scrivere: mi porto regolarmente il
lavoro a casa, quindi altro tempo per programmare, pensare,
pianificare, predisporre idee e materiali… Lo faccio per me stessa,
per la mia dignità personale e professionale, lo faccio per le
bambine e i bambini che ogni giorno scoprono, insieme a me e alle
mie colleghe, le meraviglie della conoscenza di gruppo. Mi
piacerebbe una maggiore considerazione e un maggiore rispetto da
parte di tutti per questo mestiere, e, sopratutto , mi piacerebbe
che non si facesse “di ogni erba un fascio”…..Meditiamo gente,
meditiamo…
Per
approfondire:
Nella ricerca
effettuata nel 2006 dall’agenzia Apollis per conto della Provincia
di Bolzano è stato ricalcolato il quadro complessivo degli impegni
dei docenti, arrivando a quantificare in percentuale le diverse
attività [attenzione: a Bolzano vige un contratto di lavoro
provinciale, diverso da quello nazionale]. Le lezioni in classe
coprono appena il 33% del tempo di lavoro, altre quote significative
del tempo di lavoro annuale si riferiscono a: lezioni aggiuntive
(3%), accompagnamento/ sorveglianza (6%), preparazione delle lezioni
(18%), valutazione/documentazione (8%), correzione compiti in classe
(3%), programmazione con i colleghi (4%), organi collegiali (4%),
aggiornamento (8%), esami (3%), altro: attività amministrative,
contatti, consulenze, colloqui, udienze, ecc. (10%).