Non volevo fare la prof La scuola digitale con i fichi secchi. Mariangela Galatea Vaglio L'Espresso Blog, 9.11.2012 «Allora, sei contenta? Ho letto che dal prossimo anno avrete i tablet a scuola!» L’amica ha un sorriso soddisfatto e felice, perché dal giornale ha appreso che, secondo quando han deciso al Ministero, diventerà obbligatorio (per le superiori intanto, ma anche presto per le medie) usare in classe i tablet al posto dei libri. E’ giuliva, l’amica, e non capisce perché io, invece, che pure ormai vivo in simbiosi con l’iPad, non sono allegra quanto lei, nell’immaginare classi intere di pupetti tutti con il loro tablet al posto dei vecchi, obsoleti libri su cui abbiamo studiato anche noi, e che, nella maggior parte dei casi, proprio come i nostri, hanno la sola ecologica funzione di servire come rifugio per varie specie di acari. Io le sorrido di rimando, ma in modo cortese ed un po’ forzato. Vorrei cominciare a spiegarle quello che vorrei spiegare, o per lo meno chiedere, anche agli esperti del Ministero, quando se ne escono con queste belle trovate di punto in bianco, ed annunciano oggi l’arrivo di valanghe di tablet in classe, ieri le Lavagne elettroniche distribuite a pioggia qua e là. Ai genitori questi annunci fan piacere, perché immaginano i loro figli che smanettano sul tablet a scuola, come in larga parte fanno già a casa. Deve essere questa anche l’idea di didattica dei consulenti del Ministro: che basti cioè disseminare un po’ di device tecnologici nelle aule per trasformarle subito in digitali, come se le LIM, i pc, i tablet non fossero oggetti tecnologici ma bacchette magiche. E’ vero, come dimostrano recenti studi, che se si lasciano a smanettare su un tablet dei ragazzini, persino nelle sperdute lande del Sud del Mondo, questi in pochi giorni imparano naturalmente ad usarlo, scaricano app, si divertono ad imparare con nuovi giochi. E’ questa l’immagine che hanno in testa i genitori, classi di ragazzini che, come per miracolo, aprono il loro cazzabubbolo nuovo e puff si trasformano in tanti piccoli ingegneri informatici. Peccato che questa immagine così bella sia poco aderente alla realtà. Perché un conto è saper usare un tablet, o un pc o aprire internet e navigare: date in mano ad un bimbo di tre anni un coso informatico qualsiasi e lo farà nel giro di pochi minuti, e ad una velocità impressionante. Ma è lo stesso principio per cui, se lasciate un bimbo di sei anni un giorno con dei suoi coetanei che parlano altre lingue, dopo poche ore i ragazzini avranno imparato alcune parole nuove e frasi, necessarie per comunicare fra loro. Il problema è che alcune parole e frasi non sono una lingua: se i ragazzini vengono lasciarti soltanto fra loro a parlare, si capiscono, sì, ma non sono però in grado di imparare davvero tutte le sfumature della lingua altrui: per far quello bisogna passare per una fase diversa, in cui studiano, con calma e metodo, verbi, sintassi, lessico. E’ lo stesso fenomeno per cui tutti, in Italia, ormai tutti parliamo l’Italiano, ma quando poi si tratta di scriverlo e di comporre testi corretti e comprensibili, be’, là una buona metà della popolazione si incarta, fa errori tremendi, si perde fra congiuntivi e condizionali o non capisce frasi e testi complessi. Ecco, con i tablet e la rivoluzione informatica a scuola succede lo stesso: gli alunni sono veloci ad imparare il “come”, smanettando e intuendo, ma poi bisogna passare alla fase in cui l’intuito deve cedere il posto alla razionalità e all’organizzazione. Ed è là che servono i professori ed i docenti ben formati, perché anche papà e mamma possono insegnarti a nuoticchiare quel tanto sufficiente per tenerti a galla in acqua, ma se poi vuoi andare a fare le gare di nuoto devi frequentare un corso con un istruttore e affidarti ad un allenatore professionista. Il problema con la nuova scuola digitale sta tutto qui. Che sì, magari ci daranno i tablet, e poi si passerà all’ebook e persino a qualche altro marchingegno digitale ancora più sofisticato nel giro di pochi anni. Ma ci fosse un caspita di stanziamento programmato per spiegare a noi professori, entrati in ruolo quando ancora il digitale non esisteva o non esisteva a scuola, cosa dovremmo farcene di tutti questi nuovi device. Perché finora i professori che si sono digitalizzati lo han fatto per conto proprio, e anche un po’ a tentoni, perché erano interssati alla materia, ma stanno sperimentando a naso. Io stessa, quando mi trovo a preparare materiali per LIM, non so ancora bene cosa funzioni e cosa no, provo e vado ad intuito, perché la didattica non è solo saper usare un “coso”, ma anche sapere come devi impostare le lezioni perché siano efficaci per i tuoi alunni, sennò il coso e le slide e tutto diventano solo una mera ostentazioni di nuove tecnologie “fighe” senza ricaduta pratica. E io ed altri, teniamo bene presente, facciamo parte di quella schiera di professori ancora abbastanza “giovani” che se non sono “nativi digitali” sono però digitalizzati ormai compiutamente, sanno fare quasi tutto con il computer, vivono connessi a internet e hanno già a casa, comprato con i loro soldi, uno smatphone o un ipad. Io mi chiedo come si possa sperare, solo mettendo loro in mano un tablet, che altri colleghi, anche bravissimi, ma che non sanno nemmeno come si accende un pc, possano colmare da soli e in brevissimo tempo un gap tanto grande: che non consiste, ripeto, solo nel capire come funzionano i vari device, consiste nel dover inventare per ogni materia una didattica nuova e specifica che usi quel device. E tutto questo a costo zero, perché gli stanziamenti per i corsi di aggiornamento del personale sono inesistenti o ridicoli. E’ ingenuo come immaginare che, dando a ciascuno di noi un pianoforte, nel giro di pochi mesi noi tutti, anche chi non ha suonato mai una nota, sia in grado di comporre le Nozze di Figaro e nel contempo insegnare ai propri alunni come si suona una fuga di Bach. Per cui io, che sono molto digitalizzata, quando sento parlare di classi di alunni che avranno improvvisamente il tablet da usare a scuola, un po’ mi preoccupo, perché già immagino la delusione di molti genitori che vedranno i tablet poco usati, e il terrore di colleghi che, per quanto armati di buona volontà, non sapranno come servirsene, né riusciranno a controllare cosa combinano i loro alunni e nemmeno a guidarli, perché troppo spaesati loro per primi. Immagino le polemiche, le liti, le baruffe, le ennesime recriminazioni contro il corpo dei docenti, le accuse di non essere preparati e di non volersi aggiornare da parte di chi non sa e non capisce che la didattica non si può improvvisare, ed il mezzo tecnico non fa lezione, perché il tablet di per sé è solo un oggetto, non insegna nulla, come non insegna nulla una penna. Non è disseminando a caso vagonate di penne in classe che gli alunni imparano a scrivere, e non è dando a tutti un tablet che si otterranno scuole improvvisamente “digitalizzate” e moderne. Bisogna investire in percorsi di formazione a tutti i livelli, sia base che avanzati, per insegnare come usare i tablet e cosa ci si può fare in classe. Pensare che la formazione e la sperimentazione sia lasciata, come negli anni passati, alla buona volontà dei singoli docenti e che gravi sulle loro tasche, è pura follia. Le nozze, dice un vecchio proverbio, non si possono fare con i fichi secchi. Vale anche per la didattica. E poi, comunque, almeno i fichi secchi bisogna metterceli, eh. |