Il
capo dipartimento per la
programmazione e la gestione
delle risorse umane, finanziarie
e strumentali, Giovanni Biondi,
non ci sta: attraverso
un’intervista rilasciata alla
Tecnica della Scuola, l’alto
dirigente ministeriale sostiene
che le “pillole del sapere”,
venute alla luce durante la
trasmissione Report, andata
in onda su RaiTre il 18
novembre, e di cui la nostra
testata ha fornita una
seguitissima
anteprima, non sono farina
del suo sacco. Lui non c’entra.
Né con la scelta dell’azienda
privata multimediale gestita da
Ilaria Sbressa, consorte di
Andrea Ambrogetti, direttore
delle relazioni istituzionali di
Mediaset e presidente
dell’associazione che cura il
digitale terrestre, che ha
prodotto gli spot educativi
pagati dal Miur 730 mila euro.
Né con la decisione di scegliere
quei tecnici che, attraverso le
commissioni ministeriali, hanno
puntato sull’azienda della
Sbressa: il capo dipartimento
sostiene che i nominativi
sarebbero stati indicati dal
direttore generale dimissionario
Massimo Zennaro. Biondi sostiene
quindi di essersi preso la
responsabilità di allestire le
commissioni tecniche solo perché
il direttore generale che
avrebbe dovuto farlo se ne era
andato. Poi tiene a dire che
quegli spot sono originali,
nemmeno troppo mini - non durano
tre minuti ma tredici - e di
sicuro valore educativo.
Dottor Biondi, in questi giorni
il suo nome è stato accostato a
quello dei responsabili che
hanno commissionato le “pillole
del sapere”: prodotti digitali
di dubbia valenza formativa, per
i quali lo stesso ministero
dell’Istruzione avrebbe pagato
cifre iperboliche. Cosa ha da
dire?
Prima di tutto devo fare alcune
precisazioni. La prima è che le
“pillole del sapere”, di cui
Report ha parlato, non sono di
soli tre minuti l’una. Ma durano
molto di più: tredici minuti. E
non sono, quindi, quelle
mostrate in tv. Riguardano
invece dei contenuti educativi
condivisi dall’Ansas e dalle
scuole che hanno commissionato e
approvato il progetto. E che ora
sono in fase di revisione
finale.
Questo significa che le “pillole
del sapere” non sono ancora
pronte?
I
format sono stati consegnati
all’Ansas, i cui esperti hanno
proposto delle modifiche. Che in
questo momento stanno
realizzando. Però il loro
collaudo è stato già approvato.
Ma chi ha
approvato i contenuti realizzati
dall’azienda multimediale?
Sono un gruppo di persone, di
esperti tecnici, i cui
nominativi erano stati scelti
dal dottor Zennaro. Ovviamente
prima che lui lasciasse il Miur,
lo scorso 7 gennaio.
E lei
quando ha nominato le
commissioni?
Due settimane dopo: il 20
gennaio. Quando ho insediato il
tavolo di lavoro. E questo
perché il posto del direttore
che avrebbe dovuto farlo era
rimasto vacante. E mi è stato
chiesto, in qualità di capo
dipartimento, di farlo al posto
suo. Però ha trovato
praticamente tutto già pronto.
A
quel punto l’Ansas ha attuato le
procedure per la scelta dei
prodotti multimediali,
naturalmente sulla base delle
regole imposte dalla Consip.
Come accade in tutte le
pubbliche amministrazioni.
Rimane il
fatto della scelta caduta su
un’azienda con credenziali
dubbie.
Non voglio entrare nel merito.
Perché sull’acquisto non ho
alcuna implicazione. Dico solo
che questa società multimediale
ha prodotto non solo le
“pillole” di cui tanto si parla,
ma 800 prodotti. E che quelli
prescelti sono stati selezionati
da persone competenti. Inoltre
sono originali, non certo
copiati da internet, come si è
detto.
Quindi il Miur ha fatto bene a
puntare sull’azienda della
Sbressa?
Questo lo deve chiedere alle
commissioni. Sono loro che hanno
valutato e confrontato le
candidature. Io dico solo che
non c’entro niente. Il mio unico
ruolo è stato solo quello di far
insediare le commissioni. Ma, lo
ripeto, si tratta di nominativi
di tecnici recepiti, come quelli
della direzione dello studente,
sulla base di indicazioni
precedenti.
E
da quel momento il suo ruolo
nella realizzazione delle
“pillole del sapere” quale è
stato?
Ho
cercato di dare un apporto sui
contenuti. Cercando, come
riportato dai verbali, di
rendere le ‘pillole’ utili anche
per la formazione curricolare. A
seguito di un accordo con il
motore di ricerca Google, ho
proposto, ad esempio, di
affiancare la loro fruizione
anche in ambito didattico. Ma
poi non se ne è fatto nulla.
Alla fine, comunque, quanto
prodotto possono dire che sono
dei prodotti multimediali di
buona fattura.
Insomma, dopo le
dichiarazioni di estraneità
rilasciate dall’ex ministro
dell’Istruzione, Maria Stella
Gelmini, e dal suo braccio
destro, all’epoca, Massimo
Zennaro, stavolta è il capo
dipartimento, Giovanni Biondi, a
tirarsi fuori. Con una difesa
corredata da dettagli che
smonterebbero, almeno in parte,
le accuse rivolte nei confronti
del Miur dalla redazione di
Report. Ora la parola passa al
ministro Profumo: che nel
pomeriggio del 22 novembre
spiegherà la sua versione
dei fatti durante un’audizione
presso la Commissione Cultura
della Camera.
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