SCUOLA

Caro Monti, la libertà di educazione
vale meno di taxi e farmacie?

Giancarlo Tettamanti, il Sussidiario 15.3.2012

Il problema dell’educazione e della formazione delle giovani generazioni è problema vivo, e costituisce una grave e primaria emergenza che – come da molti sottolineato – in Italia si caratterizza soprattutto in ordine alle politiche sociali che devono avere nella persona e nella famiglia i pilastri fondamentali su cui promuovere una nuova specificità culturale nazionale ed europea. È opinione comune che ci si debba basare su radici culturali che consentano di attrezzare le giovani generazioni ad un confronto multietnico che non tema interazioni nell’attuale contesto di globalizzazione.

La situazione economica e culturale del nostro Paese sta divenendo drammatica, e coglie profondamente anche il settore educativo/formativo: non va dimenticato – come ebbe a dire Benedetto XVI – che la prima emergenza è proprio quella educativa. E la scuola diviene soggetto a cui dare grande attenzione.

Le stesse riforme promosse dal nuovo governo tecnico pongono le famiglie in una situazione di grande precarietà, e ciò va a colpire profondamente anche la possibilità di scegliere l’indirizzo educativo/formativo dei propri ragazzi. Molte sono le famiglie che, affrontando notevoli sacrifici, ponevano l’indirizzo dei loro investimenti proprio nella scuola e nell’educazione scolastica, scegliendo la scuola paritaria per il prosieguo degli studi. Ora molte di loro saranno nella impossibilità di proseguire in questo loro orientamento educativo, e saranno costrette ad abbandonare i percorsi precedentemente scelti per i loro ragazzi. Già ultimamente molte scuole cattoliche si sono viste nella necessità di chiudere: da oggi questa possibilità di abbandono della funzione educativa da parte di molte scuole si moltiplicherà. Tecnici e politici parlano molto di “liberalizzazioni”: sembra questa la panacea per risolvere i problemi tutti. Ma la prima vera “liberalizzazione” non può essere quella dei farmaci, dei taxi, dell’acqua e di quant’altro. La prima vera liberalizzazione è quella della cultura e della scuola.

Lo Stato, per quanto riguarda la scuola, deve fare un passo indietro: non è suo compito dettare il tipo di educazione e di formazione degli alunni e degli studenti. Suo compito quello di promuovere, coordinare, sostenere e garantire l’azione dei membri tutti della società civile. Egli (lo Stato) è tenuto a sostenere la priorità della libertà della persona rispetto a sé, soprattutto quando la persona è coinvolta nei suoi aspetti più decisivi. La battaglia contro lo statalismo – che l’on. Prodi ebbe a definire “retaggio inaccettabile” e che tuttavia permane nelle consuetudini – è anche la strada per migliorare la qualità stessa dell’istruzione e dare vita ad un migliore “ascensore sociale” per tutti.

In fondo il principio di sussidiarietà esige e salvaguarda la libertà del cittadino: una libertà che deve essere integrata con la giustizia, ma che non può essere immotivatamente soffocata o ridotta. Ciò vale nel contesto di una sussidiarietà verticale: cioè un diverso rapporto tra Stato e Regioni-Province-Comuni; così come vale a livello orizzontale: cioè un diverso rapporto tra i vari corpi intermedi a partire dalla famiglia quale primo insostituibile istituzione. Purtroppo la sussidiarietà prevista anche dal Titolo V della Costituzione non è altro che un camuffato decentramento.

Per quanto concerne la libertà di insegnamento e di educazione, nonché la libertà di scelta della scuola senza condizionamenti economici, sembra urgente una legge quadro che stabilisca, nella libertà di ognuno, le modalità di approccio e di realizzazione. Sono deleterie certe presunzioni dello Stato, che confonde il principio di sussidiarietà con il principio di sostituzione, arrogandosi il diritto di interferire nelle prerogative che sono della persona e della formazione sociale più vicina alla persona stessa, la sua famiglia; e va altrettanto respinta l’affermazione – sentita in tempi non lontani nell’aula parlamentare – secondo la quale “nella Costituzione viene negato il principio di sussidiarietà scolastica, perché prevale e fa riferimento per tutti la scuola gestita dallo Stato”. Come si vede, questa impostazione è ancora presente e pone il problema della pari dignità e della sussidiarietà scolastica nell’alveo dei problemi irrisolti.

La laicità dello Stato e dei pubblici poteri va affermata non solo come diritto, ma anche come dovere. Spesso sembra che si sostenga, o meglio che si lasci intendere in modo implicito e quasi subliminale, che la laicità, nel contesto democratico, implichi necessariamente la rinuncia ad ogni convinzione, soprattutto in campo filosofico ed etico: in questo senso, il relativismo cognitivo e morale sarebbe il presupposto di ogni vera convivenza democratica. Una democrazia è accettabile e funzionante in modo adeguato quando si fonda su un patrimonio di valori e di convinzioni morali che rispettino e aiutino la persona ad attuarsi in modo pieno. È la “centralità della persona” che deve stare all’origine di ogni sana democrazia, e ci si deve richiamare alla preziosità intangibile della stessa nei suoi diritti fondamentali ed inalienabili. Va respinta l’idea che lo Stato si eriga come istanza di verità e di educazione.

Ecco che allora la proposta pluralista delle scuole sembra, così, offrirsi come l’attuazione più limpida e realistica del principio di laicità dello Stato e di sussidiarietà nell’intervento dello Stato medesimo, il tutto in un contesto di libertà di scelta e di proposta formativa, superando così lo stallo in cui, ancor oggi, si trova la scuola italiana.