Tutor sarà lei!? di Red Rom ScuolaOggi 19.3.2012 In effetti, leggendo la prosa buro-pedagogica della nota 1159 del 17-2-2012 con la quale si preannunciavano radiosi percorsi formativi, che avrebbero portato 330 insegnanti italiani in due pomeriggi “in presenza” ad acquisire una specializzazione in tutorship d’aula, si capiva da subito che la vicenda sarebbe finita male. Come poi è avvenuto, con il ritiro della circolare e la sospensione (sine die?) dell’iniziativa disposta con nota MIUR 1961 del 15-3-2012. Però, non è un bel vedere che il MIUR smentisca se stesso, e sta capitando troppo spesso negli ultimi tempi. Intanto, colpisce nel progetto “tutorship” la mancanza di un chiaro riferimento allo scenario normativo ed istituzionale in cui l’iniziativa si sarebbe dovuta collocare. Chi era il tutor immaginato? Forse l’insegnante distaccato all’Università per gestire tirocinii, TFA, laboratori, formazione iniziale dei docenti? Oppure, chi a scuola accoglie i nuovi insegnanti nella fase di praticantato guidato? Forse, chi coordina il team/consiglio di classe? O ancora, chi si candida a svolgere funzioni di formatore, quasi un free-lance dell’aggiornamento? Ogni interpretazione è lecita (ad esempio non c’è alcun riferimento al DM 249/2010 che riorganizza la formazione iniziale dei docenti), ma questa vaghezza inficia la serietà del progetto. Ancora, è emblematica l’assenza di un modello formativo chiaro ed esplicito, con l’individuazione di contenuti, metodi, competenze attese al termine del percorso, con un evidente sbilanciamento a vantaggio della formazione on line, e con una risicatissima quota di tempo in presenza (ma le qualità di bravo tutor non si dovrebbero mettere alla prova attraverso setting operativi, ricchi di contenuti relazionali oltre che cognitivi?). Risibile poi era il criterio di accettazione delle domande di partecipazione, nientemeno che per ordine di arrivo al protocollo della scuola, senza nessun vaglio del curriculum, delle motivazioni, della possibile utilizzazione del personale formato. Ma è forse questo il nuovo modo per valorizzare le professionalità, per riconoscere il merito, per premiare gli insegnanti che hanno dedicato tempo, energie e risorse alla propria formazione e alla ricerca didattica? Stiamo notando che in vari progetti del MIUR si sta adottando la logica low-cost del “se arrivi prima, paghi meno…”. Nuove tendenze della pubblica istruzione? Discutibile, infine, l’aver rinunciato – da pare del Ministero – ad organizzare l’iniziativa di formazione avvalendosi delle proprie strutture tecniche, Indire, Irre, ispettori, o comunque rapportandosi in modo trasparente con le sedi e le strutture universitarie. Infatti, come mai si affida un progetto strategico, se tale vuole essere, ad una associazione di natura privatistica, l’ANFIS, di cui non è dato di sapere – almeno nella circolare - la ragione sociale. Si tratta dell’Associazione Nazionale Formatori Insegnanti Supervisori, credo meritevole di attenzione, ma una delle oltre 300 associazioni o enti riconosciuti dal MIUR. Dunque, qual è la ratio che ha portato ad individuare tale soggetto? E’ stato accertato che nessun soggetto pubblico fosse in grado di assolvere a questa funzione, prima di “esternalizzare” un programma di formazione considerato strategico dal MIUR (visto che si è peritato di rivolgersi direttamente alle oltre 10.000 scuole italiane)? Ecco, ci pare che, nonostante i fieri richiami all’autonomia delle scuole, ai benefici del federalismo anche in campo scolastico, al decentramento di funzioni verso territori e regioni, per quanto riguarda la politica della formazione in servizio (e non solo), si stia assistendo ad una pericolosa ri-centralizzazione di ogni decisione al vertice romano: quasi mai è dato di conoscere quali siano le scelte di fondo (e gli stessi sindacati e le associazioni professionali se ne sono lamentati), quali le priorità nell’utilizzo dei risicati fondi a disposizione, quali i criteri di gestione e scelta di partner e interlocutori. Spesso arrivano richieste alle scuole di segnalare disponibilità di docenti alla partecipazione alla formazione, poi il tutto si “insabbia” in qualche casella postale ministeriale. Ad esempio, che fino hanno fatto le 7-8.000 richieste di partecipazione ai corsi CLIL, insegnamento delle discipline in una lingua straniera, raccolte dal MIUR nel dicembre 2010, cioè 14 mesi fa? La richiesta di formazione che emerge dalle scuole è alta, anche l’incidente di percorso sui corsi per tutorship (con alcune migliaia di domande presentate al buio), dimostra che ci sono tanti docenti disponibili ad impegnarsi in attività di formazione, ma segnala drammaticamente anche l’assenza di una credibile politica per la formazione in servizio del personale insegnante: - non sono chiari i ruoli dei diversi soggetti (MIUR, Indire, i soppressi IRRE, gli Uffici regionali e provinciali in fase di ridimensionamento, le Università, il mondo delle associazioni e dei privati); - mancano standard di qualità sulla formazione (quanto dura un corso, come si struttura, come si certificano gli apprendimenti conseguiti, come si scelgono i partecipanti); - nulla si dice sugli effetti della formazione (obbligatorietà o meno, acquisizione di crediti per incentivi e carriera, ricaduta sulla didattica e sulla scuola); - carenti sono le indicazioni su quando, dove, come, chi “fa formazione”… dando luogo ad un far-west ove ognuno fa tutto e il contrario di tutto.
Si può sempre imparare dalla lezione dell’esperienza, anche dagli errori e dai passi falsi. Ma non vogliamo indugiare oltre, perché è tempo di rimboccarsi le maniche, ai vari livelli di responsabilità, per costruire un vero sistema di formazione iniziale ed in servizio per i docenti della scuola italiana. |