Bertagna: studenti più bravi? intervista di Pietro Vernizzi a Giuseppe Bertagna, il Sussidiario 20.3.2012
A fare la
differenza nel rendimento scolastico degli studenti è soprattutto il
tempo che i genitori decidono di trascorrere a parlare con loro. E’
quanto emerge da un approfondimento del rapporto Pisa 2009, che
analizza il ruolo dei genitori nel successo scolastico dei figli. I
ragazzi 15enni che, mentre frequentavano il primo anno della
primaria, hanno passato molto tempo a leggere e conversare con i
genitori hanno un punteggio di 21 punti superiore a quello dei loro
coetanei. E anche prendendo in considerazione studenti con la stessa
estrazione socio-economica, la differenza di rendimento tra chi
discute di attualità con i genitori e chi non lo fa è di 14 punti.
Per Giuseppe Bertagna, ordinario di Pedagogia generale
all’Università di Bergamo, “sarebbe interessante verificare anche
altri aspetti diversi dall’apprendimento teorico, come le abilità
manuali, il know how tecnologico e la dimensione corporeo-affettiva.
Il nodo centrale dell’educazione è infatti l’equilibrio tra ciascuna
di queste dimensioni”. Professor Bertagna, come valuta i dati che emergono dal rapporto Pisa 2009 sull’educazione in famiglia?
La forza
dell’educazione sta nella famiglia, soprattutto se i bambini sono
coinvolti da una vera relazione paterna e materna, che non sia
basata su elementi come il silenzio, l’ordine, la disposizione, il
potere e l’obbedienza cieca. Anche questo è un elemento che conferma
l’importanza di un nucleo familiare in cui i genitori siano entrambi
presenti e attivi. Mi fa piacere inoltre che finalmente la
dimensione socio-economica sia meno rilevante delle relazioni
familiari. Da un lato mi stupisce che l’aspetto socio-economico non
sia così incidente, dall’altro quando si parla dell’importanza della
famiglia mi sembra una conferma di quanto si sapeva già. La famiglia
e i genitori sono infatti fondamentali, e quando svolgono il loro
ruolo con una sensibilità educativa i risultati si vedono. Laddove
questo capita, se riusciamo a neutralizzare l’influenza negativa
dell’aspetto economico, abbiamo buone speranze per il futuro.
Sono almeno 100
anni che esistono evidenze empiriche che dimostrano che le classi
cosiddette “agiate”, che hanno stili di relazione con i figli basati
sulla parola, sul discorso, sul dialogo e sull’apertura al sociale,
riescono a ottenere risultati migliori a scuola rispetto a quelli
che provengono da famiglie meno agiate e più povere. Queste ultime
hanno stili di comportamento diversi, e preferiscono le attività
manuali rispetto a quelle teoriche, e quindi l’aspetto operativo e
addestrativo, come il lavoro, alla riflessione formale. Ma questa è
semplicemente la conferma che la scuola dà al proprio modello
educativo. Se la scuola fosse invece giocata, anziché sugli aspetti
formali, su quelli manuali e sulla riflessione su di essi, o sulle
dimensioni più legate alla corporeità, alla transizione, alle
attività, forse avremmo risultati differenti. Sarebbe quindi
interessante comparare, attraverso sperimentazioni, la verità o meno
dell’ipotesi che le ho illustrato.
Se la scuola
certifica e verifica le dinamiche familiari, questo è un elemento di
conferma. Bisogna però vedere se è opportuno certificare e
verificare anche paradigmi o modelli che nella scuola non trovano
coltivazione e che tuttavia sono diventati importanti anche per
l’equilibrio etico e sociale del nostro tempo. Per esempio per
quanto riguarda l’utilizzo delle nuove tecnologie e i social network
da un lato e i risultati di apprendimento dall’altro. Secondo me sarebbe assolutamente decisivo, anche perché l’educazione è sempre integrale e l’aspetto scolastico valuta o avvalora determinate componenti dell’aspetto educativo, ma non valuta né avvalora dimensioni che strategicamente e storicamente la scuola trascura. Tra queste ci sono per esempio anche le dimensioni corporeo-affettive. L’idea dell’integralità dell’educazione implica che non debba sviluppare solo la mente, le mani, il sentimento o il cuore. Il nodo centrale dell’educazione è l’armonia, l’equilibrio tra queste dimensioni. In modo tale quindi che non ci sia mai l’una senza l’altra, e che l’una si inveri nell’altra. Se l’educatore si sofferma troppo su una dimensione e trascura le altre, fallisce quindi il suo compito. |