STATI UNITI

Le cinquanta parole vietate ai minori
nelle scuole Usa del politically correct

Decine di vocaboli proibiti nei test scolastici dal dipartimento dell'Istruzione dello Stato di New York per non 'offendere' determinati settori della società. Così non si possono citare i dinosauri per non far infuriare i creazionisti, né la musica rap perché volgare

Angelo Aquarla Repubblica, 27.3.2012

NEW YORK - Vietata la parola "dinosauro", che pure ai bambini piaceva tanto dai tempi dei cartoon degli Antenati. Il vecchio "Dino" rimanda all'idea di evoluzione, parlare di evoluzione fa infuriare i creazionisti e quindi non si può, tantopiù adesso che uno di loro, Rick Santorum, punta alla Casa Bianca. Vietata anche la parola "dancing": troppo sexy e licenziosa, meglio non fare balenare per la testa certe idee. E vietata perfino quella parola terribile, "compleanno": i Testimoni di Geova non lo festeggiano, vorrete mica urtare la sensibilità di qualche piccolo devoto.

Benvenuti nella classe più politicamente corretta del mondo: dove la preoccupazione di non offendere nessuno sfiora, anzi decisamente sfora, i confini del ridicolo. Anche perché qui siamo a New York e le direttive sui nuovi test rischiano di gettare ulteriore discredito su una struttura scolastica già sconvolta dall'impreparazione degli insegnanti e dalle polemiche sul licenziamento.

La lista delle parole bandite è l'ultima follia. Anche perché - si chiedono gli esperti - se togliamo di mezzo le parole più controverse come faremo a testare la capacità d'apprendimento dei nostri ragazzi? Non si può usare la parola "povertà" perché rischia di mettere in imbarazzo l'alunno che si ritrova il papà disoccupato: condizione purtroppo comune all'8,3 per cento degli americani.

Non si può usare la parola "divorzio" perché i piccini potrebbero rivivere uno shock famigliare. Non si può usare tantomeno la parola "schiavitù" perché rischia di urtare la sensibilità dei piccoli afro-americani. E non c'è posto neppure per il povero ET: la parola "extraterrestre" turberebbe la fantasia dei più sensibili. Cose, appunto, dell'altro mondo.

Eppure le direttive sono nero su bianco nella lettera che il dipartimento per l'Istruzione ha spedito agli editori dei test svolti diverse volte all'anno per valutare i progressi (e i regressi) dei giovanissimi studenti delle elementari: in inglese, matematica, scienze e studi sociali. Il motivo? Quelli del dipartimento per la verità frenano: "Questo è il tipo di linguaggio standard che viene usato dagli editori da diversi anni per permettere ai nostri ragazzi di completare il test senza distrazioni". Distrazioni? Secondo il New York Post, che ha sollevato il caso, con ben cinquanta parole bandite la lista della Grande Mela è però lunga più del doppio di quelle usate negli altri stati.

Per carità: che il politicamente corretto sia diventato un'ossessione di questa civiltà basata su un'incredibile miscuglio di etnie e culture non è certo cosa nuova. Proprio qui - e proprio negli anni Settanta delle lotte per i diritti civili - è nata l'espressione "politically correct". Che negli anni Novanta sempre qui ha poi dato origine a quell'opposto estremismo che va sotto il nome di "politicamente scorretto". Da allora la guerra culturale tra destra e sinistra ha invaso il mondo.

E anche da noi, si sa, gli spazzini sono diventati operatori ecologici e i ciechi, che pure inalberano una benemerita Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, dopo diventati appunto non vedenti. Ma perché adesso devono essere i bambini a pagare per l'imbarazzo linguistico dei grandi?

Nei test non si può citare la musica rap perché volgare. Non si possono citare neppure le parole "videogame" e "televisione": non fanno rima con educazione. Ma togliendo ai ragazzi la possibilità di discutere di ciò che conoscono meglio non è controproducente? Sostiene Deanna Kuhn del Collegio degli Insegnanti della Columbia University: "Se lo scopo dei test è stabilire le capacità di organizzazione del pensiero, allora proprio i termini più controversi, cioè quelli presenti nel dibattito pubblico, sono esattamente quelli su cui gli studenti dovrebbero misurarsi".

Ma that's America: con tutte le sue contraddizioni. "Perché questo è solo l'ultimo esempio di una causa di sinistra che finisce per avere implicazioni di destra" dice a Repubblica Thaddeus Russell, autore di quella A Renegade History of the United States che ha reincendiato il dibattito sul politicamente corretto. "Se ai ragazzi si impedisce di discutere di temi così importanti come povertà, evoluzione, religione e divorzio, allora non saranno mai capaci di pensare in maniera differente dello status quo". Restando, insomma, tanti piccoli dinosauri: se solo potessero confrontarsi con quella parola vietata ai minori.