Palumbo (Miur): arrivano le nuove competenze intervista a Carmela Palumbo, il Sussidiario 26.3.2012 Valutare per competenze: parole che alle famiglie suonano per lo più estranee, o al più evocano un linguaggio tecnico-burocratico nel quale, a torto o a ragione, l’amministrazione scolastica è notoriamente maestra. Gli insegnanti però le conoscono molto bene, perché non basta più, nel chiuso del consiglio di classe, arrivare ad un voto per ogni disciplina. A che serve, infatti, conoscere le formule o la grammatica, se poi non si sanno risolvere «problemi» in contesti nuovi o padroneggiare la lungua a seconda delle diverse situazioni? Ecco dunque il tema delle competenze, e della loro valutazione o meglio «certificazione» finale (per il I ciclo e per il biennio del II).
Ora però potremmo
essere all’ultimo atto perché, dopo un bel po’ di anni nei quali la
certificazione era d’obbligo ma i modelli circolanti ad uso delle
scuole – fatti di descrittori analitici che hanno suscitato tante
diffidenze e grattacapi – erano per lo più guardati con il sospetto
che si deve agli alieni, il ministero sta ultimando l’elaborazione
di un nuovo modello nazionale, con annesse linee guida.
IlSussidiario.net ne ha parlato con Carmela Palumbo, direttore
generale del Miur per gli ordinamenti scolastici.
Sta principalmente nel fatto che la didattica non è ancora orientata
per essere poi valutata in termini di competenze. È un nodo che
viene evidentemente prima della certificazione: infatti, sia la
certificazione che avviene in obbligo di istruzione (biennio del II
ciclo, ndr), sia quella, sulla quale stiamo ancora lavorando, che
avviene nell’ambito del I ciclo non presentano grosse difficoltà, né
di comprensione né di utilizzo da parte dei docenti. Il vero
problema è che vanno costruite le prove di accertamento in modo che
le competenze possano essere «rilevate».
Per esempio le
cosiddette prove esperte o di realtà: quelle che mettono i ragazzi
in situazione di realtà, di risoluzione di problemi, sulla base
delle conoscenze che hanno acquisito nell’ambito delle normali
attività didattiche e che attengono l’utilizzo delle conocenze di
diverse discipline.
La certificazione
delle competenze dà certamente un contributo ulteriore alla
valutazione degli apprendimenti: permette di definirli meglio, di
dettagliare il profilo in uscita in modo più realistico, con
riferimento alle caratteristiche proprie non solo di apprendimento
ma anche di comportamento in situazione degli studenti.
La situazione è a macchia di leopardo. Ci sono scuole che hanno
lavorato in rete tra di loro e sono a un livello molto avanzato:
hanno davvero adeguato la didattica anche alla possibilità di
rilevare e certificare le competenze. Altre, invece, si stanno
ancora interrogando sulla didattica per competenze, e devono puntare
sulla «formazione» degli insegnanti.
Certamente è più difficile, vista l’età degli studenti, andare ad
osservare le competenze per quanto riguarda la scuola primaria,
poichè siamo in una fase in cui esse sono ancora in fase di
costruzione e di consolidamento. Da cui la necessità, quando si
certificano le competenze in questa fascia, di fare qualcosa il può
possibile «soft», assecondando una didattica fatta di un mix
equilibrato di approcci disciplinari e metodologie. Cosa diversa,
invece, al termine del I ciclo, cioè della vecchia scuola media,
dove anche le prove Invalsi che fanno parte dell’esame di Stato si
avvicinano sempre di più ad un modello centrato esplicitamente sulle
competenze.
Ora stiamo lavorando soprattutto sull’elaborazione del modello
nazionale per il I ciclo. Questo sarà accompagnato da linee guida
che indicheranno alle scuole non solo come impiegare il modello in
sé, in chiave di certificazione finale, ma come inserirlo
organicamente in modo che possa essere di aiuto concreto alla
didattica. Intendiamo inoltre incentivare la formazione.
In quanto unificato, il modello dà valore alla certificazione,
perché se ogni scuola adottasse un suo modello differente, tutti
quanti risulterebbero «irriconoscibili» a livello di scuole
superiori e verrebbe meno il requisito fondamentale di un
«linguaggio» comune tra le scuole. Però il modello è organizzato in
modo tale che le scuole possano davvero farlo proprio, facendo
emergere, attraverso i vari campi di compliazione, le attitudini
degli studenti e le competenze che hanno dimostrato nel corso degli
studi.
Il gruppo tecnico ha lavorato bene e l’attività preparatoria è
praticamente ultimata. Ora stiamo perfezionando lo strumento delle
linee guida che accompagnerà la messa in campo del modello, dopo di
che lo consegneremo al vertice politico del ministero, per
l’adozione che dovrà avvenire con decreto ministeriale. Contiamo di
poterlo adottare entro il termine di quest’anno scolastico, in modo
che le scuole lo possano usare operativamente già dall’inizio del
prossimo.
Può farlo proprio già al termine di quest’anno solastico 2012.
Intendiamo fare attività di formazione, perché sappiamo di chiedere
una cosa molto impegnativa dal punto di vista della didattica, che
richiede una profonda innovazione nel metodo e non solo nella
valutazione dell’apprendimento degli studenti. Questo perché i
docenti, nella loro generalità, hanno una formazione di matrice
universitaria che non è mai stata impostata sull’insegnamento per
competenze. Siamo davanti, ne siamo consapevoli, ad un’operazione
che richiederà molti anni per produrre i suoi effetti, e che dovrà
coinvolgere per questo, in termini di innovazione e ricerca, le
stesse università. Diciamo che già la valutazione degli apprendimenti dovrebbe essere un’attività collegiale; sappiamo bene però cosa avviene in concreto, perché ogni prof è geloso della propria disciplina e se ne ritiene depositario in modo esclusivo. Per le competenze questo non è possibile, perché attengono a più ambiti disciplinari e pertanto la collegialità sarà sempre più necessaria. Di questo il modello e le linee guida terranno debitamente conto. |