Tirreno Power:
Lettera da un Giornalista savonese emigrato

A Londra in quella che fu un’imponente centrale a carbone ora si contano quadri, rassegne ed installazioni video. Laddove c’era carbone, oggi c’è arte. Nei fumi di Londra solo dopo anni si cominciarono a contare i morti con un’incidenza catastrofica di malattie tumorali...

di Matteo Ciangherotti da Savona News, 16.3.2012

Gentile Ministro Corrado Passera, gentile Ministro Corrado Clini e gentile Ministro “savonese” Francesco Profumo, mi chiamo Matteo Ciangherotti e sono un giornalista.

Sono nato a Savona dove ho collaborato con la redazione locale del Secolo XIX e da oltre un anno passo un po’ del mio tempo a Trento dove sono corrispondente per il quotidiano L’Adige.

Mi sono laureato in comunicazione e giornalismo a Torino e ho fatto un master in comunicazione scientifica e ambientale all’università La Sapienza di Roma. Ho pubblicato la mia tesi del master sul tema energia e ambiente. Una vera e propria inchiesta energetica con la lettura di testi della letteratura scientifica mondiale, l’interrogazione di numerosi esperti in materia, nel tentativo complesso di vederci un po’ più chiaro.

Ho vissuto per trent’anni a pochi chilometri da una grande centrale elettrica, la Tirreno Power di Vado Ligure, sul cui progetto di ampliamento a carbone il precedente governo si è espresso a favore.

Ritengo che oggi scegliere di costruire nuovi gruppi termoelettrici per bruciare nuovo carbone in una centrale collocata in pieno centro abitato rappresenti una scelta assurda nell’economia energetica mondiale.

A Londra in quella che fu un’imponente centrale a carbone ora si contano quadri, rassegne ed installazioni video. L’imponente ciminiera del Tate Modem apre le porte ai visitatori di una delle più belle gallerie d’arte moderna al mondo. Laddove c’era carbone, oggi c’è arte.

Nei fumi di Londra solo dopo anni si cominciarono a contare i morti con un’incidenza catastrofica di malattie tumorali.

Allora non vi era una sola centrale all’interno delle mura cittadine, gli impianti a carbone erano più di uno, ma pochi ne conoscevano gli effetti dannosi sulla salute umana. Era il tempo in cui si credeva ancora che si potesse far convivere l’industria con la città, intesa come zona densamente popolata.

Poi, lentamente, si cominciarono a spostare le centrali in pianure lontane dai centri abitati, il carbone iniziò a essere dismesso o riconvertito, come nel caso dell’impianto a metano della vicina pianura piacentina e di molti altri impianti lungo la nostra penisola.

Decidere di ampliare una centrale a carbone situata in pieno centro abitato fra Vado Ligure, Quiliano e Valleggia, rappresentata una scelta ai limiti dell’assurdo.

Non solo si favorirebbe un ulteriore danneggiamento ambientale, in plateale contraddizione con il Libro Bianco dell’Unione Europea che invita, entro il 2020, a ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera di almeno il 20% e a potenziare lo sviluppo delle energie rinnovabili fino a raggiungere il 20% del totale della produzione energetica, ma si entrerebbe in totale contrasto con il nostro futuro.

Il carbone, come tutti i combustibili fossili, è una risorsa destinata a finire e che, con l’ingresso di Cina e India nella produzione energetica su vasta scala, sta finendo sempre più velocemente.

Si vuole costruire una centrale già morta in partenza perché l’unico ragionamento concesso agli amministratori delegati delle aziende e ad alcuni governanti locali è quello che si fonda sul breve periodo e sul profitto che ne deriva. Salvo poi dover pagare sonore multe all’Unione Europea per non aver rispettato le soglie di emissioni, senza spiegare ai cittadini che l’energia in Italia costa di più rispetto all’estero anche perché “noi” dobbiamo pagare le multe.

Senza preoccuparsi di arrestare i cambiamenti climatici, rispettando invece l’impegno preso in sede europea, e continuando a restare completamente dipendenti dal punto di vista energetico, se si riflette sul fatto che, per esempio, il governo danese ha varato un programma di totale indipendenza dai combustibili fossili entro il 2050. Allora, forse, è possibile e così dicono anche moltissimi studi americani di cui in Italia si preferisce tacere.

La Valle di Vado ha dato molto all’economia ligure e i segni sono visibili nel dissesto di un’area sventrata tra discariche (due), centrale elettrica, gasdotto, industrie chimiche e ora si vorrebbe perfino la piattaforma (progetto Maersk). A pochi metri dal porto di Vado, girando l’angolo e i container si trova uno dei litorali più belli della Liguria intera con un fondale marino che fa invidia alle spiagge della Sardegna: che ne sarà del parco naturale dell’Isola di Bergeggi tra fumi di carbone e navi di venti metri che stravolgerebbero i fondali, privandoli di fauna e flora?

Un centinaio (forse addirittura meno) di posti di lavoro promessi con il ricatto occupazionale possono essere adeguatamente sostituiti con investimenti più lungimiranti e che guardino davvero al futuro.

Che lo dica la Provincia di Savona, la Regione Liguria o l’ingegner Gosio, amministratore delegato di Tirreno Power – curiosamente seduto al tavolo dell’Unione Industriali di Savona – il carbone “pulito” non esiste perché ad affermarlo è tutta la comunità scientifica internazionale.

Con la centrale di Vado si sono gettate al vento grandi possibilità energetiche come quella di catturare l’acqua calda delle turbine, invece che disperderla in mare o nel terreno, e farla defluire in un sistema di teleriscaldamento con tubi che potevano raggiungere e riscaldare le case dei vadesi, regalando loro quanto meno un significativo ritorno economico.

Invece oltre la metà dell’energia prodotta da Tirreno Power viene venduta fuori dei confini liguri e non serve affatto ad alimentare un mercato del lavoro ormai giocato su barbarie e ricatti.

Un’attenta amministrazione potrebbe ricollocare la forza lavoro della centrale con nuovi e più sostenibili investimenti anche nello stesso campo energetico. Non è affatto vero che non possiamo permetterci di fare a meno del carbone, a fronte di una progettualità ampia e che guardi finalmente al futuro.

Da anni i comitati locali e i medici del Moda di Savona chiedono un confronto sul territorio fornendo dati di salute pubblica preoccupanti. Le tecnologie oggi a disposizione per catturare la Co2 prodotta dalla combustione dei fossili sono costose e ancora poco affidabili e comunque non mi risulta affatto che esse verranno installate nella centrale di Vado.

Semplicemente si vogliono ricostruire i gruppi ex novo dotandoli di filtri più efficienti. Come cambiare il proprio camino di casa o il tubo di scarico dell’automobile. Allo stato odierno dell’arte non esistono filtri in grado di contrastare l’emissione nell’aria delle polveri sottili fini e ultrafini (le Pm 2,5 e 1), le più pericolose per la salute umana perché capaci di penetrare in profondità nell’albero polmonare.

La combustione del carbone poi genera perdite di radioattività nelle zone limitrofe alla centrale e emana nell’atmosfera, oltre alle polveri sottili, metalli pesanti come il piombo, il cadmio, il mercurio in grado di entrare nel ciclo alimentare (pescato in mare, agricoltura e falde acquifere) per anni.

I controlli mancano perché affidati fino a ieri alle sole rilevazioni dei tecnici della centrale (che chi deve essere controllato si controlli da solo è a dir poco ridicolo) e a centraline dell’Arpal (agenzia ligure per l’ambiente) obsolete, incapaci cioè di rilevare le Pm 2,5 e 1 e i metalli pesanti.

Dai cassetti dell’Arpal, di cui alcuni dirigenti sono sotto inchiesta della procura di Genova per falso, abuso d’ufficio, corruzione e turbativa d’asta (una serie di illeciti che sarebbero stati commessi per favorire le industrie locali ammorbidendone i dati sui rilevamenti degli agenti inquinanti), mesi fa è spuntata un’analisi di qualche anno prima sui fondali del torrente Quiliano dove la centrale di Vado scarica a mare le proprie acque reflue. Bene, in quei fondali sono state ravvisate quantità elevate di idrocarburi, autentici veleni.

Eppure mai nella zona è stata vietata la balneazione.

I due gruppi a carbone ora in funzione continuano a produrre da anni nonostante siano in mancanza della certificazione ambientale Aia, di fatto come dei fuorilegge qualunque. La Procura di Savona ha aperto un’inchiesta e affidato a esperti medici locali e nazionali un’indagine epidemiologica per i cui risultati, però, bisognerà aspettare qualche anno. In questo contesto assurdo, privo di dati, chiarezza e competenza, con due gruppi a carbone vecchi, inquinanti e che la legge avrebbe già dovuto far spegnere, è stato dato comunque il via libera all’ampliamento a carbone della centrale Tirreno Power di Vado Ligure.

Vi chiedo soltanto una riflessione per un territorio la cui vocazione turistica è alta e i cui danni ambientali, sulla salute umana e sulle casse delle aziende operanti nel settore turistico e agricolo sono già incalcolabili e destinati a crescere dopo l’ampliamento. Oggi abbiamo un sapere sufficiente per arrestare un processo industriale che appartiene ormai al passato (dove anche i posti di lavoro invece che essere forse un centinaio erano almeno un migliaio), privo di crescita e di futuro.

Che si trovi, allora, una soluzione condivisa e che si ascoltino per primi i cittadini e le loro volontà. Per accorgersene basta salire le scale perfettamente mobili del nuovissimo molo 8.44 di Vado e di lì osservare il panorama di una valle ferita e dilaniata tra discariche, gasdotto e industrie, un lembo di terra che sembra pregarci “ora basta”.

Per accorgersene non servono i sondaggi, basta andare tra le persone a rubare tra le loro storie condite da una sofferenza difficilmente accettabile e poi risalire e scendere le scale di un molo senza mare e a cui manca il sole sul bel vedere. È questione di democrazia.