Chiosso: abolire i compiti a casa? intervista a Giorgio Chiosso, il Sussidiario 29.2012 Lo “sciopero” francese dei compiti a casa (per gli studenti delle scuole elementari, ndr) incontra l’interesse del ministro Francesco Profumo. La notizia ha scavalcato le Alpi con estrema facilità, e da un paio di giorni fa discutere anche in Italia. Niente compiti, protestano i genitori transalpini, per quindici giorni. E la Fcpe, la prima associazione di genitori delle scuole pubbliche francesi, ha fatto sua la protesta. Il malessere, in altri termini, è diffuso. I bambini passano molte ore a scuola, ma quando arrivano a casa, la sera, spesso devono passare altro tempo sui libri. E in famiglia aumentano lo scontento e il nervosismo. Troppo stress, insomma.
«Credo che oggi nella scuola i nostri ragazzi» ha dichiarato il
ministro Profumo intervenendo a SkyTg24, commentando quello che sta
accadendo in Francia «imparino solo una parte delle loro competenze.
Molti input arrivano da altre sorgenti. Se quei 15 giorni di pausa
fossero utilizzati per rafforzare altri canali, perché no?» Meno
compiti di tipo tradizionale, sembra dire il ministro, non
verrebbero per nuocere. «Si possono dare stimoli agli studenti senza
che questi siano formalmente compiti». «In linea di massima Profumo
ha ragione» osserva Giorgio Chiosso, pedagogista, «ma ci vuole
cautela. Innanzitutto perché la Francia non è l’Italia. poi perché
il momento dell’apprendimento individuale è insostituibile».
Là c’è una tradizione che non prevede i compiti a casa in quanto i
ragazzi completano i loro esercizi in classe. C’è perfino una legge
che lo dice.
Ma da noi la situazione è completamente diversa, dal punto di vista
normativo non c’è nulla di analogo. Occorre distinguere, perché ci
sono diverse formule: quelle delle 27 e delle 30 ore, che però verrà
abbandonata; poi le 24 ore, e il tempo pieno. Credo che sia
eccessivo prevedere i compiti a casa per chi fa il tempo pieno, è
vero; e in questo caso anche in Italia i francesi avrebbero
«ragione». I bambini hanno bisogno di giocare, di svagarsi, di stare
con le famiglie. Se però fanno meno ore, non vedo quale danno
possano fare un po’ di compiti. Anzi.
Assolutamente no: è fondamentale a qualunque età. Il momento della
riflessione sull’apprendimento è un’esperienza tipicamente
individuale e quindi non si può eliminare. Si può stare a scuola se
la giornata si prolunga dal punto di vista didattico, ma se non si
impara a scuola occorre farlo a casa.
Credo che vi sia una parte di vero e una parte più discutibile.
Sicuramente ci sono molto apprendimenti che possono essere
realizzati anche attraverso canali non tradizionali. Penso però che
oggi i bambini ne facciano già un buon uso. Ecco perché non
sottovaluterei la riflessione di tipo più tradizionale del singolo
alunno sul libro, sugli esercizi e in generale su ciò che si è fatto
in classe la mattina.
Capisco che in questo momento il ministro stia spingendo molto sulle
nuove tecnologie, e sono anche d’accordo su questa sua impostazione.
Ma questo va contemperato con altre forme di apprendimento. E quella
individuale che tutti conosciamo a mio avviso rimane necessaria.
Sono due: il primo, non preoccuparsi minimamente di cosa fa il
figlio a scuola; il secondo, surrogare la scuola, cioè fare il
maestro «numero due» a casa. Due errori specularmente opposti ma
ugualmente dannosi. Perché il genitore che sta eccessivamente dietro
ai figli finisce per creare in essi una mentalità di dipendenza, e
il genitore che non se ne occupa sbaglia in maniera grave dando
l’impressione che la scuola non conti nulla. Occorre occuparsene, ma
senza esagerare. Far parlare molto i bambini, farsi raccontare di
quello che fanno a scuola, vedere che svolgano i compiti in maniera
ordinata e corretta. Che un po’ per volta, in ragione della loro età, i figli diventino man mano sempre più autonomi. Se continuiamo ad aiutarli e a soccorrerli, non riescono a crescere e restano dipendenti dagli adulti. No dunque alle «madri tigri», ma nemmeno alle «madri coniglio». |