Il boom dei tecnici e dei professionali: di Maurizio Tiriticco Educazione & Scuola 12.3.2012 Non avevo alcun dubbio che sarebbe andata così, e che meglio andrà nel futuro! Lo dice uno che sa di greco e di latino e che si è formato – si fa per dire – sui classici! E che non ha mai amato i licei: una sorta di ossificazione della cultura: più spocchia e arroganza che stile e autenticità! In effetti, ho sempre saputo che le due culture sono una disdicevole invenzione degli ultimi cento anni! Almeno da noi! L’Italietta del 1861 necessitava di alcune cose molto importanti per fare il balzo in avanti che potesse affiancarla ai grandi Paesi unitari, come Francia e Regno Unito ad esempio: laddove le borghesie locali avevano già condotto le loro rivoluzioni! Ma nel nostro paese, con una “p” minuscola, con una borghesia ancora frammentata e che parlava anche lingue diverse, attraversata da una piccola nobiltà arroccata su privilegi che riteneva secolari, divisa in due da uno Stato pontificio in cui la pena di morte era ancora norma, e fino al 2001 (sic!), con una nobiltà più latifondista che nobile, polverizzata attorno a corti di origine europea più che italiana, le cose erano ben diverse. E non era affatto facile fare dismettere alla nostra borghesia quell’abito di arlecchino che per secoli l’aveva marcata, pressoché unica sull’intero continente! E poi c’erano problemi concreti, da risolvere anche nel breve tempo, se si voleva concorrere con i grandi Stati unitari d’Europa! Occorreva abbattere quell’analfabetismo endemico che, nonostante la ricca tradizione artistico-letteraria, indubbiamente molto forte ma fatta da pochi e per pochi, interessava ancora il 90% della popolazione. Occorreva che il più rapidamente possibile molti “regnicoli”, ancora cittadini di serie B, sapessero leggere e scrivere perché si doveva creare un apparato amministrativo con cui si potesse finalmente governare e amministrare un Paese che, pressoché ultimo in Europa, aveva finalmente raggiunto l’unità nazionale. Occorreva trasformare migliaia di contadini in operai e tecnici per dar vita a un apparato industriale con cui confrontarsi con gli altri Paesi del centro Europa. Occorreva anche e soprattutto creare un gruppo dirigente che avesse un alto profilo culturale: commis di Stato, giudici, avvocati, economisti, medici, ingegneri, generali anche e via dicendo. E, per formare questo gruppo dirigente tutto nuovo, a che cosa occorreva appellarsi se non a quella tradizione artistico-letteraria che tutta l’Europa in effetti ci aveva sempre invidiata? La cultura latina e quella greca e in parte anche la stessa cultura italiana – basti pensare al linguaggio della musica – quella dei grandi poeti e dei grandi artisti che tutta l’Europa ci aveva sempre invidiato e che solo il contadiname dei tanti staterelli della penisola né conosceva né praticava, andavano assolutamente recuperate, censite, valorizzate, enfatizzate anche. E infatti i nostri autori italiani, dal Dolce stil nuovo fino a De Sanctis e a Manzoni, nulla avevano da invidiare a Varrone e a Virgilio, a Cratete di Mallo e a Callimaco, ai classici della cultura latina e greca sulla quale si innestavano, e che così decorosamente replicavano e innovavano! E architetti, scultori, pittori, musicisti ne avevamo avuti a iosa, quindi… Così i “regnicoli” furono tutti o in gran parte mobilitati e avviati alle nuove scuole nazionali. Dopo quattro anni di scuola elementare, di cui due obbligatori, si proseguiva con il ginnasio, come lo chiamavano i tedeschi, e poi con il liceo, per non far torto ai francesi. E a monte, a elargire contenuti – ma non edifici, in gran parte requisiti dal nuovo Stato – c’è tutta la ricca tradizione dei seminari cattolici e dei collegi pontifici, là dove la cultura, o una certa cultura, era di casa. Insomma, non fu affatto difficile impacchettare il meglio della nostra tradizione colta e dar vita al ginnasio-liceo, classico ovviamente! Durava otto anni e se ne usciva a 17 anni di età, pronti per accedere all’università! E mai si sarebbe pensato a un liceo scientifico… una contraddizione in termini! Ci avrebbe pensato più tardi Gentile, obtorto collo! L’istruzione tecnica ebbe pure la sua parte, una scuola tecnica biennale, seguita, per chi avesse voluto e potuto, da un istituto tecnico quadriennale con uscita a 15 anni di età: un ordine di studi finalizzato, ovviamente, agli operai e ai quadri tecnici intermedi. E questo dualismo è durato per tutti i 150 anni che abbiamo da poco celebrati. Un dualismo, quindi, duro a morire, che poi non appartiene di fatto alla nostra storia preunitaria. Brunelleschi era un semplice mastro, ma ai nostri occhi un grande architetto. E un mastro era Ghiberti, lo scultore della Porta del Paradiso. E i grandi pittori uscivano dalle botteghe e non avevano lauree o riconoscimenti accademici. E chi può dire se un Leonardo o un Raffaello fossero dei classici o dei tecnici? Dipingevano, certamente, ma progettavano anche come valenti ingegneri! Insomma nella nostra migliore tradizione non c’erano né lauree né diplomi né si discettava su che cosa fosse di pertinenza del classico o del tecnico. E la distinzione medievale tra artes sermocinales, per i politici e gli avvocati, e le artes reales, per gli uomini del fare, non incideva più di tanto, stante l’analfabetismo che la faceva da padrone! Del resto ci pensò Galileo a liquidare le due artes con quel metodo sperimentale che fu di grande utilità sia per un Francesco Redi che per un Emanuele Tesauro o un Muratori: ricerche diverse in campi diversi, ma condotte con grande rigore scientifico! E non c’è poesia o passo di danza che non sia esito di una rigorosa ricerca! Euterpe e Tersicore possiamo pure lasciarle sull’alto dell’Elicona, dove peraltro nessuno le ha mai viste! Insomma, le cosiddette due culture da noi sono nate con lo Stato unitario! Un’Italia che si unisce politicamente, ma che adotta due culture, quella della testa e del cuore e quella della mano! Ciò non significa che le due culture non abbiano attraversato anche altri Paesi e altre società, se è vero che Edgar Snow negli anni Cinquanta del secolo scorso intervenne con un celebre libro per comprendere le ragioni profonde per cui scienziati e letterati, ingegneri e pittori, matematici e poeti pensavano di perseguire intenti e strade non solo diverse, ma addirittura contrapposte. E da noi il muro che separa le due culture è stato particolarmente duro a morire. Oggi i dati delle iscrizioni al secondo ciclo di istruzione sono già il segnale di un’inversione di tendenza. E’ la cosa, a mio vedere, era di fatto scontata! Del resto, è lo stesso criterio che ha ispirato e dettato il riordino dell’istruzione secondaria di secondo grado che ha segnato l’inizio della fine del primato del liceo classico, non degli studi classici in quanto tali, di cui non nego affatto la necessità. Si veda il bel libro di Martha Nussbaum, Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, edito per il Mulino, che ho recensito tempo fa per la rivista on line educationduepuntozero. Ma una vera cultura umanistica non ha nulla a che fare con una sua enfasi e pretesa superiorità! Oggi, quando in tutte le scuole europee e anche nella nostra comincia a soffiare il vento delle competenze, queste diventano anche la discriminante per un reale processo di riforma. Quando andiamo a leggere le Indicazioni nazionali dei licei e le compariamo con le Linee guida degli istituti tecnici e professionali, appare evidente dove emerge il nuovo e dove si tenta di conservare il vecchio. Nelle Indicazioni nazionali le competenze sono appena accennate, più per un omaggio ai tempi che corrono che per una implicita convinzione. Nelle Linee guida, e soprattutto in quelle dei trienni, una didattica per competenze viene di fatto indicata e accettata, anche se ulteriori lavori di limatura saranno necessari, soprattutto per quanto riguarda la terminalità degli studi in cui la certificazione delle competenze dovrà modificare ex novo l’attuale modello di esame di Stato. Per non dire della felice partenza degli Istituti Tecnici Superiori, fondazioni che poco hanno a che vedere con il sistema scolastico e con lo stesso sistema universitario, fondazioni fortemente legate, ma non connesse, con la concreta offerta di un mondo del lavoro che – nonostante le difficoltà del momento – è strutturalmente cambiato e ancora cambierà. Con tutto ciò non voglio dire affatto che il declino del liceo mi faccia piacere tout court! Io sono per gli studi classici, ma sono per un loro assoluto ridimensionamento, per una loro diversa connotazione e collocazione. Finora lo studente che si iscrive al liceo, di fatto “viene iscritto”, indipendentemente da una sua precisa volontà. Pesano la tradizione e il costume che vogliono che il figlio dell’operatore intellettuale – chiamiamolo così – o del borghese più o meno illuminato o arricchito che sia, vada dritto agli studi liceali indipendentemente da una sua precisa vocazione. Anche perché si dice che gli studi liceali “aprono le menti”, “formano” o altre amenità di questo tipo. Non è così: gli studi tecnici non sono affatto meno severi e meno formativi di quelli liceali, anche perché l’avanzare delle ricerche ha conferito a una formazione tecnica input qualitativi per nulla inferiori rispetto a quelli della migliore tradizione classica. La svolta che si sta profilando in materia di scelte post-scuola media da un lato rafforzerà lo spessore degli studi tecnici e contribuirà ad una seria modifica dei curricoli liceali. Anche perché sempre più verrò maturando il concetto, che del resto ho già espresso in altre sedi, per cui non esiste un tecnico capace di studiare e progettare un motore ibrido che sia inferiore a un tecnico che sia capace di decodificare un papiro scoperto nel Mar Morto! E forse si sporca di più le mani chi lavora con sessola e pennellino a “cavar cocci” rispetto a chi progetta motori con il software cad/cam! |