La direzione della scuola italiana di Stefano Stefanel Educazione & Scuola 18.3.2012 Penso sia di un qualche interesse cercare di capire qual è la direzione che ha preso la scuola italiana. Dopo una decina d’anni di autonomia, indagini Ocse-Pisa, Invalsi, curricoli, riforme, ecc. ci sono segnali molto consistenti che indicano come la scuola italiana non intenda in alcun modo modificarsi secondo quelli che sono gli indirizzi europei o dell’Ocse. E’ significativo notare come i richiami all’Europa e alle esperienze internazionali siano sempre parziali, strumentali e di parte: i richiami utilizzano parti dei sistema citati per rendere più forti le tesi espresse, senza andare ad approfondire in che modo quello specifico provvedimento gradito si inserisce nel sistema di istruzione citato. L’elemento più eclatante è quello relativo alle retribuzioni dei docenti, che citando quelle basse italiane non mettono mai in relazione il dato numerico della retribuzione con il numero dei docenti (in Italia più alto che altrove) in rapporto agli studenti. Un altro dato interessante è quello relativi alla lotta alla dispersione, che non prevede in alcuna proposta “italiana” di adeguarsi ai sistemi che hanno eliminato le bocciature degli alunni (intese come ripetizione l’anno successivo di quanto fatto nell’anno precedente) o di prevedere l’abolizione del valore legale del titolo di studio (che aprirebbe una reale strada alla personalizzazione). Di particolare interesse è poi verificare come la richiesta di assunzioni fatta da parte dei sindacati e dei precari “storici” non passi mai per un’analisi del reclutamento che si fa altrove: quelle modalità non interessano perché non hanno alcun rapporto con le graduatorie permanenti, il ruolo nazionale, la professione priva di carriera e di valutazione. Sintomatico è poi l’atteggiamento verso la valutazione del personale anche dirigente, con un accanimento tutto italiano verso i valutatori e i sistemi di valutazione da parte di soggetti che non hanno alcuna competenza in merito (sindacati, docenti, dirigenti, ecc.) e che citano le valutazioni estere senza mai dire che sono realizzate in forma indipendente da soggetti che non intrattengono nessun rapporto con il valutato e che non sottomettono ad alcuna verifica da parte del valutato il loro operato, che poi viene verificato solo dalla parte datoriale (Ministero, Comuni, Enti di ricerca, ecc.) e dall’opinione pubblica. La scuola italiana non vuole rinunciare ad alcune sue peculiarità, anche se queste vengono unanimemente additate come elementi di freno da parte degli organismi di valutazione nazionali o internazionali. Tutta la vicenda dell’autonomia scolastica italiana ruota attorno al mantenimento di elementi centralisti che collidono col sistema autonomistico, ma che fanno comunque parte della storia nazionale (classi di concorso, valore legale del titolo di studio, graduatorie permanenti, assunzioni da graduatoria e non a chiamata diretta, rigidità degli organici, tempo scuola, ecc.). La preoccupazione che viene spesso manifestata è che il sistema scolastico nazionale vada sempre di più verso situazioni critiche e perda quel ruolo centrale che comunque ha avuto nella storia italiana. Le risposte a questa preoccupazione invece ribadiscono l’attaccamento alle procedure che hanno portato alla crisi. L’insistenza ad inviare lettere aperte al Ministro Profumo perché spazzi via le “riforme” Gelmini (ordinamenti), Tremonti (organici), Brunetta (organizzazione del lavoro) stanno cedendo il passo alle invettive contro il Ministro accusato di essere in continuità col precedente Governo, quasi a negare la realtà che comunque mai il Ministro Profumo ha dichiarato che avrebbe abrogato provvedimenti emanati dal precedente Governo. Accanto a questa idea, da parte dei sindacati e dei docenti si è fatta strada la convinzione che l’innovazione sia solo quella considerata da loro come tale e che l’espansione della spesa scolastica sia comunque un dato positivo da ripristinare indipendentemente dalla finalità di tale aumento di spesa. Permane poi molto forte il rapporto tra problemi dell’occupazione intellettuale italiana e organici della scuola, argomenti non in diretto rapporto, ma che invece da noi sono correlati.
Come venire a
capo da una situazione che sembra sempre più avvitarsi su se stessa?
Come coniugare innovazione, allineamento con l’Europa, obiettivi
comunitari con prassi italiane che contraddicono tutto questo?
Probabilmente l’unico modo è tagliare la questione alla radice,
senza cercare aggiustamenti o piccoli passi. Sarebbe insomma
necessario decidere se si vuole cercare di rendere omogeneo il
sistema scolastico italiano a quelli dell’area Ocse e quindi agire
di conseguenza o se si preferisce mantenerlo nella tradizione
italiana e a quel punto sganciarlo da qualsiasi sistema di
valutazione e di confronto internazionale. Credo che sia necessario
in tempi brevi decidere se cercare di rimanere in Europa o uscirne
non curandosi più di quello che fanno gli altri. Indico di seguito
alcuni elementi del dibattito di questi giorni che mostrano come con
metodi ordinari difficilmente si possa andare lontano.
La ventilata e
richiesta assunzione di 10.000 precari da destinare all’organico
funzionale delle scuole (uno per istituto grossomodo) mostra come
l’elemento occupazionale venga fatto precedere rispetto a quello
progettuale. E’ possibile che la lotta alla dispersione si possa
fare stabilizzando un po’ di precari. Ed è possibile che la lotta
alla dispersione si possa fare aggiungendo un insegnante per
istituto con compiti “funzionali”. Ma è una possibilità per ora non
dimostrata e che soprattutto contraddice quanto fanno gli altri. Le
charter school americane, le free school inglesi, l’eliminazione
delle classi e delle bocciature in Finlandia, il sistema integrato
dei Länder tedeschi, la stessa esperienza trentina, ecc. mostrano
come la dispersione venga combattuta ampliando l’autonomia
scolastica, slegando le scuole dai curricoli e dai quadri orari
nazionali, collegando il progetto a forme snelle di assunzione del
personale, sviluppando un progetto e a questo legando dirigenti,
docenti, studenti. Con i curricoli bloccati e i quadri orari decisi
a livello normativo e nazionale, con esami di fine ciclo tanto
faraonici quanto nozionistici, difficilmente un’immissione di
personale nella scuola diminuisce la dispersione. Il dato su cui
ragionare è che la dispersione che c’è adesso c’era anche prima dei
provvedimenti di taglio dell’organico voluti da Gelmini e Tremonti
(anzi la Gelmini ha cercato di occultare i dati che segnalavano una
diminuzione del numero dei bocciati). L’esperimento lombardo di far assumere i docenti con contratto annuale dalle scuole in base a parametri che costituiscono una chiamata diretta e che sono slegati dalle graduatorie permanenti non è altro che il tentativo, fatto ancora una volta da destra, di scardinare il sistema dei Contratti collettivi nazionali. Se la questione fosse solo ideologica potrebbe restare lì dov’è e vinca il più forte (la destra e i cattolici che vogliono forzare il sistema delle assunzioni, la sinistra e i sindacati che vogliono mantenere le garanzie sindacali anche a scapito del servizio). Ma il problema è un po’ più complesso e va al di là di Formigoni e della sua Giunta. La proposta di Formigoni sulle assunzioni da parte delle scuole in base all’adesione del soggetto al Pof e previo procedure dirette di selezione prende spunto dalla gestione municipale delle assunzioni in vigore in tutti i Paesi del Nord Europa. Chi deve assumere il personale? L’assunzione diretta fuori graduatoria è una scelta solo di destra o anche anticostituzionale? Anche qui a decidere se una procedura è costituzionale o meno si mettono in campo soprattutto coloro che non hanno alcun titolo per farlo. Esiste una Corte Costituzionale per questo e se Formigoni e Profumo si accordano per una sperimentazione o la Corte costituzionale dice che è contro la Costituzione o si può fare. Mi pare che su questo Antonio Valentino abbia manifestato dubbi condivisibili (Reclutamento nel segno di Formigoni, in Scuolaoggi.org del 7 febbraio 2012), perché la questione del reclutamento, della regionalizzazione degli organici come vuole la Costituzione (art. 117 modificato dalla legge costituzionale 3/2001) e della dismissione dell’apparato ministeriale non sono questioni di poco conto e non sono questioni ideologiche. Anche qui è necessaria una scelta drastica: o si accetta il confronto sul reclutamento o si mantiene per sempre il sistema delle graduatorie, dei concorsi riservati, delle mille scappatoie per non entrare nella logica degli altri che prevedono meccanismi molto rapidi di assunzione su base locale. |