il caso

Università: "Affossata la legge
che aiuta i giovani ricercatori"

L'accusa della Montalcini e di Marino al governo: "Così si favoriscono i baroni"

Andrea Rossi La Stampa, 26.3.2012

TORINO
L’ ultima battaglia Rita Levi Montalcini ha deciso di combatterla sulla soglia dei 103 anni. Ha trascorso la vita a inseguire il progresso. Ora sta cercando di impedire un passo indietro. Il decreto legge su semplificazioni e sviluppo, già approvato alla Camera e ora in discussione al Senato, ha cancellato un provvedimento inserito nella finanziaria 2007 che assegnava il dieci per cento dei fondi nazionali per la ricerca secondo un criterio comune nei paesi anglosassoni ma inedito in Italia: la peer review, la valutazione tra pari. Ai bandi potevano partecipare solo ricercatori con meno di quarant’anni. E la scelta dei progetti da finanziare, anziché alle commissioni composte da professori ordinari istituite dal ministero, spettava a un comitato di ricercatori, metà italiani e metà stranieri, tutti under 40. Una mezza rivoluzione, cui la senatrice a vita, premio Nobel per la medicina, aveva contribuito non poco. Nel 2006 il governo Prodi navigava in cattive acque, al Senato contava su un paio di voti di scarto e spesso si reggeva sui senatori a vita. Rita Levi Montalcini lasciò poca scelta: se quel provvedimento non entra in finanziaria io non voto la fiducia.

Entrò, scritto da Ignazio Marino, chirurgo e senatore del Pd, che ora insieme con Montalcini - ha firmato un appello al governo perché «non cancelli il futuro di tanti giovani che coltivano la speranza di poter fare ricerca in Italia». Il progetto ha permesso di assegnare finanziamenti per circa mezzo milione di euro ciascuno a più di cento programmi: 26 su 1500 presentati nel 2007, 57 su mille l’anno dopo, e così via. E di sottrarre la valutazione ai «baroni» per affidarla ai giovani ricercatori, stranieri compresi, svincolati da cordate e blocchi di potere.

Per rendere l’idea basta raccontare la storia di Laura Bonanni. Aveva 33 anni, nel 2007, e un contratto co. co.pro. all’Università di Chieti. Si stava preparando per partecipare al concorso da ricercatrice, ma un docente l’aveva scoraggiata: non passerai mai, in lista c’è un candidato con un cognome più importante del tuo. Allora si presentò al bando del governo, dove la concorrenza era ben più spietata: 1500 ricercatori in corsa per spartirsi 13 milioni di fondi pubblici. Arrivò prima. Al suo progetto di ricerca sulle malattie neurodegenerative la commissione esterna ha assegnato un finanziamento triennale di 600 mila euro. «Questo la dice lunga sul diverso metodo di giudizio utilizzato dai baroni universitari rispetto a commissioni di spessore internazionale», è la diagnosi di Marino. Anche la giovane ricercatrice difende il sistema che rischia di scomparire: «Per la prima volta noi giovani abbiamo potuto proporre idee senza passare attraverso le istituzioni universitarie, e scardinare quel meccanismo per cui solo i professori ordinari possono stabilire le linee che orientano la ricerca». Laura Bonanni, che nel frattempo il concorso l’ha vinto ed è diventata ricercatrice strutturata a Chieti, al dipartimento di Neuroscienze, con quel programma ha avviato collaborazioni internazionali, ha potuto assumere due borsisti. «Mai era successo che giovani ricercatori potessero gestire un progetto in totale autonomia, dal punto di vista scientifico, della programmazione e delle risorse. Il nostro sistema della ricerca, che all’estero osservano con diffidenza per via di certe prassi, ne aveva guadagnato in credibilità».

E adesso? Marino ha presentato un emendamento per cancellare la nuova norma. Minaccia di non votare il testo del governo. «Così si torna indietro. È inaccettabile per un esecutivo guidato da un premier scelto per merito e competenza». Come la misura sia entrata nel decreto sviluppo resta un mistero: in commissione Affari costituzionali, il ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi non ha saputo dare spiegazioni e si è riservato di approfondire la questione.

Quando l’ha saputo Rita Levi Montalcini è stata assalita dallo sconforto. «Eravamo riusciti con immane fatica a inserire una norma che ci avvicinava alla comunità scientifica internazionale e ora vogliamo abolirla? Così l’accesso ai finanziamenti sarà di nuovo possibile solo a chi ha le giuste amicizie e non la necessaria preparazione acquisita in anni di studio, magari negli scantinati di qualche facoltà per pochi euro».