Ritorno a scuola

Alessandra Ballerini Il Fatto Quotidiano, 23.3.2012

Sono in una scuola nel quartiere del Lagaccio, a Genova, invitata da alcune maestre appassionate del loro lavoro (direi quasi “missione” visti i tagli implacabili e la precarietà nella quale sono costrette a lavorare). Mi hanno chiesto di incontrare i loro piccoli allievi e di raccontare loro la vita e i diritti dei migranti in Italia.

Monia, una radiosa insegnante, mi guida in questa scuola colorata e “viva”. Appese alle pareti di tutto l’edificio disegni, lettere e poesie. Pace, integrazione, amicizia campeggiano nelle opere di questi giovanissimi artisti. Ma non solo.

La commovente poesia di un bimbo di quinta è dedicata al papà che ha perso il lavoro e che ora non parla più e “guarda il vuoto”. La crisi è entrata anche nelle vite e nei pensieri di questi bimbi. Nelle classi alunni vivaci ed educati e maestre così giovani e “pulite” che si confondono con gli allievi. Ripenso alla mia di scuola, ai miei insegnanti attempati ed alle pareti grigie. E le rivedo poi, quelle stesse pareti di via Battisti insanguinate in quella cruenta notte di luglio di 10 anni fa che trasformò la mia scuola in una “macelleria messicana”. Ma questa è un’altra storia..

Saranno una sessantina tra i nove e gli undici anni. Diligenti e curiosi.
Leggiamo insieme l’art. 3 della Costituzione (queste maestre eccezionali gliene hanno già parlato). Discutiamo di uguaglianza e dignità, così, per prenderla bassa..!

Racconto loro degli sbarchi e dei molti minori stranieri che ho potuto incontrare quest’estate a Lampedusa nei tre mesi in cui ho lavorato come consulente legale di Terre des Hommes. Loro, i bimbi, mi dicono che hanno visto le immagini di questi sbarchi in Tv e mi raccontano che hanno provato “sofferenza e tristezza”.

Parliamo del perché tante persone e tra loro tanti minori sono costretti a fuggire dal loro paese. Proviamo ad immaginare di essere uno di quei migranti in fuga e cosa si debba provare ad essere costretti, mentre fuori senti scoppiare urla e spari, a dover scegliere in pochi minuti le cose più preziose da portare in salvo e gli amici da salutare.

Trascorrono intensi secondi di empatico silenzio.

Chiedo a questo giovanissimo pubblico quanti stranieri credono ci siano in Italia rispetto alla popolazione totale. Mi rispondono quasi all’unisono che gli stranieri in Italia sono più della metà dell’intera popolazione. Rivelo che in realtà solo il 7,5 % degli abitanti del nostro paese sono stranieri, ma che la loro risposta è quella che normalemente forniscono quasi tutti gli alunni (e anche molti adulti). Proviamo allora a capire perchè i migranti sembrino di più di quanti in realtà siano. “Perchè in certi posti come all’expo ce ne sono tantissimi” suggerisce una bambina col caschetto biondo.

Ma, ragioniamo insieme, in molti altri luoghi però non ci sono migranti o ce ne sono pochi. Anche nella loro classe gli stranieri (se così si possono chiamare dei bambini giunti in fasce o addirittura nati in Italia) saranno al massimo il 15%. Loro mi dicono che nella loro classe non ci sono stranieri perchè, e il ragionamento non fa una piega, anche se hanno colori diversi si conoscono e crescono insieme. Una splendida lezione di sociologia!

Ma allora perchè pensano che gli stranieri in Italia siano così tanti? Dov’è che ne vedono, o meglio ne percepiscono, una così massiccia presenza?
“In Tv”, è la candida risposta di un piccolo allievo, “si vedono sempre i barconi pieni di stranieri che vengono qua”.

Gli alunni “stranieri” presenti in aula raccontano però altri viaggi verso l’Italia, in aereo se non addirittura con la cicogna. Perchè in realtà solo una minima parte dei migranti giungono in Italia sui “barconi”, i più arrivano via terra o in aereo con passaporti e visti di ingresso. ”Ma in Tv si vedono tanti barconi …”. Eh già.

Provo a spiegare che la Tv non sempre rappresenta la realtà ed anzi spesso la altera. Mi guardono scettici. Parliamo ancora di uguaglianza e cittadinanza e rimaniamo d’accordo che scriveranno una lettera da consegnare ai minori che ho incontrato a Lampedusa per siglare un’amicizia nata a distanza.

Al termine dell’incontro mentre mi infilo la giacca un bimbo di nove anni mi prende discretamente da parte per un’ultima domanda: “Ma tu sei sicura di essere un avvocato?” mentre tento di annuire, implacabile incalza “perchè non ti ha mai vista a Forum e se sei davvero un avvocato com’è che non sei mai andata in Tv, a Forum?”

Distrutta nelle mie poche certezze tento una risposta plausibile e con le mani frugo nelle tasche in cerca del tesserino da avvocato. Mi metto subito al livello del mio giovane interlocutore e tento di ricordare se ho partecipato a qualche trasmissione che giustifichi e certifichi il mio essere avvocato. Bofonchio qualche sillaba ma il pargolo mi ha già salutato.

Per riprendermi mi ripeto che siamo anche se non appariamo e che quello che appare spesso non è. Però intanto, per maggiore sicurezza, mi riguardo il tesserino.