Lettera al Ministro Fornero

 di Corrado Ravera, 11.3.2012

 

Spett.le Ministro Fornero,

Conscio che ben difficilmente Lei leggerà questo mio scritto, non posso proprio trattenermi dallo scriverLe a sostegno della revisione della parificazione dell’età pensionabile delle donne ripetto a quella degli uomini,  delle donne del Pubblico rispetto a quelle del Privato e della più generale riduzione dell’età pensionabile per tutti, ed inoltre per un raggiungimento molto più modulato delle nuove, più moderate, soglie per le variazioni di regime pensionistico, in modo da non creare una generazione di “martiri” da sacrificare al benessere di tutti gli altri.

Come Lei ben sa, le donne verso i 50 anni vanno in menopausa, con conseguenze fisiche e psichiche problematiche, a volte persino invalidanti, che le rendono comunque meno efficienti nel lavoro, che comunque eseguono in stato di sofferenza.

Inoltre Lei sa bene che le donne in Italia (non in Norvegia, o in Nuova Zelanda, o in Papuasia, ma in Italia, visto che delle norme pensionistiche da applicare in ITALIA stiamo parlando), attendono di norma (cioè nel 99% dei casi) alle faccende domestiche, svolgono un lavoro di supporto ai mariti ed ai figli, oltre che eventualmente ad altri parenti abbisognevoli di cure, sovrintendendo alla gestione della casa in cui vivono, alle faccende domestiche, all’educazione dei figli, alla cura del marito. Ed è inutile opporre la solita argomentazione che le cose stanno cambiando e che i ruoli si stanno scambiando: in realtà sappiamo benissimo che alla fine le cose stanno e restano come ho detto e come sono sempre state in ITALIA. Altrove non so e non mi (e non Ci) riguarda.

Quindi la donna (quella “che lavora”) oltre al proprio lavoro fuori di casa, ha sempre un secondo lavoro in casa, non retribuito, non riconosciuto, molto faticoso,e pieno di responsabilità, grazie al quale contribuisce in maniera determinante allo sviluppo della Società, e per cui, conteggiandone i tempi, conseguirebbe un diritto al pensionamento molto anticipatamente rispetto ai colleghi uomini.

Ma, se non bastasse questo, Le porgo a seguire altre solide, concrete e più autorevoli argomentazioni, derivanti da studi effettuati su ampi campioni di lavoratori, a sostegno di questa mia istanza per una più moderata e più EQUA (che bella parola, tanto enunciata negli ultimi tempi: un dì ci spiegherete che significa?) regolamentazione per la collocazione in pensione dei lavoratori, specie quelli di sesso femminile.

 

La Medicina del Lavoro N. 5 – AD 2004

Quale rischio di patologia psichiatrica per la categoria professionale degli insegnanti?

Autori:   V. Lodolo D’Oria1, F. Pecori Giraldi2, M. Della Torre3, A. Iossa Fasano4, F. Vizzi5, S. Fontani6, A. Vitello7, S. Cantoni8, A. Pascale9, P. Frigoli10.
 

1) V. Lodolo D’Oria      Medico Rappresentante delle Casse Pensioni INPDAP in seno al Collegio Medico per l’inabilità al lavoro della     ASL Città di Milano; responsabile area “Studio e tutela del benessere psicofisico degli operatori in ambito scolastico” della Fondazione IARD.
2)
F. Pecori Girali          Istituto Auxologico Italiano, Ospedale S. Luca IRCCS - Milano.
3) M. Della Torre           Unità Operativa di Medicina del Lavoro, Ospedale L. Sacco – Polo Universitario - Milano
4) A. Iossa Fasano        Collegio Medico per l’inabilità al lavoro della ASL Città di Milano – Medico psichiatra
5) F. Vizzi                       Servizio di Medicina Legale – ASL 1 Torino
6) S. Fontani                  Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro – ASL Città di Milano
7) A. Vitello                    Servizio di Medicina Legale – ASL Città di Milano
8) S. Cantoni                 Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro – ASL Città di Milano
9) A. Pascale                  Dottoranda di ricerca in Modelli di formazione – Università degli Studi della Calabria
10) P. Frigoli                  Mamaco S.a.s. - Partnership pubblico-privato nei settori Scuola e Sanità - Milano

 SINTESI DEL DOCUMENTO ( il testo originale e completo si può leggere e scaricare in formato .doc  all’indirizzo http://www.orizzontescuola.it/ articoli3/Allegato%202.doc  )


Alcune categorie di lavoratori, a causa di particolari fattori stressogeni legati all’attività professionale, sono soggetti a rischio di sindrome del burnout. Tale condizione è caratterizzata da affaticamento fisico ed emotivo, atteggiamento distaccato e apatico nei rapporti interpersonali, e sentimento di frustrazione. Autorevoli studi hanno accertato che tale affezione rappresenta un fenomeno di portata internazionale, che ricorre frequentemente negli insegnanti. Sono altresì rare le pubblicazioni comparative sulla prevalenza della sindrome del burnout nelle varie categorie professionali. Addirittura inesistenti gli studi che valutano l’incidenza di psicopatologie tra gli insegnanti
.

Lo studio Golgota, partendo dall’analisi degli accertamenti sanitari per l’inabilità al lavoro, effettuati dal Collegio Medico della ASL Città di Milano nel periodo 1/92 – 12/03 per un totale di 3.447 casi clinici, ha operato un confronto tra quattro macrocategorie professionali di dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori).

Nello studio comparativo pubblicato su “La Medicina del Lavoro” (N° 5/04) gli insegnanti risultavano essere i professionisti più esposti al rischio di sviluppare patologie psichiatrico. La medesima ricerca dimostrò che la categoria manifestava anche la maggior incidenza di patologie neoplastiche (82% tumori al seno) rispetto ad operai, amministrativi e personale sanitario.

La relazione tra SLC (Stress-Lavoro-Correlato) e neoplasia è oramai nota, così come conosciuto è il meccanismo fisiopatogenetico che sta alla base del fenomeno: in fase di stress l’individuo produce cortisolo attraverso le proprie ghiandole surrenali (parte corticale). Il succitato ormone (che altro non è se non cortisone endogeno) determina una soppressione del sistema immunitario della persona che vede così abbassata la guardia di fronte agli agenti infettivi (es. herpes labiale) ed alla crescita delle cellule tumorali.

I risultati mostrano dunque che la categoria degli insegnanti - in controtendenza con gli stereotipi diffusi nell’opinione pubblica - è soggetta a una frequenza di patologie psichiatriche pari a due volte quella della categoria degli impiegati, due volte e mezzo quella del personale sanitario e tre volte quella degli operatori manuali. Lo studio evidenzia inoltre come gli insegnanti presentino il rischio di sviluppare una neoplasia, superiore di 1.5-2 volte rispetto ad operatori manuali ed impiegati.

Le variabili sesso ed età non sono risultate essere fattori di confondimento ai fini dei risultati dello studio. Viene rilevata la necessità di ulteriori approfondimenti epidemiologici, affiancati da contestuali interventi operativi volti a contrastare tempestivamente il disagio mentale negli insegnanti.

La conferma che le cose stanno proprio come evidenziato dallo studio pubblicato su “La Medicina del Lavoro”, è l’imponente studio prospettico californiano “Recent diet and breast cancer risk: the California Teachers Study” (USA), condotto su 133.479 insegnanti pubblicato su       Cancer Causes Control n° 7  - 09/02,
 

High breast cancer incidence rates among California teachers: results from the California Teachers Study (United States)

 

Leslie Bernstein, Mark Allen, Hoda Anton-Culver, Dennis Deapen, Pamela L. Horn-Ross, David Peel, Richard Pinder, Peggy Reynolds, Jane Sullivan-Halley and Dee West, et al.

Abstract

Objective: To determine risk factor profiles and cancer incidence rates among participants in the California Teachers Study (CTS), a study designed to document high breast cancer incidence rates of California teachers and to investigate emergent hypotheses in the etiology of breast and other cancers. Methods: The CTS is a prospective study of 133,479 California female teachers and administrators, established in 1995–1996 with members of the California State Teachers Retirement System completing a detailed mailed questionnaire regarding possible risk factors for breast and other cancers. Cancer outcomes were identified by linkage with the California Cancer Registry. Results: CTS participants have a 51% higher age-standardized invasive breast cancer incidence rate and a 67% higher in-situ breast cancer incidence rate than would be expected based on race-specific statewide rates after three years of follow-up. CTS participants also have substantially elevated rates of endometrial cancer (rate ratio, RR = 1.72), ovarian cancer (RR = 1.28), melanoma (RR = 1.59), non-Hodgkin's lymphoma (RR = 1.53), and leukemia (RR = 1.28), but low rates of invasive cervix cancer (RR = 0.53) and lung cancer (RR = 0.66). Conclusions: CTS members have high rates of several major cancers, particularly breast cancer, and low rates of lung and cervix cancer. Although late age at first birth can explain a portion of the observed excess risk of breast cancer in this cohort, the unique risk factor profile of CTS members may account for much of their higher risk of breast and selected other cancers. The CTS offers a rich resource for future studies of cancer risk and of women's health, in general.

In sintesi gli autori hanno concluso che l’incidenza di tumore al seno nelle docenti aumenta rispettivamente del 51% nelle forme invasive, e del 67% in quelle in situ. Nella popolazione considerata crescono anche le incidenze di altri tumori solidi (polmone e cervice uterina).

Trascurare la prevenzione dello SLC comporta serie conseguenze sui versanti psichiatrico e oncologico. L’art. 28 del T.U. prevede che lo SLC venga adeguatamente affrontato dal datore di lavoro, tenendo debito conto dell’età e del genere del lavoratore. L’età media dei docenti italiani è di 50 anni, mentre l’82% è donna.

Lo SLC con le sue conseguenze neoplastiche e il periodo menopausale (che quintuplica il rischio depressivo) devono almeno essere resi noti alla lavoratrice perché possa corre ai ripari quando non è ancora troppo tardi.

Tenuto anche conto dei dati tedeschi (Weber et Al. 03/06), che imputano a patologia psichiatrica il maggior numero (53%) di prepensionamento dei docenti bavaresi, si evince che si tratta di patologie legate alla professione e non è più tollerabile ignorare la necessità di un intervento preventivo.

 

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Dunque si deve considerare la condizione lavorativa della donna assolutamente diversa e piu’ gravosa di quella dell’uomo e inoltre, contro la convinzione di alcuni, si puo’ considerare l’insegnamento un lavoro usurante, e in particolare per la donna per motivi sociali, fisici, fisiologici:  e’ pura demagogia appellarsi alle incredibili argomentazioni su aneliti equalitari gia’ udite in proposito negli ultimi mesi, specie da parte di chi della donna usa servirsi per compiti che per decenza chiameremo “di supporto”, in ragione delle proprie turbe sessual-maschiliste.
La donna deve andare in pensione ben prima dell’uomo, per molti motivi, dei quali solo alcuni le ho sin qui indicato.
E non furono certo degli stupidi o degli inetti i nostri Padri a stabilire quelle differenze nel trattamento pensionistico che sono state applicate sino all’altro ieri, demolite da una crisi economica provocata da altri, con l’appoggio di demagogiche argomentazioni riguardanti un settore che era l’ultimo a doversi considerare nell’ipocritamente enunciata finalita’ di raggiungimento della parita’ tra uomini e donne, e che ha nel contempo scientemente ignorato le vere gravi e molteplici discriminazioni esistenti tra uomo e donna in mille altri settori, quelli sì, meritevoli di stravolgimenti per il raggiungimento di una vera ed effettiva uguaglianza di diritti tra i due sessi, oggi come sempre in passato a totale vantaggio dell’uomo.
 
In conclusione, facendo appello alla sua indiscussa autorevolezza quale tecnico della materia, ancorché Ministro del Welfare sottoposto a pressanti  direttive dei politici, anziché piegarsi ad esse la invito a considerare maggiormente le conseguenze che i suoi provvedimenti arrecano ai cittadini, che vorrei considerasse maggiormente come persone e meno come numeri. In particolare vorrei considerasse la donna diversamente dall’uomo,  e che in tale prospettiva rivedesse le gravi penalizzazioni inferte, soprattutto alle donne in campo pensionistico, e ancor piu’, con atto esclusivamente  discriminatorio, privo di alcun fondamento tecnico, sociale, legale, a quelle operanti nel settore pubblico, a partire da quelle del ’52, condannate veramente “al rogo”, senza alcuna colpa,  riportando al contrario una equa, veramente ed onestamente equa, ripartizione delle sofferenze per il ripianamento di questa crisi creata non da noi, lavoratori, e tanto meno dalle donne lavoratrici, e men che meno da quelle nate nel 1952, riducendo le pene loro inflitte (l’enorme aumento dell’eta’  pensionistica e la diminuzione del potere d’acquisto delle pensioni) e scaricandone invece il carico prevalentemente su chi l’ha prodotta.
Questo si,  sarebbe un provvedimento fondato sull’equita’, parola tanto cara al Presidente Monti, di cui pero’ ancora non ho visto traccia.

 

 Corrado Ravera