Zanon: c'è chi vuol fare della scuola intervista di Federico Ferraù a Nicolò Zanon il Sussidiario 29.5.2012
Che la scuola debba essere un posto dove si rispettano le regole,
appare scontato. O quasi. Che cosa invece si debba fare per educare
alla legalità, suscita, come è giusto, qualche domanda in più. «Si
parla molto di legalità come rispetto delle regole, in realtà lo si
fa per sopperire ad una enorme carenza di altri valori che
dovrebbero stare prima e sopra l’ovvia necessità di rispettare le
regole del vivere comune». Nicolò Zanon, costituzionalista e membro
del Csm, interviene sui molti temi sollevati da Claudio Risé nella
sua ultima intervista.
Nell’accezione massmediatica tenderei ad escludere connotazioni
troppo tecniche. Nell’accezione giuridica è quello che dice lei. Nel
primo senso, invece, è una legalità che si colora di accenti etico
morali. Risponde ad una normale istanza di etica pubblica e si
contrappone al clima diffuso che si crea quando le regole non
vengono rispettate perché considerate un impiccio fastidioso.
Si tratta esattamente di questo.
È
questo il punto. Si parla molto di legalità come rispetto delle
regole quando in realtà si vuole dire qualcos’altro. Si tende a
recuperare il valore della legalità per sopperire ad una enorme
carenza di altri valori, che dovrebbero stare prima e sopra l’ovvia
necessità di rispettare la legge e cioè le regole del vivere comune.
Certamente. Il dibattito sul legalismo positivistico ci ha dato
almeno questo risultato, che l’astratta legalità priva di
riferimento al valore non basta più. Prescindere dal valore è una
ipotesi teoricamente abbandonata e storicamente insostenibile, anche
alla luce delle derive totalitarie del secolo scorso, che della
legalità positivistica costituiscono un estremo, coerente,
drammatico approdo.
Mi sembra arduo sostenere una cosa simile. È molto difficile che un
insegnamento di regole astratte, soprattutto quando questo è rivolto
a giovani o giovanissimi, risulti coinvolgente. L’avvicinamento al
valore, a una corretta etica pubblica o al giusto rapporto con gli
altri passa attraverso degli esempi concreti, riferimenti a vicende
e persone che abbiano autorevolezza e anche l’appeal necessario per
essere persuasivi.
Non nego che si possa pensare ad un insegnamento di base dedicato a
far comprendere la ragione profonda di certe regole del vivere
comune. Sull’ipotesi che questo debba essere fatto in ogni ordine di
scuola, fin dalla tenera età, avrei più di una riserva. L’educazione
civica di una volta poteva secondo me essere considerata un modo
equilibrato di presentare i principi più importanti della convivenza
civile.
Direi di sì. Ho visto spesso trasformare la Costituzione in una
sorta di icona sostitutiva di un sistema di valori che altrimenti
sarebbe tramontato. E questo un po’ preoccupa, perché in questo modo
si fa della suprema Carta non quello che è − un insieme di principi
che regolano la vita pubblica −, ma il manifesto di un’etica che si
pretende condivisa intimamente dai singoli cittadini.
Sì, perché il diritto serve a regolare i comportamenti esterni,
mentre il foro interiore è per sua natura un foro assolutamente
libero, dotato del diritto di reclamare la sua libertà anche
rispetto a certe proclamazioni di principio della Costituzione.
Nell’enfasi che si mette in certi atteggiamenti vedo posizioni
affatto liberali. Idealizzare la Costituzione, farne una Bibbia
laica, è una pretesa indebita innanzitutto verso la Costituzione
stessa.
Dalla volontà di idealizzare a livello politico-ideologico un
documento che invece è profondamente storicizzato e comprensibile
nel quadro di precise vicende che hanno segnato la vita del nostro
Paese. Mi riesce francamente difficile pensare alla nostra Carta
come ad un prontuario dei valori che il buon cittadino deve
interiorizzare. Se io fossi per una revisione della Costituzione,
sarei un reprobo dell’etica pubblica? Ci vuole cautela.
Direi proprio di no. La storia spiega le ragioni del suo successo,
l’evoluzione della storia spiega anche, per esempio, perché vi siano
ragioni per fare cambiamenti. È proprio del positivismo legalista
idolatrare ogni virgola posta dal potere. Di quella ideologia non
abbiamo più bisogno.
Se vedo un incidente e c’è una persona da soccorrere, che cosa mi
deve indurre a soccorrerla? Non il fatto che il codice penale
punisce l’omissione di soccorso, ma una naturale propensione alla
solidarietà tra gli uomini. Che non dipende dalle regole giuridiche
o da una astratta educazione alla legalità, ma da un atteggiamento
di fondo dell’essere umano che vivendo insieme ad altri esseri umani
si abitua a considerare normale una solidarietà tra le persone. Oggi si parla di legalità riferendosi a situazioni che prescindono del tutto dal rispetto di regole elementari. Questo però attiene a un’opera profonda di educazione umana che riguarda tutti gli aspetti dell’esistenza. Che vi si possa rimediare con un insegnamento prettamente disciplinare e astratto come è quello delle regole giuridiche, mi sembra illusorio e fuorviante. |