Sostituire i prof, se il pc fa il "suo" lavoro.
Matteo Boero il Sussidiario 3.5.2012 Didattica e nuove tecnologie. Tradizione e innovazione. Scuola e classi virtuali. Uomo e macchina. Da tempo (diciamo almeno dalla metà degli anni Novanta), uno degli spauracchi nel mondo della scuola è la sinistra metamorfosi di questo dittico in Giano bifronte: da et a aut, da somma a conflitto. Quando il computer varca la soglia della classe, ecco nascere il timore della sostituzione, dell’impoverimento intellettuale; l’obliterazione del logos in favore della téchne: quest’ultima ridotta a mera procedura meccanizzata mascherabile con un ottimismo di parata. Le ragioni della paura sono spesso legittime: gli insegnanti oggi si sentono sotto assedio e svalutati da diversi punti di vista: fra i tanti, uno dei timori è appunto – come accadde agli operai del XIX secolo – di essere sostituiti da una tecnologia. Ma non mancano neppure i pregiudizi. Tipicamente, quelli di coloro che rifiutano una novità senza conoscerla; né nel caso di Cicero si capisce perché, essendo gratuita e accessibile a tutti: bastano due click dal sito della Fondazione Giovanni Agnelli o del programma stesso (www.cicerolatinotutor.it) per provare una demo del programma. Chiunque abbia familiarità con i problemi dell’editoria scolastica, sa che il dato che salta agli occhi oggi sul latino è la difficoltà anche da parte di autori esperti e rodati a soddisfare le sempre più pressanti richieste dei docenti che chiedono testi la cui traduzione non sia reperibile in rete, ovvero volumi di esercizi e versionari sempre più mirati a compensare le scarse competenze linguistiche sull’italiano che i ragazzi mostrano in uscita dalla scuola media. La risposta degli editori si articola in versionari ricchi di testi (cinque-seicento versioni a volume!), nella speranza che la quantità abnorme dell’offerta tocchi in qualche modo territori ancora inviolati dai siti specializzati; d’altra parte propongono volumi di esercizi sempre più meticciati con la teoria linguistica (al limite di diventare una contro-teoria di taglio operativo), aprendo al confronto con l’italiano. I dati sulle adozioni oggi premiano gli editori che propendono per soluzioni ibride, in cui il tradizionale lavoro di traduzione si mescola alla domanda mirata sulla competenza morfosintattica e lessicale: non c’è quasi versionario o laboratorio tra quelli in circolazione che non abbia la sua bella batteria di domande di comprensione in calce a ogni versione. E il tutto sta subendo un’ulteriore accelerazione per l’obbligo della Certificazione delle competenze voluta dal ministero, che impone a ciascun collegio di redigere un documento che certifichi le competenze di ogni studente in uscita dalla scuola dell’obbligo e dunque, nel caso delle competenze linguistiche, di certificare in oggettivo la capacità dello studente di mettere a confronto la lingua classica con propria la lingua madre, sfruttando il patrimonio linguistico e culturale offerto dal testo latino per iniziare una riflessione non solo linguistica, ma anche o soprattutto metalinguistica sull’italiano. Il progetto Cicero, ideato e progettato dal sottoscritto insieme ad Adriano Allora e Ivan Molineris, con il sostegno della Fondazione Giovanni Agnelli e la collaborazione dell’Ansas, l’agenzia per l’innovazione del Miur, è nato in questa temperie: in generale, come tentativo di mettere le nuove tecnologie al servizio del docente e della didattica; in particolare, come risposta a richieste concrete dei docenti di avere un supporto alla pratica di traduzione del latino in tempi in cui il fine della traduzione è troppo spesso erroneamente scambiato dai nostri ragazzi con le traduzioni (discutibili) reperibili in rete. Ci interessava, a livello di ricerca applicata, mettere l’accento sull’iter, piuttosto che sul traguardo; o meglio far sì che il traguardo, per chi avrebbe usato Cicero, fosse non tanto o non solo la traduzione, ma tutto il ragionamento preliminare che porta all’interpretazione del testo. Volevamo insomma innovare restando fedeli all’idea per cui tradurre significa imparare a ragionare, imparare a capire, imparare a riflettere sulla propria lingua e sulla propria cultura; tradurre per imparare a conoscersi. Così è nato questo “tutor” (parola che non sembra piacere a qualcuno perché “scaduta” dal suo etimo originale – quasi che la vitalità del latino stesse nella censura dei significati attualizzati e non invece nel permeare la nostra lingua di tutti i giorni, dal fiammifero al computer); un tutor il cui ultimo intento non è certo sostituirsi al docente o all’apprendimento del latino, come pure è stato detto. Cicero è stato concepito, al contrario, per sostenere il docente in quell’oscuro “momento” dell’attività didattica rappresentato dai compiti a casa, che fino a una quindicina di anni fa costituivano parte fondamentale del recupero e del consolidamento della attività frontale svolta in classe e che oggi, complici i siti specializzati e l’enorme mole di informazioni presenti in rete, rischia di diventare, almeno sul latino, nulla più che una burocratica operazione di riempimento e di copiatura di cui lo studente ha perso completamente il senso. Nel migliore dei casi, oggi le versioni assegnate a casa vengono corrette a campione alla lavagna (non di rado sfruttando proprio il laboratorio di comprensione che sta in calce al testo): i docenti sono ben consapevoli che una correzione a tappeto – senza considerare il tempo prezioso rubato alla preparazione dell’attività didattica – restituirebbe loro un quadro ben poco attendibile delle competenze dei loro ragazzi. Cicero è stato pensato per questo: non per sostituire il docente o l’insegnante di ripetizioni con una macchina (quante bufale abbiamo letto in questi giorni!); bensì per fare quello che una macchina deve fare: il lavoro pesante, cioè supportare l’attività del docente fornendogli feedback precisi sull’analisi di ciascuno studente, e collaborare con lui alla fase di correzione. Che cosa significa in concreto tutto ciò? Intanto che la fase di analisi in cui Cicero, in modo maieutico, guida lo studente, non è una fantomatica “decrittazione algebrica di un stringa di caratteri”, come mi ritrovo a leggere sull’articolo del professor Tanca. Se avessimo una macchina in grado di decifrare il linguaggio umano non in termini di suono, ma di sintassi, avremmo una macchina che in potenza parla come un uomo. È questo sì che è un idolum buono per la fantascienza. No: tutta l’analisi, ovvero tutte le domande che Cicero pone allo studente sono state pensate da un autore, da un uomo in carne e ossa (e cervello). E non da un autore qualsiasi. In questo il ruolo della Fondazione Agnelli e dell’Ansas – due istituzioni di ricerca molto diverse, ma che in comune hanno l’impegno di lunga data per dare nuovo valore alla professione docente – è stato cruciale: gli autori di Cicero sono tutti docenti di licei italiani. Docenti qualificati che hanno “curato” le versioni e poi le hanno sperimentate con i loro studenti, con risultati molto incoraggianti (a loro, che la macchina non solo l’hanno provata ma hanno contribuito a farla vivere, va tutta la gratitudine del nostro gruppo di ricerca e delle due istituzioni che hanno accompagnato il progetto). Ma anche la fase di correzione non ha nulla dell’arida “meccanizzazione” che si paventa. Cicero è un progetto di ispirazione wiki, pensato cioè per far crescere costantemente il proprio database grazie alla collaborazione di chi lo usa tutti i giorni per integrare la propria attività didattica. I docenti che hanno curato le versioni hanno infatti ipotizzato un numero notevole, ma comunque limitato di traducenti per ogni item lessicale, cioè per ogni parola o sintagma che realizza una traduzione. Poiché sappiamo che il numero di realizzazioni possibili non è infinito, ma è sicuramente alto (con sfumature di registro e di stile altrettanto variegate), abbiamo pensato il programma in modo tale che, dato un testo latino, non una ma molteplici traduzioni fossero possibili. O meglio, tutte le traduzioni che in primis i curatori (docenti) ritenevano giuste, e, in seconda istanza, tutte le traduzioni che, non ritenute idonee da Cicero perché assenti dal suo database, altri docenti riterranno giuste e potranno dunque aggiungere al suo database (su un livello distinto che consente alla redazione, in fase di integrazione, di verificare la bontà dei traducenti ed eventualmente estenderli a tutti gli utenti). Detto altrimenti, la piccola rivoluzione di Cicero non è sostituirsi al docente nella correzione, ma accelerarne il lavoro indicandogli ciò che lui reputa giusto perché altri docenti l’hanno considerato tale, e ciò su cui invece sospende il giudizio rimettendosi a quello del docente. Sarà quest’ultimo a rivedere la precorrezione, o (più probabilmente) a integrarla con nuovi traducenti, che da quel momento in poi faranno parte integrante del patrimonio di sapere del tutor (stiamo pensando a un meccanismo di ranking che indichi immediatamente al docente le nuove traduzioni condivise dal maggior numero di docenti, in modo che si possa orientare più agevolmente nella scelta). Ecco perché, per concludere, il ruolo del docente in Cicero è non solo importante, bensì cruciale. Primo perché più docenti lo usano, meno, in proporzione, è il tempo che gli altri dovranno dedicare alla singola correzione. Secondo, perché la valutazione spetta sempre e soltanto al docente, il quale d’altra parte riceve da Cicero ben otto feedback indicizzati riguardo al lavoro dello studente (quantità di verbi e di altri elementi non verbali correttamente individuati, numero medio di tentativi per ciascuna categoria, numero di elementi corretti a livello verbale e non verbale, a loro volta suddivisi per morfologia e lessico). Terzo, e ultimo, perché solo docenti e studenti, adottandolo nella pratica didattica di tutti giorni, sapranno dirci che cosa possiamo migliorare, come sviluppare meglio il “cuore” della macchina per renderla sempre più ricettiva nei confronti delle loro esigenze. Coloro che hanno partecipato alla sperimentazione in otto licei di tutti Italia hanno fatto questo lavoro con una dedizione che fa onore alla scuola italiana. Iscriversi gratuitamente al programma è semplice, basta andare sul sito www.cicerolatintutor.it, cliccare sul login e seguire la procedura di registrazione (un tutorial video nella pagina “Supporto” mostra tutti i passaggi). E forse anche per questo, se confrontati con le nostre previsioni, i numeri della seconda fase della sperimentazione, iniziata la scorsa settimana, sono a dir poco sbalorditivi. In meno di cinque giorni si sono iscritti al programma 200 docenti di tutta Italia, dal Piemonte alle Isole. Gli studenti iscritti sono più di 2mila, e la classe Certamina, che abbiamo creato apposta per coloro che non hanno ancora la possibilità di appoggiarsi a un docente sono più di 600! Senza contare le oltre 7mila demo provate da curiosi e appassionati sparsi per lo Stivale. Per una materia a diffusione tutto sommato ristretta quale il latino – peraltro penalizzata ultimamente da una programmazione ministeriale certo discutibile – sono numeri da capogiro. Docenti di tutta Italia si offrono di implementare nuove versioni (vorremmo avere più risorse per rispondere a tutti!), e ci sono genitori che, ben lungi da sceglierlo come sostituto alla lezioni private, si informano per proporne l’integrazione nell’attività didattica della scuola dei propri figli. Cicero è un progetto impegnativo che non risparmia fatiche a nessuno di coloro che lo usano, in primis ai docenti, ma potrebbe rappresentare un valido supporto al difficile compito che giornalmente, specie su una materia come il latino, si presenta loro davanti. Non so se queste fatiche siano gli idola di cui parla l’articolo che ha suscitato questo mio, a mo’ di risposta: se lo fossero, sarei felice di appartenere a coloro che, baconianamente, cercano di liberarsene tenendo fermo lo sguardo sul reale, sperimentando e tracciando, dati alla mano, le trasformazioni che volenti o nolenti la scuola ci richiede oggi. |