Il mito della Finlandia: intervista a Giacomo Zagardo il Sussidiario 17.5.2012
Il sistema scolastico finlandese ha acquistato improvvisa notorietà
nei primi anni duemila, quando i test Pisa (programma per la
valutazione internazionale dell’allievo, ndr) mostrarono che gli
studenti della Finlandia erano davanti a tutti gli altri. Da allora,
citare la Finlandia è diventato d’obbligo per indicare una scuola di
qualità. Così, in un periodico come Internazionale può venire
pubblicato un reportage che reca come titolo nientemeno che «La
scuola perfetta». Nessun preconcetto politico di origine nostrana:
la giornalista è americana. Ebbene, tutte le scuole sono finanziate
dallo Stato, non ci sono test, il 93% degli studenti si diploma (in
licei o scuole professionali), il 66% prosegue gli studi
iscrivendosi all’università, l’obbligo scolastico che inizia a sette
anni, pochi compiti a casa, docenti tenuti ad aggiornarsi
continuamente, forme di sostegno personalizzate e in quantità,
insomma nessuno viene lasciato indietro. Vien da sé che la
tentazione è quella di fare una riforma, addormentarsi italiani e
risvegliarsi finlandesi. IlSussidiario.net ne ha parlato con Giacomo
Zagardo (Isfol), esperto di sistemi comparati.
Certo, non tutto è esportabile. Ad esempio, quella finlandese non è
una cultura che si autovaluta in continuazione. Non c’è come nel
resto dei paesi Ocse un uso frenetico dei test di valutazione a
scuola a tutti i livelli. Ma questo si spiega per le caratteristiche
strutturali della popolazione scolastica finnica. Qui non possiamo
compararci alla Finlandia, in quanto le condizioni di partenza sono
diverse: la varianza tra scuole è, laggiù, molto bassa (anche se si
va accentuando sotto la spinta dell’immigrazione) e vi sono poche
disuguaglianze tra scuole delle periferie e del centro. Da noi, in
Italia, c’è molta differenza nei risultati di apprendimento
soprattutto tra scuola e scuola e, pertanto, la valutazione serve
proprio per rilevarle nel dettaglio e trovare soluzioni didattiche a
quelle carenze che si mostrano.
Per i docenti ci sono altre differenze: quelli finlandesi hanno uno
status riconosciuto come importante socialmente; studiano molti anni
(dopo l’assunzione anche in formazione continua e formazione tra
pari) e per entrare in carriera affrontano concorsi difficilissimi e
selettivi come prove ad ostacoli. Infine, sono scelti dalle stesse
scuole e da queste possono essere licenziati. Per questo non si
avverte il bisogno di valutarli continuamente.
Da noi, invece, quella dell’insegnante tende ad essere considerata
come una professione di ripiego e a rischio di stress. La colpa non
è dei docenti ma della comunità educante che non è così coesa come
in Finlandia. Rispetto a questo Paese, in Italia c’è un’altissima
mobilità docente proprio nelle scuole e nei tipi di scuole più a
rischio di abbandono tra gli studenti. Da noi, l’organico, in quanto
a caratteristiche, non è a misura delle necessità e dei progetti
attivati dalle scuole, ma è scelto altrove con criteri
amministrativi.
Per avvicinarci alla buona scuola della Finlandia andrebbero
quantomeno perseguite due strade: la scelta dei docenti a un livello
più vicino al territorio e alle diverse esigenze delle scuole (in
Lombardia si sta aprendo qualche spiraglio con le politiche
educative dell’assessore Aprea; e l’allargamento del concetto di
pubblica istruzione... Questo concetto rimanda al difficile (solo in
Italia) tema della effettiva e reale libertà di educazione. Dove
questa manca, paradossalmente, si acuiscono i problemi e le
disparità.
Come in molti paesi del nord Europa, anche in Finlandia la scelta
dei genitori è libera e gratuita, sia per iscrivere i figli a scuole
statali (in realtà sono gestite delle Autorità locali) sia per farli
frequentare scuole libere non governative. In presenza di uno
specifico bisogno del territorio, chi rientra negli standard
stabiliti dal “permesso di educazione” può erogare il servizio. La
quota dei ragazzi che frequentano le scuole non governative è in
crescita (attualmente riguarda l’8-10% dei ragazzi finlandesi) ma,
al di là del peso reale contribuisce a migliorare la competitività
del sistema. Ciò avviene, ad esempio, anche nella vicina Svezia,
nelle cui grandi città il 40% degli studenti di scuola secondaria
superiore accede alla scuola libera (ma finanziata dallo Stato in
base ad un efficiente sistema di vouchers). No. Ce n’è almeno ancora una molto importante. In Finlandia, i ragazzi hanno a scuola un supporto specifico di docenti di recupero ma, fuori della scuola, hanno la possibilità di accedere a costi “politici” a strutture del tempo libero, anche in convenzione, monitorate e sovvenzionate dai comuni. Le competenze che si acquisiscono affiancano per via ludica quelle scolastiche e sono talmente importanti per i risultati finali degli alunni che i loro standard sono sotto la sorveglianza dello stesso organismo che appronta il curriculum nazionale scolastico. |