Test Invalsi, per gli studenti di Alessandro Giuliani La Tecnica della Scuola, 18.5.2012 Secondo l’Uds le percentuali (bulgare!) emesse dal Miur sarebbero viziate dalle presenza nel campione di alunni di primaria e medie. Oltre che dalla mancata considerazione dei singoli rifiuti. Per il ministro però bisogna confermarli: dobbiamo imparare ad essere valutati. Perché allora non aprire un confronto? Dopo lo sciopero dei Cobas (“decine di migliaia di docenti, studenti ed Ata, scioperando o boicottando le prove, hanno liberato dai quiz tante migliaia di classi”), le forti perplessità dell’Anief (“un inutile spreco di energie, soldi e tempo”) e le preoccupazioni della Gilda (per il carico di lavoro gratuito finito sulle spalle dei docenti, mentre si tratta “di attività riguardanti una valutazione esterna”), anche le associazioni degli studenti si sono schierate contro la somministrazione delle prove Invalsi, che il 18 maggio hanno vissuto l’ultima prova “posticipata”: secondo l’Unione degli studenti le percentuali (bulgare!) di svolgimento regolare dei test emesse dal ministero dell’Istruzione (“al momento le classi che non hanno eseguito il test vanno da un minimo di 0,87% ad un massimo teorico di 1,56%”), sarebbero “mistificate”, perché viziate dalla presenza, nel campione esaminato, “di scuole primarie e secondarie di primo grado, dove gli studenti sono quasi per nulla attivi nella partecipazione studentesca”. Inoltre le stime “si riferiscono agli interi gruppi classe, invece il boicottaggio dei test si è espresso anche singolarmente come dato individuale dello studente, ed in questo modo è stato totalmente ignorato nella conta”. Per l’associazione studentesca il Miur non può continuare ad ignorare “il rifiuto che gli studenti hanno messo in campo ed aprire un tavolo di discussione serio con le associazioni studentesche, dei genitori e i sindacati dei docenti su come si valuta realmente la scuola italiana”. In effetti, i rilievi dell’Uds appaiono almeno in parte fondati. Come già spiegato attraverso un approfondimento pubblicato su questa stessa testata on line. il Miur farebbe bene a puntare l’attenzione sull’utilità e la spendibilità (in chiave qualitativa) dei risultati. Di parere opposto sembra invece essere il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo. Secondo cui tutte queste polemiche e proteste andrebbero fatte risalire alla mancanza di abitudine, tipica dell’Italia, "a lavorare insieme ed essere capaci di fare progetti integrati". Profumo, interpellato sul tema, sempre il 18 maggio, durante un intervento all'Istituto Universitario Europeo di Fiesole, in provincia di Firenze, ha poi aggiunto che ancora "non siamo abituati a essere valutati sulla base di regole definite dagli altri". Ciò comporta, sempre secondo il responsabile del Miur, che "purtroppo i nostri risultati sulle competizioni internazionali, per esempio, sulla ricerca a livello europeo sono non così positivi, nonostante il grande valore dei nostri ricercatori". Niente marce indietro, quindi. Per il Ministro è bene continuare sulla strada che porta alla somministrazione periodica di verifiche standardizzate. Con tutti i limiti che comporta: "Io credo che il Paese abbia bisogno di avviare questo processo sulla valutazione", ha sottolineato Profumo. Insomma, se da viale Trastevere non si vuole sentir parlare di ripensamenti (che avrebbero il sapore della sconfitta e dell’allontanamento dalle pratiche valutative ormai attuate in tutti i più moderni Paesi), allora sarebbe bene aprire un confronto su contenuti e modalità di somministrazione. Le decisioni calate dall’alto, del resto, non possono portare consensi. E nemmeno alte adesioni. |