Un dirigente scolastico dalla memoria corta dimentica che è stato docente dei 5 giorni su 6 Polibio evidenzia che la questione trae origine, anche se non è del tutto nuova nell’intento di qualche preside-padrone dalla memoria corta, da un articolo di Lucio Ficara dal titolo “Il giorno libero settimanale per i docenti è una concessione o un diritto?”, seguito dal commento a sproposito di un d..s. nei confronti del professore Ficara e della consuetudine ormai radicatasi e consolidatasi nel tempo. inviato da Polibio, 2.5.2012
Lucio Ficara,
professore di matematica e persona dagli articoli eccellenti apparsi
in molti dei siti che trattano le problematiche scolastiche
(evidenti, occulte, via via emergenti, e addirittura paradossali e
speciose, queste ultime, guarda caso, partorite dalla mente di
presidi-padroni), aveva posto, in un suo articolo apparso su
concessione-diritto.htm
il 26 aprile, la questione del cosiddetto “giorno libero” dei
docenti durante la settimana, beninteso, avendo svolto negli altri
cinque giorni le ore della prescritta attività d’insegnamento. Una
consuetudine, come tutti meglio di Polibio certamente sanno, ormai
radicatasi e consolidatasi nel tempo, esistente da molti decenni e
addirittura prima dei decreti delegati per la gestione collegiale
della scuola con la partecipazione della rappresentanza, eletta, dei
genitori degli alunni.
Fichera di era
“permesso” di scrivere che “qualche dirigente scolastico con il
desiderio spasmodico di avere i docenti a scuola per sei giorni alla
settimana a scuola distribuisce l’orario scolastico in sei giornate,
ritenendo che il giorno libero sia una concessione e non un diritto
sancito dalla legge”. E a questo punto, trovandosi a leggere “un
diritto sancito dalla legge”, apriti cielo!, il dirigente scolastico
Stefano Stefanel si è esibito senza rete di protezione in un attacco
sfrenato tipico di taluni presidi-padroni, forse perché egli stesso
da preside-padrone “imponeva” ai docenti il sei su sei, spalmando,
ovviamente con tempi diversi da un giorno all’altro (e magari con
“ore buche” tra le ore giornaliere di attività didattica) su sei
giorni (dal lunedì al sabato) il loro orario settimanale di
insegnamento.
C’è da augurarsi
che il d.s. non appartenga al leghismo duro di comprendonio, dagli
affari in Tanzania, dall’acquisto di diamanti, dall’utilizzo
improprio dei rimborsi elettorali, dall’acquisto dell’automobile a
qualche figlio, dai lavori di ristrutturazione edilizia a propria
insaputa, la Lega nordista, affaristica e svergognata, dai milioni
di euro nelle banche svizzere, e così via dicendo. Senza dimenticare
la caparbietà di quel sindaco leghista che fece dipingere sulle mura
della scuola del suo comune (ritenendo, ma da incompetente e
comunque da prepotente, di poter fare questo e altro, dato che
l’edificio scolastico era di proprietà comunale) i simboli della
Lega, simboli inoltre fatti attaccare ai banchi degli alunni, e che
comunque dovette in seguito cancellare e togliere.
Certamente,
Lucio Ficara, da docente di matematica che non ha piena conoscenza
dei termini giuridici, non è stato preciso nell’equiparare le
“consuetudini consolidate e diffuse” al “diritto sancito dalla
legge”, cosicché ha ritenuto che “il giorno libero o la settimana
corta dei docenti sono divenute consuetudini consolidate e diffuse
che, come tali, sono giuridicamente riconosciute”. Non è un
giurista, e quindi ha fatto uso di un termine non appropriato,
perché avrebbe dovuto utilizzare l’espressione “consuetudini
consolidate e diffuse” e fermarsi lì. Tuttavia, nonostante
l’imprecisione sulla questione del “diritto sancito dalla legge”,
Ficara ha certamente ragione nel sostenere una questione di
principio (criterio, concetto, convinzione personale), cioè la
parità dei docenti nella consuetudine consolidata e diffusa
concernente l’articolazione delle lezioni in cinque giorni
settimanali, evitando che “il giorno libero” possa apparire come una
“concessione” da parte del dirigente scolastico.
D’altra parte,
il cosiddetto “giorno libero” o, meglio, la cosiddetta “settimana
corta” (cioè dal lunedì al venerdì compresi, e quindi con
l’esclusione del sabato, e addirittura nell’ambito delle settimana
là dove l’ufficio rimane aperto dal lunedì al sabato compresi) è
applicata, possibilità sancita dalla legge, come vedremo, per i
lavoratori della scuola, per i dipendenti statali e delle pubbliche
amministrazioni, e peraltro realizzata in moltissime scuole statali.
Allo Stefanel,
che scrive che la “consuetudine non diventa norma o diritto”, non
può essere consentito il linguaggio che lo caratterizza come
preside-padrone, là dove commenta l’interpretazione di Lucio Ficara
con l’espressione, come lo stesso Stefanal ha scritto, “l’odio di
Ficara per noi dirigenti lo acceca” – ma forse è lui, Stefanel, ad
avere bisogno del sostegno dato, sempre che non si tratti d’altro,
potrebbe effettivamente trattarsi di desiderio spasmodico, da
preside-padrone, di avere i docenti per sei giorni la settimana a
scuola, distribuendo l’orario scolastico in sei giornate e ritenendo
che il giorno libero sia una sua concessione difetta nella lettura
della normativa vigente.
Ed è lo stesso
Stefanel che – chissà perché dato che nell’articolo di Ficara non
c’è nulla che possa apparire comunque non giustificabile e non vero
per quanto concerne la consuetudine consolidata e diffusa del
“giorno libero” o della “settimana corta” – si sbizzarrisce con
l’espressione “bisogna che stiate attenti” – si rivolge ai colleghi
d.s.? – “perché Ficara spara nel mucchio a casaccio”. Ma che gentile
linguaggio!? Roba da padiglione del Luna park! Ma forse ritiene di
essere lui il bersaglio colpito. E con la sua espressione sembra
voler dire che appartiene a un “mucchio” di d.s. del suo stesso
stampo. E dato che quel suo linguaggio è roba da Luna park, dategli
una canna ad aria compressa per scagliare balle e gommini contro gli
oggetti situati sulle mensole a 3-4 metri di distanza, sperando di
colpirne almeno uno mentre i presenti ridono. E poi mettetelo sul
cavallino a dondolo della giostra, cosicché i presenti possano
continuare a ridere.
Polibio non è un
giurista, è uno storiografo, e quindi può essere impreciso nell’uso
dei termini che abbiano un’implicazione giuridica, che lascia alla
competenza dei giuristi, avvocati e magistrati. Pertanto,
anticipatamente chiede scusa per eventuali sue imprecisioni. Ma è
uno storiografo, e in quanto tale ricorre alle fonti primarie, norme
di legge comprese.
Ebbene, qui di
seguito le norme di legge e contrattuali.
1) “L’orario
settimanale di insegnamento di ciascun docente deve essere
distribuito in non meno di cinque giorni la settimana” (art. 131,
comma 3, del Testo unico delle leggi in materia di istruzione
approvato con decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297).
2) L’orario
complessivo del curricolo e quello destinato alle singole discipline
e attività sono organizzati in modo flessibile, anche sulla base di
una programmazione plurisettimanale, fermi restando l’articolazione
delle lezioni in non meno di cinque giorni settimanali e il rispetto
del monte ore annuale, pluriennale o di ciclo previsto per le
singole discipline e attività obbligatorie” (art. 5, comma 3, del
Regolamento in materia di autonomia didattica, organizzativa, di
ricerca e sviluppo delle istituzioni scolastiche, ai sensi
dell’articolo 21, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59,
deliberato il 25 febbraio 1999 dal Consiglio dei ministri e
successivamente emanato dal Presidente della Repubblica, applicato
alle istituzioni scolastiche a decorrere dal 1° settembre 2000).
3) “Le
istituzioni scolastiche adottano, anche per quanto riguarda
l’impiego dei docenti, ogni modalità organizzativa che sia
espressione di libertà progettuale e sia coerente con gli obiettivi
generali e specifici di ciascun tipo e indirizzo di studio, curando
la promozione e il sostegno dei processi innovativi e il
miglioramento dell’offerta formativa” (ivi, art. 5, comma 1).
4) Le ore
dell’attività di insegnamento (25 ore settimanali nella scuola
dell’infanzia; 22 ore settimanali nella scuola elementare, ora
primaria; 18 ore settimanali nelle scuole e istituti d’istruzione
secondaria e artistica) vanno “distribuite in non meno di cinque
giornate settimanali” (art. 28, comma 5, del vigente Ccnl). “Alle 22
ore settimanali di insegnamento stabilite per gli insegnanti
elementari, vanno aggiunte 2 ore da dedicare, anche in modo
flessibile e su base plurisettimanale, alla programmazione didattica
da attuarsi in incontri collegiali dei docenti interessati, in tempi
non coincidenti con l’orario delle lezioni” (ivi).
5) Nel
regolamento sull’autonomia scolastica è, al comma 1 dell’art. 1,
precisato che “le istituzioni scolastiche sono espressione di
autonomia funzionale e provvedono alla definizione e alla
realizzazione dell’offerta formativa, nel rispetto delle funzioni
delegate alle Regioni e dei compiti di funzioni trasferiti agli Enti
locali”. E al comma 2 è precisato che “l’autonomia delle istituzioni
scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo
culturale nella progettazione e nella realizzazione di interventi di
educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della
persona umana, adeguati ai diversi contesti”. Ciò che è di
fondamentale importanza sta nell’art. 3, nel cui comma 1 si legge
che “ogni istituzione scolastica predispone, con la partecipazione
di tutte le sue componenti, il Piano dell’offerta formativa”,
“documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e
progettuale delle istituzioni scolastiche”; e nel cui comma 3
evidenzia che “il Piano dell’offerta formativa” – poi “adottato dal
consiglio di circolo o di istituto” – “è elaborato dal collegio dei
docenti sulla base degli indirizzi generali per le attività della
scuola e delle scelte generali di gestione e di amministrazione
definiti dal consiglio di circolo o di istituto, tenuto conto delle
proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni
anche di fatto dei genitori e, per le scuole secondarie superiori,
degli studenti”.
Ritornando al
precedente punto 2, viene evidenziato che “l’orario complessivo del
curricolo e quello destinato alle singole discipline e attività sono
organizzati in modo flessibile, anche sulla base di una
programmazione plurisettimanale, fermi restando l’articolazione
delle lezioni in non meno di cinque giorni settimanali e il rispetto
del monte ore annuale”. Si tratta della norma di legge in
applicazione della quale (e qui a decidere è il Consiglio di circolo
o di istituto, sentito il collegio dei docenti) la scuola, che prima
dell’1 settembre 2000 svolgeva l’attività didattica dal lunedì al
sabato compresi (sei giorni la settimana), ha potuto, e diffusamente
e in diverse forme è attuato, articolare, essendo consentita la
flessibilità, le lezioni “in cinque giorni settimanali” (ferma
restando, come afferma la norma di legge che lo consente,
“l’articolazione delle lezioni in non meno di cinque giorni
settimanali”).
Pertanto, la
norma può essere ritenuta cautelativa e preventiva, ma anche
esplicativa, nel senso che, riferendoci alla scuola con
articolazione delle lezioni in sei giorni settimanali, nella quale,
come risulta dal comma 3 dell’art. 131 del Testo unico d.leg 297/94,
“l’orario settimanale di insegnamento di ciascun docente” doveva
“essere distribuito in non meno di cinque giorni la settimana” (e il
“giorno libero” era consuetudine consolidata e diffusa). Nella
scuola dell’autonomia, dall’1 settembre 2000, “l’articolazione delle
lezioni” deve avvenire “in non meno di cinque giorni settimanali“, e
trova conferma nel Ccnl del comparto scuola, dove, all’art. 28,
comma 5, è evidenziato che le ore dell’attività di insegnamento
vanno “distribuite in non meno di cinque giornate settimanali”.
Sia il testo del
regolamento sull’autonomia scolastica, sia il testo del vigente
Ccnl, non dicono affatto che si tratta dell’orario settimanale di
insegnamento di ciascun docente da distribuire in non meno di cinque
giornate lavorative, ma si riferiscono al complesso delle ore
dell’attività di insegnamento da distribuire “in non meno di cinque
giornate settimanali”. Di qui la settimana con cinque giorni di
scuola. Tuttavia, poiché nella scuola dall’attività di insegnamento
in sei giornate le ore di insegnamento di ciascun docente dovevano
essere distribuite in non meno di cinque giornate, ed era
consuetudine consolidata e diffusa quella del giorno libero sui sei
della settimana, qualcuno avrebbe potuto avanzare la richiesta di
ottenere, rispetto alle cinque giornate, una giornata libera.
Pertanto, l’art. 131 del Testo unico continua, comunque, a restare
valido sulla sua composizione: “l’orario settimanale di insegnamento
di ciascun docente deve essere distribuito in non meno di cinque
giorni settimanali”.
Il d.s. Stefano
Stefanal ha certamente la memoria corta se è stato professore di
scuola secondaria di primo o di secondo grado, dato che nelle scuole
secondarie il cosiddetto “giorno libero” sui sei lavorativi della
settimana è stata consuetudine consolidata e diffusa, comune a
tutti, generale.
Oggi la
settimana di cinque giorni lavorativi, nelle scuole statali e nella
pubblica amministrazione, è sancita dalle vigenti norme di legge con
riferimento all’orario dei dipendenti: cinque giorni, ciascuno di
sei ore e due rientri pomeridiani di tre ore, per complessive 36
ore. Oppure 7 ore e 12 minuti moltiplicate per cinque giorni: 36
ore. Nelle scuole, cinque giorni di lavoro per i docenti e per il
personale Ata dal lunedì al venerdì, con chiusura il sabato. Si
arriva addirittura, nel rispetto della norma dell’articolazione
delle lezioni in non meno di cinque giorni settimanali e della norma
delle ore dell’attività d’insegnamento distribuite in non meno di
cinque giornate settimanali, ad avere scuole nelle quali studenti di
determinate sezioni frequentano dal lunedì al venerdì e quelli di
altre sezioni frequentano dal martedì al sabato. Cinque giorni di
lavoro per i docenti, dal lunedì al venerdì o dal martedì al sabato,
peraltro con rientri pomeridiani in uno dei cinque giorni per gli
impegni collegiali, collegio dei docenti e consigli di classe,
ciascuno fino a 40 ore annue, con grave disparità e danno per i
docenti che sono “costretti” dal preside-padrone (che
illegittimamente esercita un “potere” che non gli compete affatto) a
svolgere le ore della loro attività di insegnamento in sei giornate
settimanali, con rientri pomeridiani per gli impegni collegiali (40
ore + 40 ore annue). E con presenze durante le cosiddette “ore
buche” ad accrescere le ore di presenza a scuola.
Appare evidente
che in tal caso le competenze del collegio dei docenti e del
consiglio di istituto non sono state attivate, anche per quanto
concerne il Ccnl del comparto scuola, là dove recita che “prima
dell’inizio delle lezioni, il dirigente scolastico predispone, sulla
base di eventuali proposte degli organi collegiali, il piano annuale
delle attività e i conseguenti impegni del personale docente”. E che
peraltro la stesura del calendario dell’orario settimanale delle
lezioni, cioè le ore dell’attività didattica di ciascun docente e di
tutti i docenti, è affidato a una commissione di docenti.
D’altra parte,
il preside-padrone Stefanel (in servizio nella scuola media di primo
grado “Manzoni” di Udine) sarebbe un precursore della bufala
colossale sulle ferie degli insegnanti, antesignano di quel Luciano
Giorgi, sonoramente bocciato dal collegio dei docenti, dell’Istituto
comprensivo “Erasmo da Rotterdam” di Cisliano (Milano), che non ha
saputo fare i conti (come non aveva saputo fare i conti lo Stefanel
di Udine) sui giorni di ferie degli insegnanti, “dimenticando (o
“ignorando?) i molteplici impegni dei docenti scritti in lingua
italiana nel Contratto collettivo nazionale di lavoro, 40 ore + 40
ore annue per gli impegni collegiali comprese.
Sembra che quei
presidi-padroni vivano, avvolti nelle nuvole, in un cielo tenebroso
tempestato di fulmini, tra i quali c’è anche chi si diletta a
turbare la serenità degli insegnanti e a sconvolgerli con astrusi e
sconclusionati quiz con obbligo di televoto. Presidi-padroni che, in
definitiva – con le loro illogiche e arbitrarie imposizione, con i
loro comportamenti (ritenendosi “coperti” da fantasiose e
fantomatiche cariche sindacali illegittime) irriguardosi e
gravemente offensivi addirittura nei confronti delle donne che
insegnano nelle scuole statali, nei confronti di tutti gli
insegnanti, del Miur e dei sindacati, dei direttori generali degli
Uffici scolastici regionali – arrecano, restando impuniti nonostante
siano previsti i procedimenti disciplinari e le conseguenti sanzioni
disciplinari, irreparabile danno alla scuola, agli insegnanti e alla
credibilità della pubblica amministrazione.
Ebbene, a questi
presidi-padroni, che arrecano enorme danno anche ai moltissimi
dirigenti scolastici puntuali e corretti, rispettosi delle norme di
legge e delle norme dei contratti di lavoro, dei diritti dei
lavoratori e degli studenti, Polibio chiede (e nello specifico lo
chiede allo Stefanel, ma anche al Luciano Giorgi dell’I.C. “Erasmo
da Rotterdam”di Cisliano, all’Indelicato del’I.T. “Cannizzaro” di
Catania e ad altri che si caratterizzano come presidi-padroni
illegalmente manipolatori di chicchessia a loro vantaggio – pur non
chiedendolo al Donato Attilio Fratta di Foggia, offensivo e violento
nei confronti delle donne insegnanti e appartenenti al personale
Ata, perché già in pensione) se nei cinque o nei sei giorni durante
i quali si svolgono nelle rispettive scuole le attività didattiche
sono presenti a scuola.
Allo Stefanel e
agli altri, Polibio chiede se utilizzano il badge (peraltro di norma
previsto per i dirigenti della pubblica amministrazione e pertanto
anche per i dirigenti scolastici). Se ciascuno di loro giunge per
primo a scuola (alle ore 8) e se esce per ultimo (alle ore 14),
rstandovi per complessive 36 ore settimanali dal lunedì al sabato,
oppure nei cinque giorni dell’attività didattica, naturalmente per 7
ore e 12 minuti in ciascuno dei cinque giorni di scuola oppure con
cinque giorni di 6 ore ciascuno e altre 6 ore suddivise in almeno
due pomeriggi. Peraltro, la loro presenza e la loro complessiva
attività dovrebbe andare oltre le 36 ore settimanali, anche perché i
compensi aggiuntivi dei “benefit” gli riempiono il personale
portafoglio, mentre quello degli insegnanti continuano a essere
alleggeriti e a svuotarsi, magari perché risultano falcidiati i loro
stipendi. Comunque, il tabulato delle loro presenze a scuola e delle
loro assenze dalla scuole, per il principio della trasparenza e
nulla avendo a che vedere con la privacy, è pubblico, di piena
conoscenza degli insegnanti e del personale Ata, oltre che
dell’Ufficio scolastico regionale. Anche per evitare quelle assenze,
che talvolta sono coperte da una “segretezza” ingiustificata e
ingiustificabile che porta, addirittura, il vicario ad allontanarsi
dall’aula e dai propri alunni per andare a svolgere quei compiti che
il preside non può svolgere perché “assente” durante le ore
dell’attività didattica dei docenti, compresa quella del vicario e
del secondo collaboratore.
Dopo avere
accennato brevemente alla vertenza sindacale attivata da Bartolo
Danzi del sindacato Gilda nei confronti di un dirigente scolastico
di Bari, a sostegno di un docente al quale il d.s. aveva imposto la
presenza settimanale sei giorni su sei, negandogli il “giorno
libero”, consuetudine consolidata e diffusa nelle scuole italiane, e
pertanto dalla notevole disparità di trattamento, conclusasi con una
conciliazione nell’Ufficio scolastico provinciale, con il preside a
riconoscere la consuetudine e il l’articolo 2078 del codice civile
là dove specifica che la prassi e gli usi più favorevoli al
prestatore d’opera integrano le norme imperative di legge e i
contratti medesimi, Polibio dichiara di apprezzare quanto Lucio
Ficara ha messo in chiara luce nel suo articolo pubblicato su
ScuolaOggi e su Aetascuola.
Il “giorno
libero” non è un diritto per come giuridicamente inteso, bensì una
legittima aspettativa, fondata e rivendicabile, resa attuale dalla
ultradecennale consuetudine radicata nel tempo. Come recita
l’articolo 2078 del codice civile, “in mancanza di disposizioni di
legge e di contratto collettivo si applicano gli usi” (che “non
prevalgono sui contratti individuali di lavoro”). “Tuttavia gli usi
più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme
dispositive di legge”. Il “giorno libero” su sei giorni settimanali
di apertura della scuola è uno degli “usi più favorevoli ai
prestatori di lavoro”, “usi più favorevoli” che “prevalgono sulle
norme dispositive di legge”, che comunque si esprimono, senza mai
affermare l’obbligo di sei giorni settimanali, cosicché l’uso più
favorevole ai prestatori di lavoro prevale sulle norme dispositive
di legge, con le espressioni “l’orario settimanale di insegnamento
di ciascun docente deve essere distribuito in non meno di cinque
giorni la settimana” (art. 131, comma 3, del Testo unico d.leg.
297/94), l’“articolazione delle lezioni in non meno di cinque giorni
settimanali” (art. 5, comma 3, del Regolamento dell’autonomia
scolastica, 1999, in vigore dall’1 settembre 2000) e “le ore
dell’attività di insegnamento distribuite in non meno di cinque
giornate settimanali” (art. 28, comma 5, del Ccnl). Invece, lo
Stefanel, nella sua crociata da preside-padrone contro il prevalere
degli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro con contratto
collettivo nazionale “sulle norme dispositive di legge”, si esprime
con l’espressione “l’articolo 2078 del codice civile conta meno di
zero”.
Bravissimo,
Lucio Ficara. Continua così, cosicché i presidi-padroni escano da
soli allo scoperto.
Polibio |