La ventisettesima ora
Le (difficili) vite separate di Federica Cavadini Il Corriere della Sera, 27.5.2012 Indivisibili, fino al suono della campanella. Poi a ciascuno il suo, a scuola almeno. Vite separate. Classi diverse, per i gemelli. Ci credono gran parte degli insegnanti e dei presidi. Ed è una regola non scritta per molte scuole, proposta (alcune mamme dicono «imposta») alle famiglie. Se all’asilo nido e alla materna qualche coppia resiste, quando arrivano alle elementari i gemelli vengono assegnati a sezioni distinte, avranno insegnanti e compagni diversi, saranno, a scuola, «soltanto» fratelli. Al momento dell’iscrizione, mossi dalle migliori intenzioni, maestri, professori e dirigenti scolastici comunicano alle famiglie la linea della scuola. «Di default è dividerli», raccontano i genitori, che invece sarebbero più possibilisti. E perplessità ci sono anche fra psicologi e pedagogisti.
Allora. Dividerli? E quando, nel percorso fra asilo e liceo? E come arrivare o non arrivare a questa decisione? La scuola difende la posizione, il sacrosanto diritto/dovere della responsabilità educativa («la formazione delle classi è compito nostro»). Mentre mamme e papà più della separazione sembrano temere «scelte in automatico», «calate dall’alto». Così raccontano, soprattutto su internet. «Il tema classi separate è ricorrente nei forum, riceviamo mail e telefonate ed è argomento di discussione ai nostri raduni (il prossimo dal 20 al 22 luglio a Porto Recanati)», racconta Carmine Bartolomeo, autore di gemellopoli.com con il fratello Benedetto, 44 anni, uno single, l’altro marito e papà, vite diverse in città diverse, oggi. Ma compagni di banco da bambini.
I parti gemellari sono arrivati al tre per cento, negli ultimi 25 anni sono triplicati, per le tecniche di fecondazione assistita e per l’età avanzata delle mamme. E le famiglie chiedono punti di riferimento, occasioni di confronto. «L’unica rete è online», dicono. C’è il Registro nazionale dell’Istituto superiore di Sanità, ma è una rete per la ricerca. E c’è il Progetto Gemelli in Piemonte: «Seguiamo cinquecento famiglie all’anno, dal parto ai problemi economici o affettivi relazionali. Ma la nostra è un’esperienza unica e siamo a rischio chiusura perché è saltato il finanziamento», dice Brustia. «La scuola per noi non è stata di aiuto. Non c’è preparazione sull’argomento — racconta Monica, mamma milanese di gemelli ormai all’università —. I nostri li hanno messi insieme e stop, dall’asilo in poi. Al liceo però alcuni professori hanno rimproverato noi per questa scelta. Ognuno dice la sua: molti luoghi comuni e pregiudizi, poche informazioni utili. Sarebbe opportuna una formazione più specifica. La gemellarità non si può semplicemente ignorare». Gemelli anche in classe, oppure no. «Non ci sono ricerche scientifiche sul tema, non nel nostro contesto e il contesto incide», spiega Susanna Mantovani, psicologa e pedagogista, docente all’Università di Milano Bicocca.
«Nelle mie scuole li separiamo, la scelta è del collegio docenti e la decisione è passata in consiglio d’istituto — dice Francesca Lavizzari, alla guida del comprensivo Cavalieri di Milano, con elementari e medie —. Quando incontriamo le famiglie spieghiamo loro come siamo arrivati a questa decisione: sentito il nostro psicopedagogista e sulla base della nostra esperienza». Sezioni diverse, è la scelta più frequente. Separare i gemelli è una prassi consolidata anche al comprensivo Gasparini di Modena guidato da Rossella Garuti («anche zia di gemelle, che le elementari le hanno fatte insieme, su proposta dei genitori»): «Come insegnante e dirigente sono arrivata alla conclusione che la scelta migliore sia metterli in classi diverse. Ma ci deve essere accordo con i genitori». |