Saper leggere per contare in futuro
L'Ocse ha presentato il Bil, la nuova misura di
valutazione dell'economia di Giovanni Brusio ItaliaOggi, 29.5.2012 Per l'economia del futuro conterà soprattutto saper leggere. Non ne parlano, dunque, solo blasonati docenti di liceo come Daniel Pennac in Francia o Paola Mastrocola in Italia. La lettura è tutto, ed è la prima volta che l'attenzione vi è puntata a livello mondiale. Si comincia a parlare di lettura anche come predittore del benessere economico delle nazioni, forse al pari, se non di più, della stessa moneta. L'Ocse infatti concentra l'attenzione sulla lettura presentando insieme il nuovo indice di calcolo del benessere alternativo al Pil (il better life index) e uno studio sui risultati in lettura dell'Ocse Pisa 2009 condotto in Canada. Il 22 maggio scorso l'Ocse ha presentato al mondo il nuovo “Bil” (http://www.oecdbetterlifeindex.org/) misura che vorrebbe diventare alternativa se non sostitutiva del Pil, la quale, va detto, non è mai stata simpatica soprattutto ai progressisti. Si ricorderà a suo tempo come già John Kennedy disse che il Pil «misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta». Più recentemente, nel 2007, si è anche tenuta a Bruxelles una conferenza internazionale dal titolo «Beyond GDP» (Oltre il Pil), organizzata dalla Commissione e Parlamento Ue, Ocse e Wwf. Il punto è quali i nuovi indicatori post o ultra-finanziari in grado di misurare il progresso? Tra questi, sicuramente, la proficiency in lettura. Sul sito del progetto Bil è riportato lo stato dell'arte in lettura a livello Ocse e nazionale (Italia compresa) rispetto ai livelli di lettura dei 15enni. E si comincia già a parlare di spread della lettura. La quale migliora, si sa, con l'esercizio e peggiora una volta che non la si esercita più come si deve, cioè una volta finita la scuola. Tra i 15 e 24 anni, infatti, l'Ocse assiste ad una caduta della performance della lettura, a dimostrazione che, uscite da scuola, le persone non leggono più o leggono contenuti friendly to use, che, detto molto grossolanamente, intorpidiscono l'intelligenza. A 24 anni la caduta in termini di punteggio ai test di lettura dell'Ocse Pisa è di 59 punti rispetto al guadagno dei 15enni in lettura. Ma il deterioramento della lettura, spiegano da Parigi, dipende anche dal grado di stima della sua competenza nell'attività professionale esercitata, per cui dove è sottostimata si atrofizza. In Italia le cose non depongono al meglio già a scuola. La media Ocse in lettura dei 15enni rilevata col Pisa 2009 è di 493 punti mentre per noi 486. Siamo quindi sotto, ma i problemi maggiori gli italiani ce l'hanno nell'accesso e memorizzazione dei testi, nella riflessione e nella valutazione critica dei contenuti letti, meglio invece vanno, sostiene l'Ocse, nell'integrazione e nell'interpretazione letteraria delle informazioni. Secondo alcuni studi l'esposizione dei bambini, soprattutto se in età precoce, a televisione o agli schermi in generale, esercitano un'azione neuroplastica con conseguenze sull'attenzione e sulla lettura (Doidge, 2007), per cui ad ogni ora passata a guardare la tv tra uno e tre anni d'età si registrerebbe una perdita del 10% della capacità attentiva a 7 anni. Nella maggior parte del mondo, le ragazze vanno meglio in lettura dei ragazzi: in medie le prime registrano 501 punti (media Ocse) contro i 492 punti dei maschietti, in Italia siamo 510 contro 464, un bel divario. Diventerebbe allora interessante verificare la possibile correlazione di genere tra lettura e tempi di esposizione a tv e schermi, soprattutto in Italia. Ma a parte la parabola mediatica, è certo che i sistemi educativi migliori sono quelli che garantiscono maggiore equità educativa, cioè quelli più democratici, come in Islanda, Estonia e Finlandia. In Paesi come Germania, Lussemburgo e Francia, dove l'orientamento scolastico è di gran lunga condizionato da fattori di origine, il divario tra il 20% di quelli che sanno leggere meglio e il 20% di quelli che sanno leggere peggio è di 125 punti, su una media Ocse di 99 punti di gap. Si tratta, spiegano da Parigi, dell'ulteriore conferma che il background socioeconomico degli studenti è la variabile che pesa di più sui risultati di apprendimento degli studenti. |