La riforma del merito? intervista di Federica Ghizzardi a Giorgio Chiosso il Sussidiario 27.5.2012
Nomina dello studente dell'anno, master estivi per i meritevoli,
meno tasse per i primi delle classe. La rivoluzione dell'educazione
va sotto il nome di una sola parola: “meritocrazia”. Il inistro
dell'Istruzione Francesco Profumo ha, infatti, illustrato ieri i
punti chiave, alcuni ancora da rivedere, che costituiranno il
cosiddetto “pacchetto merito”: quindici articoli che vanno a
costituire un disegno di legge che dovrebbe essere materia di
discussione in Consiglio dei Ministri, già da venerdì prossimo. Si
comincia dalle scuole superiori, dove gli alunni che hanno superato
la maturità con il massimo dei voti, avranno diritto ad una borsa di
studio aggiuntiva e alla riduzione del 30% delle tasse
universitarie, ma solo per il primo anno. Olimpiadi scolastiche da
organizzarsi annualmente per ogni materia di studio con la nomina di
tre vincitori che si aggiudicheranno soggiorni gratuiti in campus
estivi. Non solo. Per i più bravi saranno messe a disposizione le
card “Io merito” con possibilità di sconti su mezzi pubblici, mostre
e musei. “Sono convinto che nella nostra scuola un ritorno al merito
non sia del tutto inutile - dice Giorgio Chiosso, pedagogista -. Per
moltissimo tempo, almeno trenta o quarant'anni, abbiamo sottolineato
che la scuola doveva essere selettiva, poco meritocratica e che,
anzi, doveva sostanzialmente perseguire il fine dell'equità. Questo,
ha fatto sì che la scuola impoverisse ciò che era una delle sue
anime, l'individuazione dei meritevoli: abbiamo, in pratica,
perseguito l'obiettivo di eliminare le disuguaglianze ma ci siamo
dimenticati che un Paese vive anche di eccellenze e che queste
costituiscono la ricchezza di uno Stato”.
La scuola è certamente un luogo dove si coltivano le intelligenze
migliori ma dove non si deve dimenticare le difficoltà di quei
ragazzi che fanno più fatica, non perchè questi ultimi siano meno
dotati o meno capaci ma perchè hanno, magari, meno possibilità
sociali, culturali e familiari. L'altro rischio è costituito dal
fatto che, dopo essere passati attraverso una specie di ideologia
ugualitaria, non si passi improvvisamente ad un'altra convinzione,
la meritocrazia più spinta.
La scuola deve valorizzare i più meritevoli anche perché questo ci è
richiesto dalle logiche economiche ma non si passa solo da soluzioni
puramente meritocratiche per migliorare il mondo dell'educazione.
Siccome esiste un'autonomia scolastica, penso che questo genere di
intervento debba essere attribuito alle scuole altrimenti il rischio
è che si torni al vecchio statalismo, che ci siamo lasciati alle
spalle. Il ministero ha il diritto e, soprattutto, il dovere di
indicare i canoni di orientamento ma tutti gli aspetti che
riguardano in dettaglio l'applicazione di queste linee guida e le
forme organizzative, devono essere largamente attribuite alle
scuole. Non che questo non crei sperequazioni, ma è un rischio che
bisogna correre.
Questi punti chiave dettati dal ministero mi sembrano il primo tempo
di una partita che è ancora tutta da giocare. Il discorso del merito
non può essere dissociato da altri due passaggi molto delicati e su
cui non mi sembra che la nostra classe politica abbia preso una
posizione precisa. Il primo passaggio è legato alla qualità degli
insegnanti: il merito è sicuramente legato a contesti sociali e
familiari, che determinano il carattere dell'alunno, ma è anche
connesso alle capacità dei docenti. Purtroppo, ad ora, non esiste
alcun sistema che possa valutare l'operato degli insegnanti se non
alcuni criteri piuttosto autoreferenziali, organizzati in autonomia
da alcuni istituti.
E' strettamente congiunto con ciò che dicevo prima ed è la
valutazione del rendimento delle scuole. In Italia abbiamo un
giudizio sugli apprendimenti, realizzato dall'Invalsi, ma non siamo
ancora arrivati alla fase successiva dove si cerca di capire qual è
la vera qualità degli istituti. Il merito è un discorso complesso
che però non si gioca solo sul versante degli allievi.
Valutare un istituto sul numero dei bocciati mette in svantaggio
quelle scuole che si trovano in contesto sociali difficili. Il
problema della valutazione scolastica non deve essere trattato da un
punto di vista quantitativo ma di misuratori complessi e sofisticati
che in Italia, purtroppo, c'è pudore ad affrontare, anche per una
certa rigidità delle organizzazioni sindacali e per la mentalità di
alcuni insegnanti.
Non mi sembra una novità ma il perfezionamento di una prassi che già
oggi le università applicano con test orientativi che servono anche
ad accertare se gli studenti hanno i requisiti adatti per
frequentare una determinata facoltà. Trovo, però, un punto debole in
questi test. L'ipotesi che venga tolta la prova di cultura generale: trovo che sia un grave errore. La formulazione delle domande potrà essere oggetto di discussione poiché l'argomento è estremamente variegato, ma prima occorre capire quali sono le attitudini delle studente e qual è il suo background, e poi indirizzarlo verso la facoltà che gli è più congeniale. E cosa se non una prova di cultura generale per poterlo stabilire. |