“Strana”, quella sentenza sulla discriminazione
Si tratta di una recente Sentenza prodotta dal
Tribunale Civile di Ravenna, basata su un Regolamento locale, il
quale sostanzialmente discrimina gli alunni con disabilità e lo fa
presumibilmente per risparmiare sui costi. Vediamo perché quel
provvedimento sarebbe facilmente impugnabile, auspicando per altro
che sia lo stesso Comune di Ravenna a modificare quel Regolamento
di Salvatore Nocera*,
Superando
17.7.2012
Com’è noto, la Legge
67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con
disabilità vittime di discriminazioni) stabilisce che una
condotta attuata tramite comportamenti o provvedimenti volontari o
involontari, ma oggettivamente discriminatori, nei
confronti delle persone con disabilità, sia un fatto che comporta la
condanna al risarcimento dei danni anche non patrimoniali, oltre che
alla cessazione del comportamento incriminato.
Di questo avviso, però, non è stato il Tribunale Civile di
Ravenna, nel decidere, con un’Ordinanza
emessa il 14 giugno scorso, sul ricorso di una famiglia che
lamentava la discriminazione operata per l’“interscuola”
(orario di mensa) negato a un alunno con disabilità, per il solo
fatto che uno dei genitori non lavorava e avrebbe potuto quindi
accudire il figlio in quell’intervallo di tempo.
Fin qui, su tale
decisione, nulla da eccepire, dal momento che l’ASP
(Azienda per i Servizi alla Persona, ex IPAB [Istituzioni
Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, N.d.R.], trasformata in
Azienda Comunale ai sensi dell’articolo 10 della Legge
328/00) aveva fissato questa prescrizione nel proprio
Regolamento del 2008 (Regolamento per la gestione
del tempo extrascolastico per minori disabili), come
giustamente afferma il Tribunale Civile di Ravenna.
Dove invece – a sommesso avviso di chi scrive – c’è
discriminazione è nel raffronto tra il citato Regolamento
dell’ASP ravennate e il precedente Regolamento dell’Assessorato
Comunale per i Servizi Sociali del 2005, che prevedeva per
tutti i bambini il diritto prioritario
all’interscuola, ove i due genitori lavorassero entrambi, ammettendo
quindi implicitamente che non lavorando uno dei due, anche in questo
caso si sarebbe potuto ottenere l’interscuola per il figlio, pur
dopo che fossero stati soddisfatti i diritti prioritari degli altri.
Anzi, tale regolamento prevedeva una norma apposita per le
situazioni più gravi, da risolvere caso
per caso.
Con il successivo Regolamento dell’ASP, invece – riguardante
esclusivamente i bambini con disabilità – di tale distinzione fra
genitori entrambi lavoratori e genitori dei quali uno solo lavora,
concedendo in quest’ultimo caso l’interscuola, qualora siano rimasti
posti disponibili dopo le priorità, non vi è traccia alcuna.
E se si chiedono chiarimenti verbali agli uffici dell’ASP, ci si
sente rispondere – come ha stabilito il Tribunale – che il servizio
dell’ASP è particolare perché non si limita solo all’interscuola.
Invero, siccome a
pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, il fatto è che
mentre per l’interscuola del Comune c’è un assistente per molti
bambini, per l’interscuola dei bambini con disabilità occorre un
assistente talora anche con rapporto di uno a uno,
ciò che costituisce un costo molto superiore.
E tuttavia, se si ritiene l’interscuola come rientrante nel diritto
allo studio, la Sentenza
80/10 della Corte Costituzionale è chiarissima, stabilendo,
anche alla luce di un’ininterrotta propria giurisprudenza, che il
diritto allo studio degli alunni con disabilità, essendo
costituzionalmente garantito, non può essere limitato per
motivi di restrizioni di bilancio. Ciò
significa che, se la vera motivazione della disparità di trattamento
fosse costituita dal costo maggiore per gli alunni con disabilità –
e dal testo del Regolamento non risultano motivazioni di altro tipo
– la norma dello stesso Regolamento dell’ASP che la prevede sarebbe
illegittima e potrebbe essere annullata da
qualunque Tribunale (in questo caso dal Tribunale Amministrativo
Regionale-TAR), per violazione di norme costituzionali.
Di conseguenza, quindi, il Regolamento dell’ASP sarebbe un
provvedimento discriminatorio e come tale
censurabile da qualunque Tribunale Civile.
Forse, se la famiglia facesse appello contro la Sentenza del
Tribunale di Ravenna, potrebbe capovolgere il risultato, dal momento
che la discriminazione tra le due previsioni normative è
sostanzialmente palese. Anzi, stando all’articolo 3, comma 3 della
Legge Quadro
104/92, gli alunni con disabilità certificati in situazione di
gravità hanno «diritto di priorità» nell’accesso a tutti i servizi
previsti dalla stessa Legge Quadro e quindi anche
all’interscuola, come connesso intrinsecamente al diritto
allo studio, senza alcuna distinzione se i genitori lavorino
entrambi o meno. Sarebbero quindi alla pari di priorità
con l’ipotesi prevista dal Regolamento Comunale. Né si dica che
questa è una conclusione meramente formale, perché si potrebbe
replicare che molto più formale è la distinzione
operata nel Regolamento dell’ASP, che sottintende un bisogno di
risparmio – non previsto dal precedente Regolamento Comunale – il
quale ultimo, anzi, prevedeva una norma apposita proprio per i casi
più gravi.
A questo punto si
auspica che – senza la necessità dell’appello – il Comune di
Ravenna, di cui è nota la multidecennale tradizione di
meritori interventi di qualità nell’integrazione scolastica, anche
con ottimi accordi di programma, tra i primi in Italia, voglia
modificare il Regolamento dell’ASP (azienda propria), adeguandolo al
proprio precedente Regolamento, alla Legge 67/06 e – non certo
ultima – alla Costituzione Italiana.
* Vicepresidente nazionale
della FISH (Federazione Italiana per il Superamento
dell’Handicap). Responsabile del Settore Legale dell’Osservatorio
Scolastico dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down). Il
presente testo riadatta una scheda già pubblicata nel sito dell’AIPD,
per gentile concessione.