Scuola

Le due Italie?
Una studia, l'altra copia

intervista a Roberto Ricci il Sussidiario 27.7.2012

È fresco di «stampa» il Rapporto annuale Invalsi con le Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti 2011-12. Nelle duecento pagine del volumone, tutti i dati, su base regionale, delle fatidiche cinque prove Invalsi che hanno fatto agitare sparuti ma rumorosi gruppi di oppositori contrari alla valutazione, e impegnato, in modo più sereno e assai meno ideologico, gli studenti italiani nel maggio e nel giugno scorso. Una radiografia complessa, quella dell’Invalsi, che attraverso grafici e numeri fa «parlare» la scuola molto meglio di tante analisi sociologiche. In attesa della restituzione dei dati alle scuole, che avverrà a settembre, parla Roberto Ricci, coordinatore del Rapporto e responsabile dell’area prove dell’Invalsi.

L’area geografica più debole si conferma ancora quella del Mezzogiorno. Cosa può dire sotto questo aspetto delle competenze in matematica e in italiano dei nostri studenti?

Dai dati risulta che le differenze tra Nord e Sud, purtroppo, tendono ad aumentare mano a mano che si procede nei livelli scolastici, dalla II primaria su fino alla II superiore. Se questo, da un lato, è determinato dal fatto che più si va avanti più le differenze divengono visibili per ragioni intrinseche, dall’altro è ancora la prova che la scuola del Paese non riesce a colmare queste progressive distanze. Vale sia per italiano, sia per matematica.

Il Rapporto contiene dati interessanti che riguardano l’apprendimento degli studenti stranieri rispetto agli studenti italiani, e quello degli studenti stranieri di seconda generazione rispetto a quelli di prima generazione. Cosa può dire in proposito?

Da questo punto di vista la nostra scuola svolge un buon lavoro in termini di azioni finalizzate a colmare il divario, perché le differenze tra gli stranieri di seconda generazione e gli italiani autoctoni sono molto più contenute rispetto agli stranieri di prima generazione. Inoltre, questo avviene in misura maggiore nelle aree in cui gli italiani hanno mediamente risultati migliori, smentendo la facile equivalenza «più stranieri più problemi».

Vuol dire che le aree dove ci sono più stranieri sono quelle nelle quali gli studenti italiani sono più brillanti?

Esatto. Lombardia, Veneto ed Emilia, le tre regioni con più stranieri, sono anche quelle con i risultati più alti in italiano e matematica per gli studenti italiani.

Il miglioramento in seconda generazione è merito degli studenti o merito della scuola?

Non abbiamo gli elementi per dirlo, ma la scuola una buona parte di questo merito ce l’ha, perché gli studenti di seconda generazione sono figli di genitori non italofoni, e dunque se la scuola riesce a ridurre queste distanze vuol dire che fa bene il suo lavoro.

In sede di elaborazione dei risultati lei ha tenuto a sottolineare l’importanza del voto di ogni studente espresso in termini di differenza dal voto medio della classe stessa. Cosa significa e perché?

Anziché considerare sic et simpliciter il voto conseguito da ciascuno studente nel primo quadrimestre in italiano e matematica si è preferito esaminare la differenza di tali voti da quello medio di classe. Il risultato così ottenuto è più indicativo del livello di preparazione dello studente poiché si elimina, almeno in parte, l’effetto dei diversi criteri di valutazione dei singoli docenti. L’analisi condotta sui voti, considerati come appena indicato, mostra un considerevole legame con i risultati delle prove Invalsi. Ciò indica in modo chiaro che il timore che le rilevazioni misurino cose totalmente diverse rispetto a quello che è la prassi quotidiana nella scuola non trova vero riscontro nel dato empirico. Se la correlazione tra i due dati è così rilevante − è lo è −, vuol dire che ciò che misurano le prove standardizzate e ciò che misurano gli insegnanti sono costrutti che si guardano direttamente negli occhi.

Torniamo alla divaricazione geografica e ai dati del Mezzogiorno. Essi non sono omogenei. Perché?

All’interno delle regioni del Mezzogiorno sono ben individuabili due gruppi: il primo è quello che all’incirca ricalca l’asse ionico-adriatico, rappresentato da Abruzzo, Puglia e Basilitata. Sono regioni che in molte prove hanno risultati in linea con la media nazionale. Le altre regioni, principalmente Calabria, Campania e Sicilia e − anche se con dinamiche diverse − Molise e Sardegna, hanno invece risultati nettamente inferiori alla media nazionale. Tre regioni di questo secondo gruppo, ossia Calabria, Campania e Sicilia, fanno rilevare l’esistenza di problemi anche nella conduzione delle prove, come i più classici casi di cheating (comportamenti opportunistici, ndr); altre, come la Sardegna, non fanno cheating ma mostrano risultati molto bassi. Più del 75% degli studenti della Sardegna sono sotto la media nazionale in matematica.

Nel contesto degli esiti complessivi misurati dalle rilevazioni, come incide il cosiddetto background familiare?

Ha un peso e sarebbe improprio negarlo, ma non è naturalmente l’unico elemento che concorre alla spiegazione dei risultati. Vi sono per esempio aree del Paese con un background socio-economico e cultuale non particolarmente favorevole ma con risultati in miglioramento, mentre altre regioni, come Lazio e Liguria, mostrano risultati non così buoni come ci si dovrebbe attendere da un background socio-culturale più nettamente più favorevole rispetto a quello di aree più svantaggiate.

La comparazione dei dati Invalsi con quanto avviene a livello internazionale può dirsi un miraggio?

No, e sul punto stiamo lavorando. Abbiamo già iniziato a mettere in atto nuove procedure per fare ulteriori progressi sotto questo aspetto. In ogni caso, a patto di usare una certa cautela, alcuni confronti di tipo orientativo, non strettamente tecnico, sono possibili. In altri termini, mentre le rilevazioni nazionali Invalsi si riferiscono ad una classe determinata − come la II del II ciclo d’istruzione (la seconda superiore, ndr) −, i dati Pisa si riferiscono ad una classe d’età, quella dei 15enni, ovunque essi siano; in realtà, questi due risultati si parlano: le distribuzioni sono molto simili, sia in termini di ordinamento relativo sia di divari nella distribuzione.

Ci faccia un esempio.

Se confrontiamo i dati di italiano di Invalsi 2012 con Pisa 2009, che sono gli ultimi disponibili aventi ad oggetto la lettura, vediamo che le due rilevazioni sono molto simili in termini di risultati riprodotti. Il che, tra l’altro, costituisce una validazione esterna della nostra rilevazione.

Cosa emerge invece dai dati relativi al cheating, ossia i comportamenti scorretti?

Qui ci sono due problemi. Il primo è prettamente tecnico. Il cheating infatti introduce una «ferita» nei dati; dal punto divista statistico abbiamo buoni strumenti per individuarlo e correggerlo, ma la cicatrice rimane. La cosa confortante è che là dove abbiamo intrapreso una campagna informativa i risultati si sono visti; anche se in certe regioni, come la Sicilia, questo è stato meno vero che altrove.

E l’altro problema?

Quello che non si riesce a correggere è − mi passi il termine − la devastazione educativa rappresentata dal cheating, perché nel momento in cui un insegnante consente agli studenti di copiare o, ancora peggio, suggerisce loro e risposte, fa passare un messaggio estremamente negativo. Sta dicendo ai suoi studenti, con un esempio cattivo e «autorevole», che quel che conta è imbrogliare. È un atto profondamente egoistico che contribuisce a nascondere le carenze degli studenti, quando un intero sistema sta facendo tutto il possibile per individuare le distanze e per colmarle.

A settembre ci sarà la restituzione dei dati. Come l’Invalsi intende favorire l’autoanalisi delle scuole?

Innazitutto, facilitando la lettura dei dati. Fin dalla prossima restituzione aiuteremo le scuole proponendo loro delle piste interpretative; dal canto loro, le scuole hanno la facoltà, il compito e l’onere di trovare le modalità per mettere in piedi sistemi di autovalutazione che promuovano un miglioramento. In questa fase è superfluo dire che il dirigente scolastico ha un ruolo chiave.

L’altra faccia della valutazione è la possibilità, per una scuola, di comunicare all’esterno i risultati. L’istituto intende dare supporto anche in questa fase?

Non vogliamo entrare nella facoltà delle scuole di decidere se pubblicare o meno i dati. Ciò che invece l’Invalsi, anche in collaborazione col ministero, intende fare a servizio della scuola che ha deciso di pubblicare i dati è predisporre un protocollo di pubblicazione affinché quei dati non siano divulgati in modo equivoco e fuorviante per il sistema.

Cosa auspica per l’Istituto, a conclusione di questa tornata di valutazione?

Le contingenze dell’istituto sono note. Sta cercando di dare il massimo per le risorse disponibili, che però sono insufficienti per realizzare tutti gli obiettivi che abbiamo. Sarebbe bello se potesse finalmente consolidare, dal punto di vista organizzativo, tutte le risorse di competenza che ha al suo interno.