I voti peggiori: l’Antonio D’Elia di Cantù

“Siamo rigorosi e cattivelli ma per il bene dei ragazzi”

Alla vigilia della pubblicazione dei cartelloni con i voti di maturità, abbiamo compiuto un viaggio tra Nord e Sud alla scoperta delle scuole migliori e peggiori del Paese in quanto a rendimento degli studenti. Abbiamo così scoperto due realtà contrastanti. In quanto a voti, il liceo più «virtuoso» sarebbe a Reggio Calabria, quello con i ragazzi meno studiosi è di Cantù, nel profondo Nord.

Fabio Poletti La Stampa, 7.7.2012

Gabriele D’Annunzio, chi era costui? Ah, saperlo... Mica lo sa Pietro Ballerini, 19 anni, T-shirt blu assai vacanziera e occhialini. Sopravvissuto con qualche timore al plotone di esecuzione della commissione d’esame del polo scolastico Antonio D’Elia di Cantù, un prefabbricato di cemento che ingurgita ogni giorno novecento studenti tra liceo scientifico, istituto per geometri e professionali in elettronica e che di questi tempi sforna maturandi a raffica, ma con zero lodi e nessuno a pieni voti. Pietro Ballerini che pure è strasicuro di avercela fatta, giura che non è stata una passeggiata: «In inglese mi aspettavo una domanda sulle Medieval towns, perché nello scritto l’avevo saltata... Però non ho fatto in tempo a ripassare...».

Sono ragazzi così, gli studenti della generazione 2punto0. Con la sfortuna pure di capitare in questa scuola carognetta dove negli ultimi tre anni, nemmeno uno ha preso il 100 che lo avrebbe portato al top of the top del rendimento scolastico. La vicepreside, professoressa Milesi, insegnante di fisica, caschetto biondo e camicetta bianca assai austera pure con le sneaker, lo ammette: «In effetti siamo un po’ cattivelli. Sappiamo di essere molto rigorosi. Ma la priorità di questi ragazzi non è certo lo studio. A loro interessa fare altro...». In effetti il cortile della scuola è deserto. Decisamente più affollata la premiata panetteria a fianco.

Dove si fionda Danilo Cudazzo, capelli ritti di gel e maglietta a righe multicolor, dopo aver diligentemente snocciolato tutte le sue conoscenze sulla ditattura fascista, il genitivo sassone, un paio di teorie fisiche - lasciando perdere il bosone, però - e alla fine il concetto economico di tariffa. Prima di lanciarsi sulla pizzetta, manda ai posteri un lascito sul suo futuro: «Voglio andare al Politecnico di Milano. Facoltà di Ingegneria. Se non mi prendono, tento altro. Altrimenti, cerco un lavoro». Alla fine duttile e pragmatico. Giusto quello che serve per affrontare le curve della vita qualunque cosa capiti.

Il professor Michele Catallo, insegnante a Como, presidente di commissione, in trent’anni dietro la cattedra ne ha viste di ogni tipo: «Questi ragazzi sono molto svegli. Ma noi studiavamo di più. Molte cose le hanno perse... Invece di un pensiero articolato, ragionano in 140 caratteri, al ritmo di Twitter». Pietro Ballerini,maturando con mentalità scientifica, lo ammette: «Le divisioni le so fare... Basta che non abbiano troppe cifre però. Qualcosa me lo ricordo. Se no uso la calcolatrice, no?».

Cinque candidati al giorno. Otto materie orali. Dopo i tre scritti - italiano, quello specifico per il corso di diploma e i famigerati quiz - arriva l’ultimo passaggio. In queste aule verdoline sfilano nozioni e microstorie adolescenziali. Gli studenti sono quasi tutti di Cantù, qualcuno viene da Como ma chissà perché c’è pure chi si sciroppa il viaggio da Milano. La vicepreside Milesi giura che non è una scuola difficile, la condotta scolastica viene ritenuta importante ma quello che conta è la crescita dei ragazzi: «Prima di trasmettere nozioni dobbiamo educare. Educare i ragazzi alla vita».

Mica facile ai tempi degli smartphone, dove la velocità è tutto, più veloce pure del pensiero. E allora non c’è insegnante che non dica le cose di sempre: «I giornali li leggono perché la scuola aderisce all’iniziativa “Quotidiano in classe”. Ma chi lo sa fuori di qui? Qualcuno con in mano un libro c’è. Ma sono mosche bianche...» E allora alla fine la cultura è quella veloce dei videogame. Con Pietro Ballerini che si incaglia davanti a un pensiero nemmeno troppo profondo: «Cosa mi serve nella vita conoscere le Medieval town? Boh... Magari se un giorno a mio figlio verrà questa curiosità saprò cosa dirgli...». Alla faccia della bad school. E di tutte le «Bad teacher» assai cinematografiche come Cameron Diaz.