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Docenti e nuove province, caos al via

 il Sussidiario 24.7.2012

L'Upi, Unione Province italiane, lancia l'allarme: a settembre almeno la metà delle province andrà in dissesto e non potrà assicurare l'apertura di molti istituti scolastici. Per Giuseppe Castiglione, presidente di Upi, con i tagli da 500 milioni di euro nel 2012 e quello da 1 miliardo nel 2013 le province non avrebbero soldi sufficienti nelle proprie casse per garantire la riapertura delle scuole. Il problema va ancora una volta sotto il nome di spending review: parametrando 1,3 miliardi ai 500 milioni previsti dal decreto legge sulla revisione delle spesa varato dal Governo Monti, il taglio reale che dovrebbe spettare alle province è pari a 176 milioni di euro per il 2012 invece dei 500 milioni previsti. E 352 milioni di euro per il 2013 invece del miliardo previsto.

Insomma, un errore di valutazione che metterebbe a rischio l'anno scolastico nella maggior parte delle regioni. “Lo abbiamo detto a Bondi”, ha affermato il presidente dell'organo di rappresentanza delle province, riferendo dell'incontro avuto nei giorni scorsi con il consulente del governo per la spending review. Castiglione ha ricordato che in merito all'accorpamento delle province, previsto dall'ultimo Consiglio dei Ministri, devono essere i territori a poter decidere in autonomia e sulla scadenza temporale fissata in 40 giorni per procedere all'accorpamento è necessario un tempo più congruo. L'Upi è concorde nella riduzione della spesa e su una maggiore efficienza degli enti locali, ma “il dimagrimento non può incidere su quelle che sono le funzioni principali degli enti - conclude Castiglione - a partire dal tema dell'edilizia scolastica e dell'occupazione”. “L'allarme è realistico - dice Remo Morzenti Pellegrini, prorettore dell'Università di Bergamo - anche se nei giorni scorsi parallelamente al riassetto delle province è stato ipotizzato che le competenze di queste ultime passino ai comuni. Ora c'è confusione e mi stupisce, più che altro, che si sia messa mano a questa nuova ripartizione delle funzioni senza un riassetto complessivo dei rapporti fra Stato, regioni ed enti locali. Anche perché esiste una norma dello Stato entrata, ormai, nel pieno dell'applicazione che prevede compiti precisi agli enti locali. La riforma dello Stato, approvata con la Legge Bassanini nel 1997, è stata attuata con una serie di provvedimenti che ancora oggi necessitano di una completa attuazione. Uno di questi era il Decreto 112/98 che prevedeva compiti e funzioni in materia scolastica per Stato, Regioni ed Enti Locali. In quest'ultima categoria rientrano a pieno titolo le province”.

Morzenti non ha dubbi su chi si abbatterà con più veemenza la scure dei tagli: “L'impatto più immediato dei tagli - ammesso che questo testo rimanga tale, prima dei 60 giorni della reale entrata in vigore - sarà sul personale docente perché, ad oggi, ci sono insegnanti che hanno maturato diritti contributivi previdenziali e non sanno se il primo di settembre potranno entrare in aula. Comprendo che ci possano essere emergenze finanziarie, ma applicare delle regole in corso d'opera dal punto di vista previdenziale sugli insegnanti senza una contestuale politica di nuove assunzioni, o senza l'avvio di nuovi concorsi, mi sembra un provvedimento sganciato dall'assetto complessivo del sistema. Non tralasciamo, poi, gli effetti sulle spese vive di funzionamento degli istituti come manutenzione ordinaria e straordinaria e spese di gestione”.

Come influiranno, invece, gli accorpamenti provinciali? “Le province hanno una competenza - continua Morzenti Pellegrini - sulla rete scolastica cioè sulla programmazione dell'offerta formativa delle scuole secondarie superiori, e l'allargamento dei confini cambia completamente le carte in tavola. Si tratta, in sostanza, di occuparsi di programmi scolastici di territori che non si conoscono che, a loro volta, comprendono zone diversissime fra loro. Ad esempio, se consideriamo territori come le province di Bergamo o Brescia che partono dall'alta montagna e arrivano alla pianura, sono già in difficoltà perché devono gestire problemi e strutture di entità molto differenti. Se ad essi vengono accorpati territori ancor più estranei sarà un vero e proprio caos: il problema non sarà più a chi toccherà la manutenzione di questo o quell'istituto, ma chi avrà la competenza finale per gestire la programmazione dell'offerta formativa. Un compito assai più impegnativo”.

Un soluzione per gestire la disomogeneità dei territori, però, ci sarebbe: “Tornerebbe in auge - dice ancora Morzenti Pellegrini - l'idea che circolava anni fa e che andava nella direzione della costruzione di ambiti territoriali. A mio avviso, questa è l'unica soluzione per gestire questi nuovi macro-territori”. Cosa ne sarà, dunque, del personale che deve far fronte a più cattedre o, peggio, per alcuni presidi che sostengono un doppio incarico? “Ci sarà molta confusione perchè non è stata, ancora una volta, attuata una programmazione seria - afferma Morzenti Pellegrini -. Ad esempio, in questi giorni è stata sospesa l'efficacia delle procedure concorsuali che avrebbero consentito di nominare, in Regione Lombardia, 350 nuovi dirigenti. Il personale docente rischia di non avere più una guida”.