Esami di Stato II ciclo a conclusione:
qualche osservazione e proposta

di Beatrice Mezzina Educazione & Scuola 25.7.2012

Nell’interessante dibattito ospitato da Edscuola sugli Esami di Stato, si sono susseguiti interventi di utile approfondimento sulla necessità di ripensare a una modifica degli Esami stessi, ormai a un quindicennio dall’attuale formula, pur con le modifiche intercorse.

Interessantissime le osservazioni condotte da M.Tiriticco, E. Maranzana, A.Valentino sulla questione nodale della certificazione delle Competenze.

Aggiungo qualche riflessione e proposta oltre i temi citati e discussi che condivido in pieno.

1. La questione del Monitoraggio

Dopo alcune interessantissime pubblicazioni dell’allora CEDE attraverso l’ ONES- Osservatorio Nazionale Esami Stato (cfr. CEDE- ONES, 2000 Elementi di stile – Riflettendo sugli orali con introduzione di B.Vertecchi), il monitoraggio sugli Esami di Stato si è progressivamente perduto; nel CIDI, nelle Associazioni Professionali, abbiamo svolto negli anni monitoraggi vari, senza mezzi e con campioni limitati, sulle novità intercorse come le morattiane Commissioni interne, le gelminiane strette sui crediti e sulle tabelle annesse.

Manca tuttavia un’analisi documentata del MIUR su cui impostare riflessioni e ipotesi di mutamento. Un dovere largamente disatteso.

Ragioniamo, nonostante tutto, su alcuni elementi di riflessione.

2. L’Ammissione

Dal 2010 (O.M.44) gli studenti sono ammessi solo se conseguono almeno sei decimi in tutte le discipline compreso il comportamento.

Ne deriva: i voti di fine anno non sono affidabili. Tranne i casi di diffuse insufficienze in cui i Consigli di Classe deliberano la non ammissione dello studente, nella maggior parte dei casi, in presenza di una o due insufficienze, si decide di ammettere, assegnando un voto sufficiente nella disciplina/e deficitaria, se mai tenendosi stretti nei voti delle altre discipline per non creare disparità con altri candidati che abbiano raggiunto la sufficienza per effettivo merito.

Le Commissioni d’esame, per aver chiara la situazione reale, guardano i voti del primo quadrimestre, a volte anche i compiti e i registri.

Il sistema articolato di valutazione, già difficoltoso in sé per la complessità di trasformazione del sistema decimale in punteggi in centesimi, con il mutamento e la stretta dei crediti, si complica per la questione dell’ammissione falsata.

Ne consegue un appiattimento delle fasce più basse nelle votazioni di ammissione e finali, una scarsa affidabilità della valutazione.

E’ questione di grande momento riflettere sulla valutazione, non solo negli esami di Stato.

Si potrebbe pensare, come in altri sistemi scolastici europei, a un peso forte di alcune discipline caratterizzanti il corso di studi, come la matematica per lo Scientifico ad esempio?

Quali conseguenze produce il voto di comportamento che fa media?

Necessario quindi un monitoraggio attento dei processi messi in moto dai mutamenti della normativa.

3. Il Colloquio

E’ la parte più complessa dell’esame dal punto di vista valutativo: il caldo, la prossemica, l’attenzione o disattenzione dei commissari, l’effettiva difficoltà per lo studente di essere pronto a sostenere l’esame in tutte le discipline, non ne fanno un momento tra i più attendibili della valutazione.

In genere la commissione, che ha già fatto i conti tra credito scolastico e prove scritte, assegna un punteggio già meditato, cercando, soprattutto nei casi più gravi, di “salvare” lo studente e di assegnare un punteggio che faccia raggiungere il sessanta, soprattutto quando le prove scritte non siano state positive; oppure se uno studente bravo abbia conseguito un risultato inferiore alle aspettative nelle prove scritte, il colloquio tende a riequilibrare la situazione. Insomma spesso un punteggio di compensazione.

E’ la parte dell’esame che avrebbe più bisogno di attente modifiche.

4. La tesina, il percorso, la mappa, l’approfondimento

Dall’O.M.41/2012:

“Il colloquio ha inizio con un argomento o con la presentazione di esperienze di ricerca e di progetto, anche in forma multimediale, scelti dal candidato. Rientra tra le esperienze di ricerca e di progetto la presentazione da parte dei candidati di lavori preparati, durante l’anno scolastico, anche con l’ausilio degli insegnanti della classe….Il Presidente, il giorno della prima prova scritta, invita i candidati….. a comunicare la tipologia dei lavori prescelti per dare inizio al colloquio”.

Molti studenti, contravvenendo ormai per prassi consolidata alle indicazioni, preparano, in genere, non un’esperienza di ricerca e di progetto personale o meglio svolta in classe con l’aiuto degli insegnanti ma, nella maggior parte dei casi, una mappa rabberciata in cui sono messe insieme alcune tematiche con cui si presume di collegare nei modi più inverosimili gli argomenti delle disciplne d’esame; spiccano i collegamenti posticci nel tentativo di far rientrare nel “percorso” tutte le discipline.

Oppure gli studenti producono una tesina su un tema di personale interesse – spiccano per frequenza il ruolo della donna, l’amore, la crisi del Novecento e così via. Mancano o sono in netta inferiorità gli argomenti di taglio scientifico, anche nelle scuole che hanno una connotazione tale da corrispondervi.

Taccio con una voluta preterizione la stanca ovvietà degli argomenti proposti e la riflessione annuale di tutti gli insegnanti che è arduo cavare qualcosa dalla maggior parte degli studenti al di là del percorso presentato.

Proposta:

Arginare questa deriva è possibile, anche senza mutamenti legislativi, con qualche semplice precisazione nell’O.M. annuale.

  • Si precisi a chiare lettere, se mai con una indicazione ad inizio d’anno che l’esperienza di ricerca e di progetto deve esser svolta durante l’anno scolastico e deve avere l’avallo del docente/dei docenti che l’hanno seguita.

  • Gli insegnanti che durante l’ultimo anno, o meglio nel triennio, abbiano svolto alcune esperienze di approfondimento con gruppi di studenti – è un esempio l’area di progetto nei tecnici e professionali – ne certifichino per gli esami itinerari, modalità di realizzazione, gli interventi specifici degli studenti.

  • Ciascuno studente può avviare l’esame esplicitando il proprio lavoro collaborativo, finalità e itinerario di ricerca.

Resta il nodo che nel colloquio, secondo me, non si possono discutere con serietà tutte le discipline, sia per i tempi tecnici, sia per la difficoltà di sostenere in breve una rassegna che tocca tutti i punti dei programmi presentati.

Di fatto, nonostante l’invito a operare collegamenti, alla collegialità, alla pluri o interdisciplinarietà delle domande, dobbiamo convenire che il colloquio risulta spesso monadicamente condotto in ogni disciplina; sostenere garbatamente un colloquio su tutte le discipline è impresa difficile per gli studenti e anche i commissari riescono solo con alcuni candidati di qualità a saggiarne i livelli di approfondimento.

Per gli altri si apre il baratro se si va fuori “percorso”.

Non vorrei ritornare alla vecchia formula della scelta delle materie per gli orali; se tutto rimane così e la struttura dell’esame non muta, si potrebbe pensare almeno alla possibilità di scelta di due o tre argomenti per disciplina da parte degli studenti.

Di fatto già avviene così, nella saggezza procedurale degli insegnanti: spesso chiediamo ai candidati un argomento “a piacere” e solo per i più bravi si scandaglia più a fondo.

5. La prima prova e i Rapporti INVALSI

Ricordiamo che nella prima prova dell’esame di Stato II ciclo (la “Prova di Italiano”) sono state introdotte ormai da tempo, (D.M. 389/98, art.1) tipologie diverse di elaborati da produrre, le ormai note tipologie A,B,C,D.

La varietà dei tipi di prova risponde alla necessità di offrire ai candidati modalità diverse per dimostrare la propria padronanza della lingua italiana come cita il testo legislativo vigente in materia (L. 11.01.2007, n. 1, art. 3, comma 2): «… La prima prova scritta è intesa ad accertare la padronanza della lingua italiana o della lingua nella quale si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato»

Quanto la tipologia delle prove ha inciso sul curriculum di scrittura? La molteplicità delle tipologie consentono migliori esiti di scrittura?

Sulla I prova abbiamo due interessantissime ricerche di cui fare tesoro

1 – INVALSI – ACCADEMIA DELLA CRUSCA (2009)

La valutazione della prima prova dell’esame di Stato.

2 – INVALSI – marzo 2012

ESAME DI STATO CONCLUSIVO DEI PERCORSI DI ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE. Valutazione dei livelli di apprendimento – Prove scritte di Italiano a.s. 2009­2010 – Rilevazione degli errori più diffusi nella padronanza della lingua italiana nella prima prova di italiano.

Sono due rapporti di grande importanza per gli insegnanti, non solo di Italiano, nella speranza che i docenti di tutte le discipline concorrano non solo alla definizione di buone griglie di valutazione, cui è dedicato il primo rapporto, ma soprattutto a costruire un curriculum di scrittura, confrontandosi con i presupposti teorici della padronanza della lingua italiana, con le analisi e gli esiti delle rilevazioni.

“ …la lingua primaria, come strumento fondamentale per l’elaborazione e l’espressione del pensiero e per l’ampliamento dell’intero patrimonio personale di esperienze e di cultura, si offre come terreno diretto per tutti gli insegnanti”

(Piani di Studio della Secondaria Superiore e Programmi dei primi due anni. Le proposte della Commissione Brocca. Annali della Pubblica Istruzione, Studi e Documenti, n.56, 1991, p.101).

Vale la pena scorrere alcune osservazioni dei Rapporti.

5.1 Il rapporto 2009

Riprendo alcuni passi, rimandando alla lettura integrale dello stesso (www.invalsi.it Esami Stato II ciclo)

1. Gli studenti svolgono meglio la traccia di analisi del testo; meno felicemente il “saggio” o l’articolo che scontano anche la difficoltà di analisi dei documenti proposti, troppo numerosi e spesso tra sé poco coerenti; gli svolgimenti sono spesso “temi” mascherati da articoli o saggi.

Forse è segno che l’analisi del testo proposto nella prova finale ha retroagito nella pratica didattica; non così la tipologia “Saggio” o articolo.

2. Vi sono difformità tra i punteggi assegnati dalle commissioni e quelli assegnati dai correttori in ricerca soprattutto nei punteggi alti: segno che l’effetto alone nelle commissioni (c’è sempre un interno che revisiona i compiti con un esterno) implica la assegnazione di un punteggio più alto agli studenti con buon curriculum.

3. Tra i difetti rilevati più comuni negli scritti, spiccano le difficoltà argomentative, l’organizzazione degli argomenti intorno a un’idea di fondo; segno che nella scuola se sono stati utilizzate esercitazioni di analisi del testo, meno frequenti sono i modelli e le esercitazioni di scrittura argomentativa, che dovrebbero essere proposti non solo dagli insegnanti di Italiano.

4. Nella competenza testuale mancano le capacità di Scansione del testo in capoversi e paragrafi, con eventuali intitolazioni e di Ordine nell’impaginazione e nell’aspetto grafico e partizioni del testo in capoversi ed eventuali paragrafi . E’ questa una mancanza notevole nell’insegnamento della scrittura a scuola quando invece la strutturazione di un testo in blocchi grafici in relazione con l’articolazione del suo contenuto, può aiutare a costruire un discorso chiaro e ordinato, articolandone la complessità.

5. Si sente la necessità di mutare le tipologie delle prove d’esame in favore di prove plurime (un riassunto, un commento ecc. come nel BAC Francese).

Qualche nota sulle prove:

Sarebbe utile ripensare a una nuova formulazione delle prove? Non è forse troppo ampia la scelta? Non sono forse troppi i documenti proposti? Nel Saggio, per esempio, la quantità delle fonti di cui tener conto è eccessiva e induce lo studente ad affastellare la loro utilizzazione; la scelta dei passi proposti è spesso dispersiva ed eterogenea e, come afferma L.Serianni nel contributo n.2 pag.58 nel Rapporto stesso, “parrebbe riflettere lo sfoggio di competenze degli esperti ministeriali che hanno stilato le prove piuttosto che adeguarsi all’orizzonte culturale dei destinatari”.

5.2 Il
Rapporto 2012

Già all’apparire, marzo 2012, il Rapporto ha fatto notizia sui giornali che ne hanno ricavato articoli che riportano vari bestiari di errori, strafalcioni, tipo Io speriamo che me la cavo del maestro Marcello D’Orta, capostipite di varie pubblicazioni del genere.

Una non nuova geremiade sulle scarsissime capacità di scrittura degli studenti, medi e universitari, degli avvocati alle prove di concorso, degli stessi insegnanti nei concorsi a cattedre o a Dirigenti.

Chi ha colto, secondo me, il senso profondo della questione è stato Marco Lodoli, su Repubblica del 15.03.2012, che, rilevando negli scritti di italiano dei suoi studenti il periodare sgretolato, le concatenazioni slabbrate e il lessico poverissimo, ne individua la causa maggiore nelle modalità di pensiero dei giovani diciottenni, caratterizzato dalla perdita dei nessi logici, dell’ordine, dell’argomentazione. Sono felicemente privi di argomentazioni ipotetico deduttive, hanno una struttura mentale intuitiva, puntiforme nel caos delle sensazioni e delle esperienze.

Questioni su cui avevamo cominciato a riflettere da tempo, fin dagli indimenticabili saggi di Raffaele Simone. ( Simone, R. 2002. La Terza fase, Forme di sapere che stiamo perdendo, Laterza, Roma-Bari; Simone, R. 2003. La mente al punto, Laterza, Roma-Bari). Utile la lettura dello stesso autore di Presi nella rete – La mente ai tempi del web, Garzanti 2012.

Una rassegna degli errori più diffusi rilevati

Riporto qualche nota dal Rapporto, che individua gli errori più diffusi nella padronanza della lingua italiana, come risulta dall’analisi degli elaborati 2010, rimandando alla lettura integrale del Rapporto per gli approfondimenti:

1. le macroaree testuale e ideativa risultano essere quelle con maggiore percentuale di errore: vi è uno stretto legame tra testualità (impostazione e articolazione complessiva del testo) e capacità ideativa (capacità di elaborazione e ordinamento delle idee)…. il testo scritto frana sotto l’assenza di una strategia di problem-­solving: lo studente, non segue operazioni ordinate strategicamente verso una meta, non costruendo il proprio testo finisce per elaborare una somma di frasi irrelate in vista di un epilogo che non risolve un testo che è in absentia.

2. la mancanza di un’idea di fondo indica un deficit strutturale del testo. Insomma manca « uno schema compositivo generale da usarsi come sfondo alla progressione delle conoscenze mosse dallo scritto» che è uno dei requisiti fondamentali dell’argomentazione. La tecnica compositiva della grande maggioranza degli studenti del campione, invece, si basa sulla giustapposizione di periodi più o meno efficaci, ma quasi mai in grado di costruire un reale sviluppo macrotestuale. La situazione è meno grave quando lo studente deve partire da un testo più vincolato, come la tipologia A. Insomma, un testo che si costruisce come collage dei dati forniti, si risolve formalmente in un accumulo di frasi: i segni interpuntivi divengono segni grafici con funzione separativa; la coerenza interna non c’è; lo sviluppo tematico è del tutto assente, così come l’argomentazione.

3. La scarsa attitudine alla programmazione testuale è segnalata dalla scarsa presenza di una corretta paragrafatura.

4. Emerge l’ eccesiva ristrettezza del bagaglio linguistico, il debole armamentario lessicale di cui gli studenti sono in grado di disporre. Ci si muove comunque in un orizzonte lessicale molto limitato, fattore che non può non inficiare la stessa competenza ideativa e la capacità effettiva di articolare il discorso in modo complesso.

5. La punteggiatura, come segnale del testo, come strumento di strutturazione di un discorso, è scarsamente utilizzata.


5.3 Che fare nella scuola? Quali compiti gli insegnanti per un curriculum di scrittura?

Per esperienza diretta negli esami di Stato ho rilevato nelle commissioni che ho presieduto:

  • Pochissimi insegnanti affermano di essere a conoscenza del Rapporto CRUSCA – INVALSI; in pochissime scuole il Rapporto è stato oggetto di esame e discussione;

  • le scuole inseriscono nei Documenti del 15 maggio varie griglie di valutazione della prova scritta di Italiano; nessun Documento riporta la griglia del Rapporto né riferisce di aver testato la scheda, se mai presentandola agli studenti;

  • gli stessi Documenti quasi mai specificano quale curriculum di scrittura sia stato svolto.

Perché gli studenti scrivano bene è necessario insegnare a scrivere. Non è così.

  • le attività di scrittura a scuola sono inversamente proporzionali all’età degli studenti e al grado di scuola frequentato. Si scrive nella scuola primaria, nella scuola secondaria di I grado, molto meno nella secondaria di II grado in cui le attività di scrittura sono in genere solo di competenza degli insegnanti di Italiano; anche per lo studio dell’Italiano le attività di scrittura si esauriscono nel peggiore dei casi solo nelle prove in classe; sono scarse invece le attività di scrittura in altre discipline – Storia, Filosofia ad esempio - e mancano quasi totalmente le attività relative alle materie scientifiche, relazioni di laboratorio, impostazioni di problemi.

  • strutturare un preciso curriculum di scrittura in tutta la secondaria dovrebbe essere sentito come un preciso obbligo per tutti gli insegnanti.

  • emerge la necessità di potenziare le scritture di taglio argomentativo per l’evidente connessione con la strutturazione del pensiero in tutte le discipline

6. La terza prova

Da tempo si parla di una prova nazionale che sostituisca quella preparata dalle Commissioni.

In effetti, le tipologie diverse utilizzate ( i quotidiani continuano a denominare la prova quizzone anche quando si tratti di trattazione sintetica di argomenti), il collegamento con le simulazioni delle scuole, le diatribe sulle discipline da inserire, i sospetti di alcuni commissari esterni sulla effettiva segretezza degli argomenti, il tempo assegnato per lo svolgimento da calibrare molto attentamente sulla caratteristica tipologica della prova assegnata, ne fanno una prova che ha esiti diversi: a volte la prova, semplicisticamente impostata, non ha la possibilità di saggiare l’effettiva preparazione degli studenti, non ha elementi validi di discriminazione; a volte risulta complessa e ha come esiti voti bassi, contraddicendo lo spirito della prova che voleva dare l’opportunità alle scuole di impostare una esercitazione e una valutazione quanto più possibile vicine al curriculum reale della scuola.

Sarei favorevole a una prova nazionale con qualche distinguo:

  • un preliminare buon percorso di ricerca nazionale;

  • uno stretto contatto con le scuole anche per ragionare sul curriculum effettivo che le scuole svolgono nelle discipline scelte; si potrebbe anche ragionare sulle parti imprescindibili di ogni disciplina su cui poi verterebbero le domande.

  • Solo un esempio: i programmi di Storia, nonostante la periodizzazione berlingueriana abbia assegnato al Novecento lo spazio di studio dell’ultimo anno, confermato nelle linee del Riordino, spesso presentano enormi difformità: alcuni si fermano solo alla seconda guerra mondiale, altri proseguono con l’Italia repubblicana quasi fino ai nostri giorni.Tali difformità sarebbero senz’altro mitigate in una prova nazionale che indichi chiaramente le parti imprescindibili dei programmi cui fare riferimento.

7. Ipotesi di ristrutturazione dell’esame?

Forse sarebbe utile rinnovare totalmente la formula esami.

Tra le tante, un’ipotesi.

  • Ogni scuola attraverso lo scrutinio finale assegna il credito agli studenti, con un punteggio per tutta la carriera scolastica: il punteggio massimo potrebbe attestarsi almeno a 40/100. Non possiamo attestarci su un credito (25) basso secondo me nel computo delle votazioni d’esame. Prevengo le osservazioni che diplomifici assegnerebbero solo voti altissimi. Succede anche ora e la patologia andrebbe risolta ab imis. Alle scuole, nella maggior parte dei casi, non sono certo imputabili valutazioni non attendibili.

  • Le prove scritte, nazionali, dovrebbero essere anonime, come nei concorsi pubblici, valutate da gruppi di “docenti valutatori”, esterni, con precisa formazione docimologica e che dispongano di griglie di valutazione comuni, cui vadano assegnati gruppi di compiti di diversa e non nota provenienza.

Le prove potrebbero tenersi a fine maggio per dare la possibilità ai gruppi di valutatori di operare con attenzione e tempi distesi.

  • Durante l’anno il Ministero dovrebbe inviare testi di prove da simulare nelle scuole in cui si esplicitino agli studenti le consegne e i criteri di valutazione – e nel contempo si svolga precisa formazione – tarando attendibilità e validità delle prove stesse. Sarebbero anche l’implicito riferimento a un curricolo nazionale nei contenuti e nell’approccio metodologico.

  • Lascerei alle prove la votazione di 45 totali.

  • Eliminerei il Colloquio, per le ragioni prima esposte; nel qual caso andrebbe aumentato il punteggio delle prove.

  • Se si vuole mantenere il colloquio, questo andrebbe svolto su non più di due discipline caratterizzanti il corso di studi, su cui si possa discutere seriamente con gli studenti, con commissari esterni, senza le domandine a volo o i percorsi di difesa. Al colloquio non più di 15 punti.

Proposta tra le tante da discutere in un percorso di monitoraggio e riflessione costante che l’Amministrazione dovrebbe considerare una priorità per innovare consapevolmente.