Onida (costituzionalisti): intervista di Federico Ferraù a Valerio Onida il Sussidiario 3.7.2012 C’è un regolamento controverso, quello che porta la firma del ministro Profumo e la data del 7 giugno scorso. E c’è il ricorso dell’Associazione costituzionalisti italiani (Aic). Il Regolamento contiene “criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari, nonché le modalità di accertamento della qualificazione dei Commissari”. In pratica, il “come” si abilitano e si assumono i nuovi docenti universitari.
I costituzionalisti non
ci stanno: l’allegato B, quello che valuta le pubblicazioni
scientifiche classificandole in tre fasce, A, B e C, estende la
classificazione del lavoro scientifico dei candidati ai 10 anni che
precedono il Regolamento. Possibile? Il perché è semplice. L’Anvur,
l’agenzia ministeriale per la valutazione del sistema universitario,
intende adeguare la nostra università a parametri di qualità
centralizzati che all’estero vigono da anni. La realtà delle baronie
e dei criteri familistici, infatti, è nota, ed è uno dei mali che
affliggono l’università italiana. Valutare, dunque, bisogna. E
bisogna farlo nel modo più “oggettivo” possibile. Ma su questo
aggettivo si potrebbero scrivere enciclopedie, perché di oggettività
- che nel mondo della misurazione accademica si alimenta di termini
come impact factor e indice di Hirsch - si parla in molti modi, a
seconda che si parli di studi umanistici o scientifici. Di tutto
questo si può discutere, dice Valerio Onida, presidente dei
Costituzionalisti italiani, ma sulla retroattività proprio no. Non
si possono assoggettare dieci anni di lavoro a criteri di
valutazione formulati dopo. E così, c’è un ricorso che giace sul
tavolo del Tar per dichiarare incostituzionale, sul punto, il
Regolamento per valutare gli aspiranti prof universitari. “Come può
una classificazione essere fatta adesso ed estendersi ai dieci anni
precedenti?” dice Onida a IlSussidiario.net.
Precisamente in questa
retroattività, perché si lede il principio di tutela
dell’affidamento. Il cittadino deve potersi fidare dello stato di
diritto e nutrire l’aspettativa che le regole non vengano cambiate.
Possono gli studiosi aver operato e scritto sulla base di una
normativa e di conseguenza di una classificazione delle riviste
scientifiche non esistente? A quanto pare, si vuole questo. Si dice
loro: “Non lo sapevate, ma i vostri passati lavori appartengono a
riviste A, B o C”.
Certamente. È giusto
arrivare ad una classificazione di merito scientifico del lavoro dei
docenti, ma non cambiando le carte in tavola, a posteriori. Si
sarebbe dovuto dire: vi avvertiamo che dal tale momento in poi le
vostre pubblicazioni saranno considerate di classe A o B o come le
si voglia chiamare. In tal caso uno sa come regolarsi. Ma non si
possono valutare secondo criteri appena introdotti le pubblicazioni
pregresse. Questa è l’incostituzionalità grave che abbiamo rilevato.
Di uguaglianza,
ragionevolezza e affidamento. La giurisprudenza della Corte
costituzionale limita la possibilità di operare retroattivamente con
una qualificazione normativa. Consideriamo poi che non abbiamo a che
fare con una legge, ma con un comune decreto ministeriale.
Auspichiamo che si
giunga alla soppressione di quel punto dell’allegato B al
Regolamento contenente la retroattività. Non abbiamo alcuna
intenzione di bloccare le abilitazioni nazionali, che anzi proma
vengono fatte, meglio è.
Ho già ricevuto qualche
segnale di forte interesse, e credo che anche altri si aggiungeranno
all'iniziativa dell'Aic.
Ho sempre consiederato
e continuo a considerare una cosa positiva l’istituzione di una
abilitazione nazionale. Ben venga quindi una procedura che se ne fa
carico, da attuare rapidamente perché l’università italiana ne ha
grande e urgente bisogno. Personalmente, credo che forse sarebbe
stato meglio fare un reclutamento a numero chiuso piuttosto che a
numero aperto. Ma sulla necessità non si discute, a patto che sia
fatta in condizioni legittime.
Diciamo che
l’applicazione di queste norme, sia quelle buone che quelle
discuibili, è caduta purtroppo in una contingenza temporale
sfavorevole a motivo delle scarse risorse disponibili. Su questo non
so cosa si possa fare. Invece, il tentativo di ridurre la
discrezionalità delle commissioni di concorso lascia perplessi.
Perché la commissione
di concorso è la valutazione dei pari, che rispecchia quella della
comunità scientifica. Come si può affidare ad altri che non sia la
comunità scientifica la valutazione dei nuovi docenti? È auspicabile
che questa computazione avvenga con criteri oggettivi e sani e non
clientelari; però non si può trasformare la loro ammissibilità in
una sorta di meccanismo burocratico amministrativo governato da
numeri o da organismi, diciamo così, non scientifici.
Da questo punto di
vista qualche perplessità l’Anvur la suscita, perché è un organismo
di tipo tecnico amministrativo la cui formazione è rimessa
interamente al ministro dell’Istruzione, che si avvale certamente di
esperti della valutazione, ma scelti con procedure non trasparenti.
Chi ha scelto di mettervi certe persone e non altre? Con quali
criteri? Passare a un dispositivo nel quale la selezione dei nuovi
docenti viene ultimamente regolata da un organismo tecnico
amministrativo di nomina ministeriale, è un elemento che,
francamente, ritengo preoccupante. |