Meno studi, meglio vivi Una campagna pubblicitaria consiglia di andare a lavorare in fabbrica per avere subito un reddito e abitare con la fidanzata: inutile sprecare tempo con l'università che non fa guadagnare di Francesca Coin* Il Fatto Quotidiano, 8.7.2012
Qualche giorno fa uno slogan pubblicitario piuttosto originale
diceva così: “Licenzia un dipendente, assumi una web agency”.
L’annuncio ha fatto discutere: ritraeva un uomo in giacca e cravatta
fatto uscire dal posto di lavoro con un calcio sul fondo-schiena.
Un’altra campagna pubblicitaria ritrae due giovani trentenni, l’uno
belloccio con le braccia conserte e lo sguardo sicuro; l’altro
impacciato e goffo, giacca e cravatta piuttosto scialbe. Il primo ha
“un posto fisso, un ottimo reddito e vive con la sua donna”, diceva
l’annuncio. Il secondo “è laureato da sei anni, ha un lavoro
precario, un reddito basso e vive con i suoi genitori”. Quale dei
due preferisci? Questa era la domanda. Non si tratta di un sito di
appuntamenti ammiccanti, ma della pubblicità dei corsi di formazione
permanente del consorzio Enfapi, un centro di formazione
professionale di Bergamo, legato a Confindustria e finanziato dalla
Regione Lombardia. Preferisci laurearti e divenire l’ennesimo colto
precario senza donna, senza reddito e senza lavoro, o divenire capo
reparto in fabbrica a sedici anni e vivere “con la tua donna” già a
30, come farebbe un uomo vero? Devi guadagnartelo, o qualcuno lo farà al posto tuo. Nemmeno lo studio è un diritto. In fondo, a che serve studiare se poi fai il precario? Insomma la Fornero ha ragione. Con la disoccupazione giovanile al 36,2%, qualcuno realmente credeva che il lavoro fosse ancora un diritto? Qualche giorno fa un’indagine commissionata da Confindustria Bergamo a Astra Ricerche ha portato alla luce i sogni e le aspettative per il futuro dei giovani bergamaschi, destinatari della campagna del Consorzio Enfapi. “I giovani bergamaschi non si fanno illusioni”, riassumeva il trafiletto del Sole 24 Ore intitolato “Perché a Bergamo la laurea non attira”. Questi ragazzi “in un prossimo futuro potranno fare i camerieri, i cuochi, i commessi, al massimo gli operai, magari anche specializzati. Ma non certo, e non più, i manager o i consulenti”. Insomma: è “inutile alimentare generazioni di laureati frustrati”. Il punto, dunque, non è che i diritti costano. È che è tempo di essere umili. Il problema non è che la Fornero ha detto la verità, quando al Wall Street Journal ha detto che il lavoro non è un diritto. È che ha detto di farsene una ragione. La controprova di tutto questo è il comparto istruzione. Dal 2008 a oggi i tagli hanno consentito ben 8 miliardi di risparmio su scuola e università.
Al momento dell’entrata in vigore del decreto, l’Istituto Nazionale
di Ricerca Metrologica, la Stazione Zoologica Anton Dohrn,
l’Istituto Italiano di Studi Germanici, l’Istituto Nazionale di Alta
Matematica, l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica
Sperimentale, l’Istituto Nazionale di Astrofisica, il Museo Storico
della Fisica e il Centro di studi e ricerche Enrico Fermi saranno
soppressi. Dal 2010 al 2011 sono stati tagliati più di mille corsi
di laurea. Dal 2008 a oggi più di 20 mila scienziati, post-doc,
assegnisti, co.co.co hanno lasciato il lavoro. Il tasso di
indebitamento degli atenei è tale che con tutta probabilità sarà
difficile ogni sostanziale reclutamento. Se non vengono reintegrati,
i docenti saranno dimezzati in meno di dieci anni.
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