La legge Fornero apre
all’educazione permanente

da Tuttoscuola, 9.7.2012

La legge 28 giugno 2012, n. 92 (“Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”), nota ormai come ‘legge Fornero’, contiene all’articolo 4, comma 51, la seguente importante disposizione, che solo a una lettura superficiale riguarda soltanto la materia dell’educazione permanente e del mercato del lavoro. Ne riportiamo il testo.

“In linea con le indicazioni dell'Unione europea, per apprendimento permanente si intende qualsiasi attivitą intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacitą e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale. Le relative politiche sono determinate a livello nazionale con intesa in sede di Conferenza unificata, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'universitą e della ricerca e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro dello sviluppo economico e sentite le parti sociali, a partire dalla individuazione e riconoscimento del patrimonio culturale e professionale comunque accumulato dai cittadini e dai lavoratori nella loro storia personale e professionale, da documentare attraverso la piena realizzazione di una dorsale informativa unica mediante l'interoperabilitą delle banche dati centrali e territoriali esistenti”.

Se non resteranno solo parole esiste finalmente una base normativa che potrebbe consentire di riconfigurare nel giro di pochi anni, e con una vasta convergenza interistituzionale, la mappa del patrimonio educativo e formativo del nostro Paese, in buona parte sommerso e non riconosciuto a causa dell’inesistenza di soggetti e procedure finalizzati al riconoscimento delle competenze acquisite al di fuori del sistema scolastico e, in misura assai minore, di quello della formazione professionale.

Se tali soggetti e procedure saranno resi operativi, nel giro di pochi anni il panorama del sistema educativo-formativo italiano potrebbe assomigliare molto di pił a quello dei Paesi - soprattutto del centro-nord Europa - dove i titoli di studio equivalgono a determinate qualifiche professionali, che possono essere ottenute attraverso canali diversi (lavoro, alternanza, corsi di formazione anche in autoformazione, esperienze di varia natura) e dare accesso alla formazione tecnica superiore.

Cambierebbero, e non di poco, le statistiche comparative internazionali riguardanti i livelli di istruzione, che attualmente penalizzano l’Italia al di lą dei suoi pur indubbi ritardi e demeriti.