Uno scrittore (e uomo di scuola) ragiona sul richiamo a chi spreca tempo e talenti Ma la bocciatura è peccato Ferdinando Camon Avvenire, 7.7.2012 «Tempo di fine anno scolastico, di esami di licenza e di maturità: chi si fa bocciare commette peccato, e dovrà confessarlo»: è il succo della predica del parroco di Rustega e Fossalta, nel Comune di Camposampiero, in Provincia di Padova. La stampa locale le ha dato ampio risalto. È giusto. La stampa nazionale l’ha ignorata. È sbagliato. Per quel po’ che possiamo, cerchiamo di rimediare. Il parroco lo ha dichiarato nella predica, ma lo ha anche scritto in un avviso di fronte all’ingresso della chiesa. Lui si rivolge ai già bocciati, e intitola il suo appello «Caro bocciato». «Caro» in segno di affetto, ma «devi confessarti» in segno di rimprovero: come dire, non hai commesso un torto soltanto verso la tua famiglia, padre e madre e fratelli, ma anche verso la Chiesa e la comunità. Beninteso, possono esserci delle giustificazioni alla tua bocciatura: sei stato malato, hai avuto un incidente di moto o di auto, hai perso varie settimane o interi mesi di lezioni, hai dovuto lavorare, hai assistito familiari, insomma non hai studiato perché non hai potuto. In questo caso hai delle giustificazioni. Ma se esistono queste giustificazioni, la scuola lo sa, e non ti boccia. La scuola ha per principio-guida quello di promuovere, non di bocciare. La scuola boccia quando vede cattiva volontà, ozio, trascuratezza, incuria verso la cultura, i libri, lo studio. Allora boccia. E questa bocciatura, ecco la novità introdotta dal parroco di Rustega e Fossalta, non rivela una tua mancanza soltanto verso di te (perdi un anno della tua vita), ma anche verso il padre, la madre, i fratelli, la Chiesa. E, se ce l’hai, la fidanzata. Perdi un anno della tua vita, ma la tua vita non è soltanto tua, è legata a tante altre vite. E tu, fermandoti per un anno, fermi per un anno le vite di tanti altri. Di questo devi render conto. Con questo ragionamento, è come se il parroco venisse a dire: non ci sono zone extra-morale, per esempio i sabati sera, le discoteche, le spese per i divertimenti, le vacanze, lo sport, i viaggi... La vita è una sola, tout se tient, se tu chiedi e ti vien dato, a tua volta devi rendere. Coloro a cui chiedi e che ti danno sono padre e madre e fratelli. Il loro lavoro e i loro risparmi ti permettono di andare a scuola. Tu «devi» ripagarli con la promozione, è il minimo che puoi-devi fare. Ci sono famiglie dove il figlio è foraggiato di tutto, perché possa studiare, dopo di che, a fine anno scolastico, se è promosso, gli vien dato anche un premio, il motorino, l’iPhone, l’iPad… Assurdo, dice questa predica del buon, onesto, saggio parroco del Comune di Camposampiero. Il ragazzo che vien promosso non fa un’impresa eccezionale, fa il minimo che deve fare, e per questo minimo non merita un premio, mentre merita un rimprovero se non lo fa. Questo rimprovero veniva inflitto finora dalla famiglia. Adesso lo infligge anche un uomo di Chiesa. È questa la novità. La famiglia non ha sempre il coraggio di rimproverare il figlio che rende poco: può succedere che padre e madre, che pure amano molto il loro figlio, non osino rimproverarlo per non farlo star male, e a questo punto interviene il sacerdote, ritenendo che il figlio vada rimproverato per il suo bene, gli vada fatto capire che ha commesso una colpa non soltanto personale o famigliare ma sociale. Non basta che padre e madre lo perdonino. Deve scusarsi anche di fronte a qualcosa di più alto e più vasto, qualcosa che rappresenti una bella fetta di umanità. Se lui si guarda intorno, vede tanti coetanei, anche provenienti da altre aree del mondo, che se potessero andare a scuola al suo posto renderebbero il 110%. Se lui rende il 40%, ha una colpa verso l’umanità. È giusto che ne renda conto. Ma meglio ancora sarebbe se la evitasse. |