Dalle prove Invalsi la foto di Stefano Stefanel Pavone Risorse, 21.7.2012 Anche le prove Invalsi del 2012 parlano di un’Italia scolastica con troppe e diverse velocità. Il dato forse più interessante è che neppure una Regione italiana riesce a mantenersi sopra la media in tutte le rilevazioni e questo è anche il dato che dovrebbe preoccupare di più, perché vuol dire che anche situazioni scolastiche di eccellenza hanno al proprio interno situazioni migliorabili. Il documento pubblicato sul sito dell’Invalsi e intitolato “Rapporto nazionale sulla rilevazione degli apprendimenti” è di sicuro interesse, anche se interseca dati che spesso solo in modo troppo complicato permettono di leggere il sistema scolastico italiano. Il Rapporto non affronta il problema delle situazioni scolastiche oggettivamente più difficili e negative: parla di Regioni, non di Scuole e questo rischia di rendere tutto troppo asettico. Lavorando su grandi numeri e su grandi masse di dati le rilevazioni Invalsi confermano ciò che già si sapeva (il Nord va troppo meglio del Sud, ma nel Sud alcune Regioni della parte orientale, a partire dalla Puglia, stanno lentamente invertendo il proprio trend negativo), ma non riescono a dare una lettura critica di un sistema che è fatto a macchia di leopardo, anche laddove le rilevazioni tendono a mostrare omogeneità. Inoltre l’invasività dell’Invalsi nel processo di valutazione dell’esame conclusivo del primo ciclo dell’istruzione produce una oggettiva alterazione nel sistema: perché solo a quattordici anni i dati Invalsi condizionano la valutazione e non sono esclusivamente un dato di analisi? Credo che i dati vadano depurati dagli esiti della prova d’esame, perché in quella prova si addensano troppe carenze del sistema: pochissime bocciature, cinque prove scritte, orali compressi su tempi ormai non più sostenibili, peso minimo del percorso triennale, nessuna utilità sociale del voto finale. Tutto questo disperde le prove Invalsi dentro un contenitore divenuto imbarazzante. Il divario tra Nord e Sud Italia, già sancito dall’Ocse attraverso le rilevazioni PISA, dovrebbe portare ad una riflessione sugli esiti introdotti da due provvedimenti contraddittori come la legge 169/2008 che ha ripristinato i voti anche nel primo ciclo dell’istruzione e le rilevazioni Invalsi che insieme a quelle Ocse certificano come i voti dati nelle scuole del Sud Italia per lo più non fotografano correttamente la situazione scolastica degli alunni di quelle zone del Paese. Attraverso una norma legislativa si è ampliato il peso di valutazioni che contraddicono quelle che oggettivamente il sistema acquisisce con metodi scientifici. Le prove Invalsi per loro natura spingerebbero il sistema scolastico ad uscire dalla logica autoreferenziale per cui il docente che insegna è anche quello che valuta e che ha come parametri di valutazione i propri insegnamenti agli alunni. Mentre la scuola italiana rimane abbarbicata a questa pessima prassi e non sente il bisogno di affiancare le valutazioni del docente a valutazioni terze. I dati pubblicati dall’Invalsi poi dovrebbero essere disseminati attraverso una formazione sistematica, che spieghi bene la loro natura. Ancora oggi in molte scuole si contesta all’Invalsi di valutare il sistema attraverso forme valutative proprie e non adeguate ai “programmi” della scuola italiana, anche se questi sono stati abrogati e sostituiti da Indicazioni che pretendono dalle scuole l’elaborazione di curricoli. Questo passaggio è stato colto dall’Invalsi, ma non dalle scuole, che ancora ritengano sia interessante verificare quanto gli alunni si siano adeguati agli insegnamenti dei propri docenti. Anche l’esame conclusivo del secondo ciclo dell’istruzione difficilmente riesce ad uscire dalla logica che vuole lo studente ripetere ciò che l’insegnante gli ha insegnato e non ciò che ha appreso con modalità anche extrascolastiche. Poiché una parte delle rilevazioni Invalsi sono connesse all’età dell’alunno testato e ad una sua teorica competenza, dovrebbe essere chiaro a tutti che uno sviluppo seriale dei curricoli quasi fossero fotocopie di programmi non può portare a rilevazioni di sistema di alto livello. L’enfasi su alcune domande contorte corredate da risposte sbagliate non può servire a dimostrare che l’Invalsi è tutta una perdita di tempo, ma dovrebbe proporsi un interrogativo sull’eccessiva standardizzazione di queste rilevazioni a fronte di una scuola italiana in cui ancora molti docenti fanno dotte conferenze ad alunni che comunicano attraverso altri sistemi (i 140 caratteri dei messaggi postati su Twitter, ad esempio). Una cosa poi sono gli errori dell’Invalsi, un’altra l’inutilità di un sistema nazionale di valutazione. In sé dunque i risultati delle Prove Invalsi confermano dati già noti e questo dovrebbe convincere chiunque che sono veritieri e non hanno bisogno di eccessive cautele. Quello che manca è una conoscenza precisa delle singole situazioni all’interno dei grandi contenitori regionali: la trasmissione dei dati alle singole scuole permette a quelle che hanno risultati positivi di renderli pubblici e a quelle che hanno risultati negativi di occultarli, magari criticando l’Invalsi e le sue metodologie rilevative. Non è semplice uscire da tutto questo, ma la lettura conclusiva del Rapporto può portare ad alcune osservazioni finali:
Credo che dopo questo Rapporto l’Invalsi debba modificare il suo report e assegnare alle scuole delle valutazioni numeriche e pubbliche che producano un benchmark evidente. Altrimenti tra vent’anni siamo ancora a commentare il divario di risultati tra Nord e Sud. |