Che tempo che fa.
Dibattito sulla scuola elementare 

Cinzia Mion ScuolaOggi 25.7.2012

La lettera di Federico Niccoli “Apriamo un dibattito su come organizzare la scuola elementare dopo il massacro degli ultimi tagli” mi ha stimolato molto ma mi ha anche sollecitato ad investigare le varie e molto diversificate organizzazioni degli spazi, dei tempi, delle assegnazioni disciplinari o pluridisciplinari, dell’utilizzo delle 2 ore di programmazione previste dall’introduzione della vecchia L.148, ecc., in modo da avere una panoramica storica, il più possibile succinta, da cui partire.

Prima di tutto, a seconda delle regioni di appartenenza, c’è da puntualizzare che negli ultimi dieci anni si incontra una diffusione sconcertante di modelli diversi di scuola elementare, rispetto ai tempi ed all’organizzazione.

A partire dagli anni 90 in Veneto, per esempio, c’è stata prima una grande propagazione del modello della scuola modulare cui è seguita una rapida involuzione dello stesso, a partire dall’abbandono del team paritario, per l’applicazione del cosiddetto insegnante prevalente.

Al tempo pieno infatti, modello cui Niccoli riserva la maggior attenzione, perché più diffuso in Lombardia ed in altre regioni dell’Italia del nord, i genitori del Veneto orientale fin dall’inizio invece hanno sempre guardato con diffidenza, tranne che negli ultimi anni.

Il fatto di lasciare a scuola i figli per un tempo prolungato veniva sottolineato, da qualche arruffapopolo di parte, che fosse una soluzione sconveniente a fronte comunque del dato oggettivo che erano le scuole gestite dai religiosi che sul mercato offrivano il tempo pieno. Tempo pieno però, dato non trascurabile, a pagamento!

Era evidente che offrire la medesima opportunità senza oneri fosse considerata una concorrenza da neutralizzare.

Questo è stato il motivo preponderante per cui da noi il tempo pieno ha attecchito poco anche se ora, per motivi non di progetto educativo, ma di mera necessità utilitaristica, viene richiesto molto di più, qualche volta senza possibilità di essere accolto.

Per questi tenaci oppositori però gli istituti religiosi, oggi scuole paritarie, non scippavano i figli alle famiglie : infatti gli stessi genitori che facevano la guerra contro il tempo pieno statale erano quelli che glieli portavano spontaneamente, facendo la coda per le iscrizioni fin dalle 4 di mattina.

Ricordo ancora i titoloni della stampa locale a Conegliano, dove ero direttrice didattica dagli anni 70 agli anni 90 “La scuola strappa i figli alla famiglia!”, solo per aver proposto di organizzare tre prolungamenti pomeridiani di due ore, con mensa relativa, realizzati al fine di utilizzare il tempo delle 30 ore della scuola riformata nel modo più proficuo, vale a dire senza tempi morti per i bambini - per stanchezza da carico di lavoro - e senza sprechi di ore aggiuntive, giusto per far quadrare gli orari dei docenti!

Altri tempi! Quante riunioni diurne e serali per convincere i genitori della bontà del progetto!

Sì, perché c’era un progetto, non c’era un POF ma il progetto c’era ed era pure condiviso…

Ora spesso i POF, più o meno patinati, non sempre sono condivisi ed incarnati nelle pratiche scolastiche. Qualche volta sono adempimenti burocratici che però lasciano intatte prassi didattiche ed organizzative.

Oggi le scuole trovano più comodo, se non in presenza del Tempo Pieno, compattare gli orari solo al tempo antimeridiano - dentro alla settimana corta - con grande adesione “convinta” da parte di parecchi docenti che dagli anni novanta in poi hanno visto con irritazione il fatto dei cosiddetti rientri pomeridiani.

Rimane ovvio che l’ultima ora di cinque o sei tutte di fila è un’ora buttata al vento!

 

Ma torniamo alla provocazione di Niccoli.

La riforma Moratti e quella Gelmini sono state devastanti, ma non voglio ascrivere questa devastazione solo a quei famigerati tagli lineari, che pure sono stati a dir poco una calamità. Voglio far riferimento a qualcosa di più deleterio la cui semplice affermazione risulta ancora oggi un tabù. Ma io approfitto di questa occasione per affrontare l’argomento e togliermi così un sassolino dalle scarpe.

Non desidero comunque solo recriminare ma voglio vedere se da questa “denuncia” non possa nascere un nuovo “senso di appartenenza” senza il quale, secondo il mio modesto avviso, la scuola elementare non potrà andare da nessuna parte. Il progetto unitario da realizzare all’interno dell’Istituto Comprensivo si gioca anche dentro a questa dimensione.

Ricordate come al tempo della Moratti la protesta dei docenti della scuola elementare, portata avanti da tutti i docenti - del tempo modulare accanto a quelli del Tempo Pieno - con l’aiuto forte e convinto anche dei genitori impegnati, sia riuscita a fermare parzialmente l’accanimento contro questo ordine di scuola e contro il tempo pieno?

Fate ora mente locale: cosa è successo alla riforma Gelmini? Fu fatta una formale promessa che l’orario del tempo pieno sarebbe stato tutelato, insieme alla garanzia in qualche modo del doppio organico. Sembrava che i tagli sarebbero stati fatti solo al tempo modulare. Ricordo vari colleghi sparsi per la penisola che davanti alla mia preoccupazione che questa promessa non poteva essere mantenuta rispondevano:- Ma no, io ho mantenuto il doppio organico, tutti i colleghi della regione sono a posto…A Milano furono assegnati 1000 posti in più per l’anno 2008/2009, per ammansire la protesta!

E registrammo una dolorosa spaccatura : le scuole del tempo modulare cominciarono subito a leccarsi le ferite dei tagli del tempo scuola e continuarono da sole la lotta contro la riforma, ma questa lotta ormai aveva le armi spuntate.

Il numero di chi resisteva era più che dimezzato: avevamo perso per strada la quota agguerrita e consistente dei docenti e genitori del tempo pieno che si erano compiaciuti del fatto di poter passare indenni attraverso lo sfacelo che invece si stava annunciando.

Io e altri colleghi del nord-est dal nostro osservatorio guardavamo sconcertati un Paese con una grande ingiustizia sociale per quanto atteneva la distribuzione delle risorse: i nostri bambini registravano ogni anno che passava una diminuzione progressiva delle ore di scuola (oggi siamo arrivati a 27 di cui 2 di religione cattolica per tutte le classi!) a fronte del modello diffuso delle 30 ore (più le ore di mensa a seconda del numero dei cosiddetti rientri pomeridiani), modello consolidato introdotto dalla riforma modulare precedente, in cui le trenta ore erano di scuola vera e in cui le due o tre classi del team, durante le ore di compresenza, potevano essere “aperte” con attività che mescolavano gli alunni delle classi stesse, con attività di laboratorio e apprendimento cooperativo.

Il problema semmai a quel tempo era quello di individuare direttori didattici convinti della bontà innovativa della riforma ed essere quindi disponibili ad accompagnarla nel miglior modo possibile, curando il passaggio dalla cultura individualistica del maestro unico alla cultura del “gruppo come strumento di lavoro”.

Mi dispiace per l’amico Stefanel, forse lui ha ereditato una scuola elementare dove questa riforma non è stata particolarmente curata, come è avvenuto, e come avviene tuttora davanti all’innovazione, in altre scuole.

Ma ritornando alla tematica proposta, so benissimo che il tanto promesso tempo pieno è stato stravolto e che il risultato dello “spezzatino” oggi amareggia anche i suoi docenti, ma perché allora l’illusione di essere trattati meglio ha fatto abbandonare la protesta?

Mi basterebbe sapere che tutti oggi hanno capito come la strategia che è stata usata questa volta dal Ministero sia stata più “furba” e più efficace, sperando però che siano anche diventati consapevoli che questa è stata vincente perché ha giocato su un piano poco nobile dell’animo umano: la salvaguardia del proprio tornaconto, alla faccia del senso di appartenenza all’istituzione scuola.

Se non si parte dalla consapevolezza di questa dissipazione del senso di appartenenza e da questo deficit di etica pubblica, etica che dovrebbe invece poggiare sul senso del “bene comune” e non invece solo sul proprio interesse individuale, difficilmente potremo escogitare dei percorsi per risanare questa tanto amata scuola.

Un discorso strettamente collegato riguarda il regolamento sulla valutazione e la reintroduzione del sistema numerico su scala decimale. Ma una volta creata la falla e saltato il fosso del compromesso, il resto è stata una conseguenza.

Il silenzio da parte delle scuole su questo argomento è stato l’aspetto più doloroso della questione.

 

Riusciremo a risollevarci e a ritrovare la bussola?

Bisogna però amarla questa scuola, se possibile esserci passati, meglio se aver traghettato le varie riforme tra cui quella dei moduli, aver curato che i moduli non secondarizzassero questo fondamentale ordine di scuola, facendo in modo che settimanalmente avvenisse un confronto autentico tra i diversi docenti, confronto che doveva avvenire sul canovaccio della “programmazione di team”, (altro dalla personale programmazione di ambito) che so benissimo non veniva richiesta da tutti i direttori didattici. Questa programmazione doveva possibilmente riguardare non solo una distribuzione equa dei carichi di lavoro tra i diversi docenti, non solo la realizzazione di un codice deontologico del team ma anche e soprattutto il monitoraggio dei processi cognitivi e meta cognitivi degli allievi, attivati a livello trasversale dalle varie sollecitazioni di ambito. La difficoltà di un alunno a padroneggiare un processo logico in lingua italiana, doveva essere curato e verificato anche in matematica e scienze.(es :il concetto di inclusione, ecc.)

Le due ore di dialoghi di riflessione settimanali sono state la salvezza delle buone scuole.

Questa è la storia dei team della scuola elementare che prima o poi mi deciderò a scrivere!

Se potrà esserci ancora spazio per tempi più distesi ed apprendimento cooperativo?-si chiede Niccoli.

Io spero che prima o poi questa memoria storica della didattica del “fare cooperativo” di freinetiana memoria, ma che oggi diremo di impianto vigostskiano, non solo possa riemergere e riaffermarsi nella scuola primaria ma possa contagiare anche gli altri ordini di scuola.

Ma per questo bisogna affidarsi alla formazione professionale delle “comunità di pratica” dove tutti insegnano e tutti imparano, dove il maestro esperto impara dal novizio e viceversa. Per arrivare a questo bisogna spogliarsi da pre-giudizi e dal falso sé professionale di sentirsi già adeguati ed accettare, anzi richiedere, la formazione permanente in servizio.

Questa è la parte storico-critica della risposta alla sollecitazione intelligente di Niccoli, ma al più presto invierò la parte costruttiva e propositiva.