Ghizzoni (Pd): valutazione e concorsi, intervista di Federico Ferraù il Sussidiario 13.6.2012
La valutazione? «Occorre
ricostruire il consenso di tutta la scuola». E poi il diritto allo
studio e gli esiti del 3+2 nel sistema universitario; per finire con
alcune proposte - molto dettagliate - di integrazione al decreto
sull’emergenza terremoto. Sono questi alcuni dei temi «di stretta
attinenza politica» rilanciati da Manuela Ghizzoni (Pd),
neopresidente della Commissione Cultura della Camera dei deputati.
Che sul punto è chiara: lavoriamo già - dice - per il nuovo
Parlamento.
So bene che ci troviamo
nello scorcio di legislatura, ma questo non ci impedirà di lavorare.
Innanzitutto, credo sia necessario concludere l’iter di una serie di
provvedimenti che sono aperti da tempo e dei quali auspico
l’approvazione. In secondo luogo, la Commissione deve riprendersi il
proprio ruolo: se manca il tempo di aprire nuovi cantieri
legislativi, occorre nondimeno aprire una riflessione su temi
importanti di stretta attinenza politica.
Penso alla proposta di
legge sullo spettacolo dal vivo, sulla quale esiste una condivisione
ampia da parte delle forze politiche. Mi auguro che trovi quanto
prima il suo naturale compimento. Le risorse da investire ci sono,
intendiamo chiudere presto consegnando la proposta in Senato. Penso
anche alla legge sulla costruzione degli stadi e al testo di riforma
degli organi collegiali (la proposta di legge 953 «Aprea», ndr).
Ritengo importante, ad
esempio, che la Commissione nella sua totalità apra una riflessione
su alcuni temi chiave come il diritto allo studio e i diritti degli
studenti, la valutazione nei percorsi di formazione e gli esiti del
«3+2» nel sistema universitario. Sono tutti ambiti che meritano una
adeguata riflessione politica. Non ne ho ancora discusso con i
capigruppo, ma auspico di ricevere un sostegno in questo senso. Mi
piacerebbe che fosse un lavoro utile per tracciare nuovi scenari di
intervento. Sarà l’eredità che lasceremo al nuovo Parlamento.
Il lavoro che dovremmo
fare, anche a supporto delle strutture che già esercitano il loro
mandato di valutazione, dovrebbe essere quello di capire perché
valutare. Sembra scontato, ma non lo è. La valutazione è un
esercizio importante che attiene anche alla responsabilità sociale e
alla rendicontazione sociale del proprio lavoro: un fatto di grande
importanza nel settore della conoscenza. Ma prima di dividersi su
forme e metodi di valutazione, torno a dire, occorre riflettere di
nuovo sul perché valutiamo.
Sì: un dibattito e una
condivisione sul punto, soprattutto nel mondo della scuola. Non
parlo dell’università, che ha dinamiche sue proprie e non è estranea
all’idea di una valutazione anche esterna. Ma per la scuola è
diverso. La valutazione serve, e deve servire, come strumento per
migliorare il sistema, non per punire alcuni o talune strutture.
Invece, la percezione che essa potesse esser usata come arma
punitiva ha suscitato in questi anni l’opposizione di una parte di
mondo della scuola, famiglie e personale docente.
Io credo che la
Commissione, con gli strumenti che abbiamo a disposizione, potrebbe
favorire questo confronto in modo che il mondo della scuola, nella
sua complessità, discuta e affronti il tema della valutazione.
È un lavoro che toccava a
suo tempo alla politica. Avrebbe dovuto farlo il ministero, aprendo
spazi di confronto reale; non i soliti tavoli che si aprono per non
arrivare ad una sintesi del problema. Si tratterebbe ora di
individuare le priorità, costruendo insieme, attraverso un
confronto, i percorsi più idonei per raggiungere gli obiettivi
comuni.
Ricostruire il consenso
di tutta la scuola sulla necessità di valutare e di essere valutati.
Il passaggio è delicato perché non stiamo parlando di valutare un
giovane a fine anno, ma un intero sistema. Rendere pubblici i dati,
non farlo, etc. è un falso problema. Ragioniamo prima sugli
obiettivi, e se c’è condivisione, sugli strumenti. Avremmo raggiunto
un grande risultato se ci trovassimo d’accordo che la valutazione è
un processo non divisivo, ma che unisce.
Il testo originario è
stato profondamente trasformato durante la discussione avvenuta nel
comitato ristretto. Credo che quando le forze politiche concordano
nelle modifiche ad un disegno di legge, sia naturale un suo
miglioramento. Ritengo che quel testo sia migliore di quello
iniziale presentato dall’onorevole Aprea; immagino che la proponente
non sia della stessa opinione, ma il testo licenziato dal comitato
ristretto tiene conto di tutti i pareri raccolti dai vari portatori
di interesse durante la lunga fase di audizione.
Ancor prima che la
passata presidenza avesse termine, le forze politiche dichiaravano
la disponibilità a procedere in sede legislativa. Giovedì scorso si
è votato sulla mozione di incostituzionalità presentata dall’Idv,
l’iter continuerà tra un paio di settimane. Se le forze politiche −
e lo dico da presidente − troveranno intese per ulteriori modifiche,
si procederà in questo senso.
La questione è complessa.
Devo però fare una premessa. Personalmente ritengo, a differenza di
molti altri, che la cosa migliore per la scuola sia quella di avere
docenti formati e reclutati in modo unitario, e cioè che la
formazione non possa essere disgiunta dal reclutamento. Ahimè, non è
stato così: il Tfa ha spezzato una unitarietà che doveva esserci e
che considero un’occasione persa.
Sarei per un percorso che
dopo la laurea specializzi gli aspiranti docenti e selezioni coloro
i quali hanno le competenze migliori e l’attitudine all’insegnamento
per inserirli in un adeguato processo di «formazione in azione»
nelle scuole, come facenti parte dell’organico funzionale; al
termine di questo percorso, svolto all’interno dell’istituzione
scolastica, avviene il reclutamento del corpo docente. Mi limito a
far notare che attualmente la situazione è divenuta molto, troppo
complessa. Abbiamo graduatorie ad esaurimento con moltissimi precari
concentrati in alcune classi di concorso a discapito di altre,
praticamente esaurite; un precariato storico da smaltire; misuriamo
l’effetto di una riduzione draconiana dell’organico voluta dal
precedente governo, che ha di fatto determinato un rigonfiamento
delle Gae.
I giovani che non hanno
potuto conseguire l’abilitazione attraverso le vecchie Ssis hanno
diritto di veder valutata la loro attitudine e di misurarsi con la
possibilità concreta di poter insegnare.
Si è ormai conclusa la
ricognizione del patrimonio scolastico. Conosciamo il numero di
edifici che sono di fatto da demolire − poco meno di cento e mi
riferisco al solo dato dell’Emilia-Romagna, che presenta il maggior
numero di province coinvolte − e in questo caso l’unica cosa da fare
è una rapida ricostruzione. Accanto agli edifici che hanno retto
bene al sisma perché di costruzione recente, esiste un’ampia fascia
di edifici sui quali occorrerà intervenire con opere straordinarie
per consentirne la riapertura in condizioni di totale sicurezza.
Raccomanderei che, in
sede di conversione del decreto, si facesse un’opportuna riflessione
su questo punto. Per rimettere in condizioni di agibilità l’edilizia
scolastica occorre un investimento significativo e pertanto, oltre
alle risorse già individuate in prima battuta nel decreto, sarà
necessario reperirne ulteriori da destinare specificamente a questa
voce di spesa.
Si tratta di un
patrimonio, oltre che di valore intrinseco, fortemente identitario
per le comunità colpite. Penso che il decreto, benché rappresenti
una prima risposta importante all’emergenza, sugli interventi a
sostegno del patrimonio sia carente e che pertanto in sede di
conversione vada ulteriormente rafforzato.
Andrebbero inserite norme
specifiche che consentano di potenziare il personale tecnico delle
direzioni regionali alle quali compete il coordinamento degli
interventi − architetti, storici dell’arte, funzionari
amministrativi − per implementare le squadre che svolgono i rilievi
di accertamento dei danni subiti dai singoli beni e indicano i primi
interventi urgenti. Occorre forse ricordare che parliamo di migliaia
di emergenze: sono circa 2mila i beni tutelati che hanno riportato
danni, più tutti i beni ecclesiastici. E per potenziare il personale
occorre fare due cose: consentire nuove assunzioni straordinarie, e
autorizzare il personale delle altre soprintendenze d’Italia a
svolgere missioni in Emilia-Romagna. Ci sono, ad esempio, i 160 milioni risparmiati dal finanziamento dei partiti. Poi, come parlamentari dell’Emilia-Romagna, stiamo disponendo una spending review per individuare altri specifici capitoli di finanziamento. Non possiamo non affrontare questa spesa, seppur ingente. Dobbiamo predisporre un piano pluriennale per ripristinare un intero patrimonio, che parla di quei territori più di ogni altra cosa. Un conto è la risposta all’emergenza, altra cosa è il dopo. |