Non basta il merito per migliorare il sistema-scuola di Benedetto Vertecchi Il Sole 24 Ore, 25.6.2012 Nel dibattito in corso attorno alla questione del merito c’è un uso di proposizioni assertorie che mal si concilia con il carattere più o meno probabile che si deve riconoscere alle conoscenze educative. Se si seguisse un criterio di maggiore prudenza, si eviterebbe di dare per scontate relazioni che, se pure qualche volta vere, sono anche in molti altri casi false, o di dubbia interpretazione.
Così, per esempio, affermare che premiando il merito (ovvero
l’emergere nella popolazione di allievi con livelli particolarmente
elevati di profitto) si attivano processi che migliorano il
funzionamento delle scuole è un’affermazione di senso comune della
quale non si può dire che sia vera, né che sia falsa. Quel che è
certo, è che continuare ad accreditare tale senso comune non
contribuisce ad accrescere la qualità del sistema educativo, perché
ripropone vecchie logiche di conoscenza dei fenomeni che, non da
oggi, avrebbero dovuto essere abbandonate e sostituite da argomenti
più razionali, capaci di dar conto delle conoscenze che negli ultimi
decenni la ricerca educativa ha gradualmente acquisito.
In breve, la conoscenza educativa non può che essere il risultato di
approcci dinamici, che facilitino una revisione continua delle
interpretazioni: è il contrario del senso comune, che si fonda sul
principio della conferma, per il quale ci si attende che ciò di cui
si è avuta esperienza continui a manifestarsi in modi non troppo
diversi in momenti successivi. Ma, come diceva John Stuart Mill, le
inferenze fondate sulla conferma sono solo un terreno di coltura per
il pregiudizio (nel senso etimologico, di giudizio formulato prima
di conoscere adeguatamente il fenomeno al quale si riferisce). In
altre parole, la conferma procede per semplice enumerazione di casi,
e conserva il suo valore finché non si manifesti un caso
contraddittorio.
Quel che è peggio, la medesima confusione accomuna gli interventi
dei politici e quelli dei tecnici, essendo sfumata, fino a venir
meno, la differenza tra l’elaborazione di intenti che si collega al
perseguimento di obiettivi a lunga scadenza (questo dovrebbe essere
il compito del politici) e l’individuazione di soluzioni attraverso
le quali procedere nella direzione sulla quale si manifesti più
ampio consenso, trovando infine espressione in precisi enunciati
legislativi (dovrebbero farlo i tecnici). |