SCUOLA

Esame di III media, così la prova Invalsi
mette in crisi i docenti

Giovanna Lazzarin  il Sussidiario 17.6.2012

Tra le righe del recente intervento di Gianni Zen su questo giornale si parla di valutazione in termini di assunzione di responsabilità. Finalmente! Superati gli scrutini di fine anno e nel pieno degli esami per la licenza di scuola secondaria di I grado, mai come in questi momenti è chiaramente visibile chi nella scuola - dirigenti e docenti - si pone con atteggiamento disponibile alla piena assunzione di responsabilità, quindi al rischio che essa comporta, e chi invece affida l’espressione del voto numerico alla pura e fredda media matematica dei voti riportati dagli alunni durante il percorso e vorrebbe comprendere, ma non può, a volte delegando decisioni delicate alla votazione del Consiglio di classe.

Si coglie in questi frangenti che il tema valutazione, di là dalla sua formulazione in numero o giudizio, rimane il nodo principale, per sciogliere il quale sarebbe indispensabile cominciare a lavorare, non appena sulla carta, attorno a contenuti, metodi, traguardi, competenze. A costruire cioè un lavoro d’équipe che non può improvvisarsi in sede di scrutinio finale. Di fatto è quanto sono costrette a svolgere le commissioni d’esame nelle varie fasi dello stesso: stabilire un voto numerico che esprima una valutazione collegiale, a partire dal percorso (le prove) stabilito collegialmente, per un candidato giudicato idoneo a sostenere l’esame di licenza. Tutto potrebbe svolgersi senza clamorose novità rispetto alla conoscenza che la commissione ha del candidato (perché si tratta degli stessi insegnanti che l’hanno ammesso all’esame), se non fosse per l’incognita rappresentata dal risultato delle prove Invalsi, l’unico, in rapporto di uno a sei, che non dipende dai criteri di valutazione della commissione stessa.

Due sono gli atteggiamenti che in genere si manifestano davanti ad esso, che travisano peraltro la vera natura della prova Invalsi: il risultato della prova Invalsi manda all’aria la mia valutazione; il risultato della prova Invalsi, essendo esterno, è oggettivo, perciò sicuramente più significativo del mio. Entrambi nascondono l’incertezza che sta dietro al giudizio del singolo docente, derivante dal fatto che esso deriva da una riflessione soggettiva, da criteri noti, ovvi, scontati ma raramente condivisi attorno a un progetto tra docenti di discipline diverse, consapevoli di essere parte essenziale di un’équipe professionale che educa e istruisce, mettendo al centro del proprio intervento ogni singolo alunno.

Al problema del voto di licenza si aggiunge quello della certificazione delle competenze; il massimo dell’incomprensibile per genitori e soprattutto ragazzi che non capiscono a cosa serva, essendo generalmente un doppione del documento di valutazione ricevuto prima dell’esame.

Da anni si suggerisce nella scuola italiana il lavoro d’équipe, dai tempi delle Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati (2004), a quelli delle Indicazioni nazionali per il curriculo (2007). Quanti ne hanno verificato, in questi anni, la convenienza di metodo che ne potrebbe derivare? Sono noti a tutti i dati che indicano la frammentazione del sapere nelle diverse discipline quale vero punto debole, soprattutto nella scuola secondaria di I grado. Si lavora poco (nei casi migliori) sui nodi interdisciplinari e all’esame si pretende che i nessi tra i vari contenuti li facciano gli allievi, traducendo in linguaggio proprio i punti di vista dei loro insegnanti. Che pretesa! Se pensiamo che tanti ragazzini della scuola in questione sono ancora in difficoltà con l’apprendimento della lingua italiana, oppure semplicemente non hanno la vocazione agli studi liceali. Perché non metterli durante l’intero triennio nella prospettiva di cogliere l’unitarietà del sapere? Perché non aiutarli da subito a orientarsi tra gli svariati stimoli in cui si trovano a vivere?

Perché questo costa proprio in termini di assunzione di responsabilità, a tutti i livelli. Da quello dei dirigenti: per loro significherebbe infatti organizzare il lavoro dei propri insegnanti curandone anche la crescita professionale, a quello dei docenti, perché sarebbe necessario mettersi attorno a un tavolo uscendo dall’individualismo dietro cui spesso sono barricati.

Non c’è dubbio che numerosi siano coloro che lavorano invece nella prospettiva opposta, assumendosene fin troppa, di responsabilità! Ma quale merito ne hanno? Chi ne riconosce la professionalità? Dal ministero, dopo gli impegni per la revisione delle Indicazioni nazionali per il curriculo, arriverà finalmente qualche segnale?