Le Indicazioni possibili

Intervento nel processo di scrittura/lettura
delle indicazioni ex 2007, ora 2012

di Gabriele Boselli consigliere CNPI Educazione & Scuola 16.6.2012

Le bozze di Indicazioni per il primo ciclo che stanno circolando non costituiscono una delusione poiché nessuno si era più illuso. La “scuola dei Maestri” da tempo ha iniziato a scrivere in proprio, con il lavoro e la riflessione quotidiani, in sintonia con la scienza e la cultura, indicazioni per volgere lo sguardo e il cuore degli alunni al conoscere, agli Interi e all’Intero. Finite le illusioni, è così iniziato il tempo della speranza.

In questo studio si critica (analisi e ricomposizione secondo principi differenti e diversi) quanto sinora uscito e si avanzano proposte per una scrittura di altro genere.

 

Attualmente (Giugno 2012) le scuole del primo ciclo di istruzione non hanno nè Programmi, nè Indicazioni, essendo “scaduti” sia i documenti del 2004 che del 2007. Pochi se ne sono accorti e comunque le scuole vanno avanti ugualmente e se hanno dei problemi non è certo questo a preoccupare. La riscrittura appena giunta a livello di bozza è percepita come un evento di fatto irrilevante da coloro che non l’hanno seguita come da molti che per dovere d’ufficio l’hanno analizzata. A orientare il percorso delle scuole sono infatti i programmi perenni, quelli che conservano sempre la loro essenziale attualità: insegnare l’amore per la lettura e la scrittura, far provare curiosità e attrazione per il mondo e le strutture formali delle scienze. Finalità impossibili a ritrovarsi nei documenti ufficiosi, che si occupano peraltro -con trista persistenza- solo di obiettivi.

Indicazioni o programmi di alto profilo culturale non sarebbero inutili: servirebbero soprattutto a far percepire un segno di attenzione dello Stato verso la scuola, a far capire che questo, massima delle istituzioni, non serve solo a provvederla di (pochi) mezzi ma a indicare –grazie al contributo di persone di scuola che siano anche persone di scienza- l’intenzionalità generale del sistema in cui la scuola è inserita.

Dopo i grigi “Curriculi” De Mauro del 2001, di cui qui non si parla essendo rapidamente scomparsi ancor prima che ne fosse iniziato il processo di attuazione, gli scritti del 2004 e del 2006/7 (che chiameremo rispettivamente documenti Bertagna e Ceruti/Fiorin, dai nomi di coloro che li hanno scritti o ispirati, almeno nella loro parte generale) sono apparsi anch’essi non particolarmente innovativi, tuttavia denotano una certa ripresa della riflessione sulle fondazioni culturali e la prospettiva pedagogica. La riscrittura di questi giorni non apporta novità significative rispetto a questi ultimi; ve ne sarebbe stato bisogno sia per l’evoluzione della cultura e del mondo in questi ultimi cinque anni, sia per il fatto che –con l’abolizione dei moduli- le “risorse umane” della scuola primaria sono diminuite quasi di un terzo e non è pensabile che quanto si faceva in tre si possa fare ugualmente anche in due.

 

Introduzione o Postfazione?

Manca, per ora, una vera Introduzione. Si comincia dando per buona quella di Morin/Ceruti, in extremis richiamata in servizio. Ma -notava anche Claudia Fanti su questo stesso sito- non possono documenti comunque modificati seguire la stessa premessa fondazionale. Le mura devono corrispondere alle fondamenta. Forse invece dell’Introduzione avremo una Postfazione maggiormente plausibile.

In entrambi i casi andrebbe rafforzata l’indicazione dell’unità del soggetto e dell’ unità/pluralità della cultura, dell’unità del sapere sulle frammentazioni microdisciplinari, del primato del conoscere sulle competenze (concetto presente nel documento Bertagna), della cultura sullo spezzatino didattico (Bertagna), della persona sulla banalità del Mercato (Ceruti), della complessità irriducibile del conoscere (ultimo Ceruti), della necessaria ermeneutica dei saperi (Antiseri, Esposito)del Maestro sul sistema (Bertagna).

La lettura della bozza 2012, comunque programmatica anche se si usa ormai ripiegare sul meno impegnativo “Indicazioni”, pone i docenti e i dirigenti di fronte a rilevanti questioni. Come orientare i docenti e attraverso di loro i bambini e gli studenti più grandi, a una intelligenza della complessità dell’universo culturale ed economico globale? Con le sole depotenzianti meccaniche competenziali?

La scuola ospita da sempre saperi di lungo respiro che -incontrandosi con il nuovo- portano a pensare le cose non solo come sono oggi ma come sono state e probabilmente muteranno, indipendentemente dal loro utilizzo immediato e prossimo venturo. Pensare solo all’oggi “sprepara” al domani.

Quale curriculum (percorso) può essere pensato per far pervenire a una intelligenza non riduzionistica dell’ ipercomplessità culturale e scientifica del mondo a venire? Potrebbe avere alcune delle caratteristiche che seguono e che nel testo in esame o mancano o sono rese in versione piuttosto banale.

Dalle Indicazioni Bertagna: il Maestro e l’idea di persona

Centrale nelle indicazioni del 2004 è l’idea di persona e quella, collegata, di personalizzazione.

Ci sono vari modi di intendere la “personalizzazione”. Nella scienza fenomenologica della personalizzazione, questa significa lasciar essere la persona, laddove lasciar essere non significa certamente lasciar perdere ma anzi accompagnarla nel suo protendersi al mondo. Il concetto di tensione rinvia alle funzioni interazionali che si attualizzano in un campo in cui una pluralità di enti (almeno due poli) danno luogo a un assetto costellazionale in cui tutte le componenti sono reciprocamente attive. Tensione diventa pro-tensione quando considerata dal punto di vista del soggetto che ad altro si volge, augurabilmente, mai perdendo coscienza di sé ma sapendo di essere-di-a-da-in-con-tra altro e volgendosi a una zona del campo che non è quella da lui stesso occupata. Intenzionalità è il nome che diamo a questa tensione trascendentale (e trans-formativa) di campo. Il fatto che comunque ciascuno di noi sia anche pre-compreso e pre-costituito dal contesto non può far rinunciare a nessuno alla propria vocazione a essere e dirsi in primo luogo e in prima persona attore e autore intenzionale nel mondo. Pedagogicamente, il pro-tendersi si volgerà poi in pro-getto. Non mero apprendimento di competenze, nel pieno fraintendimento anche delle stesse pronunce del parlamento europeo.

Persona è -come individuo- il singolo come datità, particolarissima entità che si forma nel casuale punto di intersezione di infiniti eventi naturali, storici e autobiografici. E’ per-essere, ma da solo non saprà mai chi è, né potrà andare molto avanti; soprattutto non potrà trascendere se stesso, un se stesso che il non trascendimento depriverà di essere. Compito del Maestro/a è di esser pienamente soggetto egli stesso; di dislocarsi (quasi) fino al punto di vista dell’alunno e di accompagnarlo a farsi pienamente soggetto prendendo coscienza di sé e conoscenza del mondo; di aiutarlo a essere il meno possibile infelice, il più possibile felice.

Purtroppo, dopo un’ottima parte generale (idee di persona, di cura, di scenario epistemologico), le Indicazioni Bertagna si perdevano in una serie minuziosa quanto disorganica di microobiettivi insignificanti, disperdendo la propria intenzionalità di fondo.

 

Le Indicazioni Ceruti-Fiorin: complessità e pluralità, ma elementi di riduzionismo

Per quanto concerne un sommario bilancio scientifico della parte generale delle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione del 2007 firmate dal ministro Fioroni e scritte da Mauro Ceruti-Italo Fiorin, insieme ad altri rilevanti autori come Damiano Previtali (il quale aveva partecipato anche all’impresa di Bertagna e ora collabora alla riscrittura delle Indicazioni 2012), sono ancora particolarmente attuali le idee (presenti del resto anche nelle Indicazioni Bertagna) di complessità e di pluralità culturale come scenario in cui si dovrà muovere la persona nei prossimi decenni. Andrebbe ora meglio sviluppato lo scenario della globalizzazione, per l’enorme incremento che questa ha ora sulla scena non solo economica, ma anche filosofica ed etico-politica, dunque pedagogica (Sassen, 2008, in bibl.).

Additare la complessità (che non è la complicatezza ma il groviglio di variabili-variabili in parte sconosciute e comunque esse stesse in continua e in parte imprevedibile evoluzione) vuol dire riavviare la ricerca sulle morfologie del sapere che possono servire a intendere le pieghe del mondo di fine millennio che covano sotto le apparenti regolarità evolutive di un universo divenuto “pluriverso” ipercomplesso.

Sta sgretolandosi un mondo; chi lo sostituisce e con che? Il post-moderno spezza il primato del soggetto, apre a possibilità; non ci sono più le vecchie categorie concettuali. Economia, sviluppo delle scienze e globalizzazione culturale, come evolute negli ultimi cinque anni, non significano nulla?

Altre questioni. Pesa anche sulla scuola dell’infanzia e primaria il cambiamento del lavoro. Qual è il rapporto tra scuola e lavoro? Come stanno i ragazzi che vivono in famiglie afflitte da precarietà del lavoro dei genitori o con genitori che lavorano ma “spremuti” fino all’estremo? Ci sono aspettative positive sul lavoro venturo dei giovani? La visione emancipativa e universalistica della nostra scuola sta subendo forti battute di arresto; è stata molto attiva alla fine degli anni sessanta tant’è che ha allargato la base della mobilità sociale. Ora la scuola fatica a restare efficace fattore di mobilità sociale.

Criticabili nel documento del 2007 e nell’evoluzione del 2012 l’accentuazione esasperata sulle competenze con relativi traguardi e la trascuratezza sull’atto del conoscere, una certa ossessione per i soliti “obiettivi” riciclati, la configurazione povera del concetto di “campo di esperienze” e di “disciplina” (mancano indicazioni d’area e di strutture interdisciplinari), la dimenticanza di alcuni profili essenziali del panorama culturale e scientifico emergente, l’attenzione di tipo essenzialmente retorico alle fisionomie della differenza e della diversità (handicap, stranieri, aree del disagio).

Cercherò ora di analizzare le difficoltà, di illustrare l’orizzonte degli eventi e la costellazione dei fini, di indicare percorsi disciplinari e metadisciplinari.

 

Indicazioni di ieri (2007) e classi e insegnanti di oggi

Nel 2007 erano tre per classe, ora sono due, con qualche raro extra. Le vere indicazioni non saranno quelle scritte, ma quelle pensate e attuate ogni giorno e quindi contano gli insegnanti. Occorrerebbe un piano di formazione di portata e intensità analoga a quello escogitato per i programmi del 1995; non tanto per spiegare le nuove indicazioni quanto per ricostruirle insieme, riscriverle con un contributo reale di tutte le componenti significative della scuola, non solo dei soggetti vicini a qualcuno che conta.

Infatti, gli insegnanti e i dirigenti della scuola italiana sono nella stragrande maggioranza persone colte che hanno molto da dare e molto da dire di proprio. E’ tuttavia prevedibile che, in una percentuale non drammatica ma comunque elevata, alcuni fra gli insegnanti di oggi, finiti i “moduli”, difficilmente riusciranno ad affrontare da soli classi caratterizzate sempre più spesso da una composizione sociale dell’utenza che è profondamente cambiata. Gli insegnanti (e i dirigenti) davvero Maestri (portatori e creatori di idee) reggeranno, ma una parte del corpo insegnante non potrà sostenere in solitudine e di fronte a classi più numerose il confronto con la più dura realtà (stranieri, disagio sociale, handicap) delle classi di oggi, specialmente negli ultimi tre anni della scuola primaria.

Occorre tenere alto il senso della meta e contrarre le pretese specifiche. Finchè si lavorava in tre su due classi, l’insegnante più capace soccorreva quello debole, oggi questo non è più possibile. Inoltre, i genitori dal 2007 a oggi sono divenuti molto più esigenti.

Considerando anche l’invecchiamento del corpo docente, la casualità delle vincite al concorso direttivo e la presenza di persone obbligate a restare in servizio solo perché non hanno l’età anagrafica o l’anzianità per andare in pensione, dopo la riforma Monti/Fornero, non è difficile prevedere gravi difficoltà di contesto.

 

Ricchezze ignorate e indicazioni per riscoprirle

Se i documenti programmatici ministeriali cambiano o passano senza che molti se ne accorgano (anche perché gli ispettori sono ridotti a 1/10 dell’organico e dunque difettano sia la promozione culturale che il controllo e la ricerca scientifica), per fortuna il tesoro, che chi insegna ha il compito di custodire, di tremila anni di cultura dell’Occidente e delle persone che abbiamo con noi, resta. Si incontrerà sempre di più negli anni a venire con altri tesori, in particolare con quelli della cultura araba, cinese e indiana e le persone che vengono da quelle terre. Ogni giorno la scuola riscrive le Indicazioni possibili, autonomamente da quelle ufficiali.

In questa contingenza siamo confortati anche dalla prevedibile ripresa del processo di rivoluzione scientifica, sostanzialmente interrotto dopo il primo trentennio del secolo scorso. E’ ormai, nelle scienze dello spirito come nelle scienze del mondo fisico, il tempo di un ulteriore assetto del pensiero. E, tra vent’anni, di documenti programmatici formali che ne tengano conto.

 

L’insegnante e il dirigente come Maestri

Chi è oggi il Maestro? Quale figura di docente è ignorata nell’attuale riscrittura delle indicazioni?

L’insegnante–Maestro è -insieme agli scolari e alla comunità educante (Laporta)- l’essenza della scuola. Chi insegna o dirige davvero è persona che ha capacità di critica e detiene autonomia intellettuale, morale ed estetica (Kant).

Il suo tramandare il conoscere (per addestrare a competenze bastano degli istruttori) non è operazione neutra; attraversando il campo specifico di conoscenza il Maestro lo “contamina” della sua soggettualità e la sua soggettualità né è profondamente “contaminata”. Porta in dono agli alunni una disciplina dell’Intero rigorosamente e filologicamente studiata e fedelmente ricostruita quanto personalmente frequentata, ripensata, interpretata, reinventata.

Insegnare o dirigere è e potrebbe essere sempre più espressione dell’ “esser-presso” (presso i libri, i laboratori, i colleghi, gli allievi) e prevedere (Mortari) per il docente innanzitutto l’accogliersi, l’approvarsi, il riconoscersi come soggetto, come co-autore di un campo di eventi intenzionalizzato (le discipline come officine di senso), di storie improgrammabili.

 

Per nuovi curricula: essenzializzazione

Che imperino Programmi, che regnino Indicazioni o difettino culturalmente e pedagogicamente sia i primi che le seconde (è forse il caso di cui trattasi), la scuola fa il suo corso; è protagonista di un cammino continuo, sia sul piano umano che culturale, anche per essere meglio in grado di leggere la diversità e la sofferenza attraverso i segnali che queste mandano. Il suo percorso è in gran parte frutto di autocoscienza, ma anche di impegno, dialogo, dialettica; cerca di portare all’intelligenza delle destinazioni. Ci sarebbe bisogno che chi scrive certi documenti fosse davvero mosso da idee epistemologicamente fondate ma soprattutto proprie e non desse troppo spazio a quelle della parte meno intelligente di Confindustria.

Essenzializzazione era la parola cardinale dell’atto di indirizzo del 2010, ora non più. Conoscenza “essenziale” non è affatto sinonimo di “minima” (spesso i due termini sono considerati tali), aggettivo quest’ultimo interno a una cultura della necessità, della determinazione, del riduzionismo e dunque della competenza. E quel che è essenziale non è traguardabile, essendo all’origine.

I saperi del conoscere, volti non al produrre risultati da sbattere sul mercato dei meriti immaginari e delle relative classifiche ma all’essenza, sono saperi di lungo respiro; portano a pensare le cose non solo come sono oggi ma come sono state e probabilmente muteranno, indipendentemente dal loro utilizzo immediato e prossimo venturo. I saperi essenziali -saperi di libertà- generano pensieri nuovi, dunque costruiscono la città futura (A. Gramsci La formazione dell’uomo, Editori Riuniti, 1970), valorizzano le diversità e le differenze; quelli traguardabili mettono davanti a tutti qualcosa che è estraneo a ciascuno.

È opportuno per chi è a vari livelli coinvolto nella vicenda della scuola fermarsi ogni tanto e riflettere sui saperi che si sono sedimentati nei testi e su quelli che ancora attendono di entrare nella dimensione della scrittura o dell’immagine riconosciuta (Canfora, La democrazia. Storia di un’ideologia, Laterza, 2004).

 

Gli obiettivi non reggono l’ipercomplessità

Il nostro è il tempo delle dizioni e delle contraddizioni del mondo, delle linearità e delle non-linearità, delle distinzioni e delle contrapposizioni, del pensiero e del non-pensiero, dell’inclusione e dell’esclusione. Il tempo, augurabilmente, della transizione a una progettualità pedagogica europea (ma di marca ”continentale”) che prepari i giovani a pensare il mondo in cui vivranno loro, non quello in cui stiamo vivendo noi. Per corrispondere alla ipercomplessità del mondo si dovrebbe veicolare una cultura narrante, non frammentata in obiettivi e competenze. I nuovi saperi della scuola dovranno tener conto che non solo i contenuti e le forme ma anche le stesse categorie classiche della conoscenza umana stanno mutando nell’interazione con il nuovo mondo, con velocità assai maggiore che nel tempo della pura parola o dell’immagine preelettronica. Additare la complessità (iper) vuol dire riavviare la ricomposizione secondo ermeneutica dei saperi classici e l’entrata di quelli “nuovi” e in particolare delle nuove morfologie del sapere che possono servire a intendere le pieghe del mondo di inizio millennio.

 

Permanenze e mutamenti

Nella particolare contingenza delle mutevoli indicazioni ministeriali, come può la scuola riguadagnare una cattedra, intesa questa come metafora di un affidabile riferimento offerto a grandi e piccini in tempi di grande insicurezza? Una cattedra di etica, di avvio a una conoscenza rigorosa, di percezione e costruzione estetica del mondo. Come può esserlo nel tempo dell’oscillazione di tutti i punti di riferimento, dell’alienazione di molti indotta dalle ultime contrazioni delle forme/lavoro, come dare all’eroismo di tanti insegnanti e genitori uno scenario di speranza e di fiducia nella possibilità di migliorare le cose?

Quali indicazioni essenziali, dunque, per educare e istruire, avrebbero potuto delinearsi nello scenario della società e della cultura contemporanee? Su cosa continuare a fare affidamento e quali altri riferimenti indicare a chi accompagna coloro che sono agli inizi del cammino?

Permanenze

Resta -ci si augura- lo Stato, attuazione istituzionale della volontà dei cittadini. Uno Stato che abbia una visione eticamente fondata della sua funzione, che non sia asservito ad alcun’altra forma di potere. Uno Stato delle istituzioni che traduca nel tempo lo Stato dello spirito.

Resta, pur oltraggiata, la Terra e le terre, ovvero ciò di cui ciascuno di noi primariamente è costituito; dobbiamo insegnare a conoscerla e amarla.

Resta il pensiero induttivo di pensare e di conoscere che si è tesaurizzato in 3000 anni di storia dell’Occidente.

Resta l’amore che perennemente rinasce tra le donne e gli uomini di questo pianeta, amore tra loro, per la cultura, per il patrio suolo, per il pianeta e per le stelle e per ciò che possiamo immaginare oltre tutti i cieli. Le scuole conservano questi tesori e li portano a frutto donando antiche e nuove ragioni alla Speranza (Spe salvi, Benedicti XVI).

Mutamenti

Muta il tipo di affidamento che si fa sul patrimonio culturale (valoriali) e sul suo futuro. Non statica roccia ma elementi dinamici che maturano nel primario luogo di produzione del vero: l’interiorità della persona (Agostino d’Ippona). Roccia per consistere con sicurezza nel tempo della globalizzazione, ovvero della precarietà e delle grandi oscillazioni dell’economia e dei valori.

Mutano significato anche alcune delle parole essenziali dell’orientarsi del soggetto nel mondo, di seguito esposte in ordine alfabetico come riferimenti destinati ad assumere nuova pregnanza: altro, conoscere, coscienza, desiderio, dialogo, disincanto, epochè, evidenza, fondazione, frattale, giocare, incompletezza, indecidibilità, Intero, intersoggettualità, intenzionalità, migrazione, narrazione, nodo, non lineare, paradosso, persona, piega, relatività, relazione, rete, rischio, rumore, senso, soggetto, sollevare, slargare, sospetto, stati critici, Stato, tensione, tensori, vettori, velocità-lentezza. vuoto. Parole chiave del sapere emergente e quasi assenti nelle bozze che leggiamo.

Su queste parole gli insegnanti/Maestri stanno lavorando; non per adattare la scuola al mondo presente, destinato a non essere più quando i nostri alunni saranno adulti, ma per costruire con fiducia quello venturo.

Ricordare i nostri Maestri

In momenti difficili come questi, occorre trovare forza nelle memorie dell’esperienza, nel ricordo delle grandi figure di insegnanti e dirigenti che abbiamo conosciuto e ci hanno dato coraggio. Un thesaurum meritorum cui attingere per conservare la nostra dignità e mantenere l’autonomia che più conta, quella intellettuale, morale, pedagogica.

Immaginare

Ma la scuola non è solo memoria: sarebbe rapidamente cancellata. Deve liberare il futuro.

Ogni insegnante o dirigente o ispettore, che sia anche un Maestro, è anzitutto un maestro di libertà.

Quando il suo pensare non è schiacciato sulla contingenza, non è solo parafrasi di testi preesistenti, è anche la voce per cui il futuro si crea. Forte dell’eredità dei millenni, riesce a pensare (e additare) alla desiderabilità del domani; insegna a guardare al futuro non con timore ma con speranza.

 

Disciplinarismo e discipline come accessi all’Intero

Quando si lascia troppo gioco ai disciplinaristi (è il caso dell’insegnamento della storia, affidato agli epigoni del positivismo, agli adoratori del “fatto” storico studiato come fosse un indiscutibile fenomeno naturale) gli obiettivi fan velo alle mete e l’Intero si perde. Meccaniche pseudofattuali al posto della storia come conflittuale, dialettico, qualche volta dialogico attuarsi delle idee dell’umanità.

Certo, per indicare l’Intero, le mete, un senso che trascenda il momento occorre averne qualche idea. Ovvio, ma imprescindibile; almeno in teoria. Le discipline del conoscere che hanno luogo nelle aule/officine sono gli ambiti ideali ove il lavoro intellettuale degli insegnanti indirizza il cammino degli alunni a trovare e riconoscere radici, storicità e senso al proprio intendere e procedere verso ulteriori stati del conoscere. Il lavoro/otium (agire della persona cosciente, libero, intrinsecamente motivato, generativo di valore) si svolge attraverso il confronto con la vicenda dell’interrogarsi dell’uomo intorno al mondo e alle linee di significazione del mondo dal punto di vista dell’esistenza quale si è costituita nelle varie discipline in quanto tradizioni di ricerca e depositi attivi di conoscenza.

Nella prospettiva della pedagogia fenomenologica, ad esempio, le discipline non mostrano ma, detto di sé e riconosciuti gli interlocutori, raccontano e additano, formano in quanto offrono consuetudini di approccio affinché il venire a evidenza dei fenomeni fisici e culturali, nel momento come in tutta la storia del conoscere, lasci tracce attive nella coscienza del soggetto, divenga storia sua. Un additare l’evidenza che inviti all’apertura, intro-duca non tanto alla conoscenza quanto al conoscere, non tanto allo stato quanto al senso, metta in moto nelle direzioni verso cui l’intelligenza del soggetto in sintonia/dissintonia con la comunità dei ricercatori è vocata a trascendersi .

 

Discipline per lo sviluppo di una pura, indifferenziata, aprente capacità di conoscere

E’ auspicabile la formazione dell’autocoscienza del senso come integrazione/distinzione tra il soggetto e gli eventi di cui partecipa e degli eventi tra loro secondo le tradizioni interpretative storicamente formate (discipline come analisi). Ma il senso dovrebbe mantenersi unitario e additare la totalità, situarsi nella costituzione intellettuale dell’ unità tra soggetto e mondo e tra i vari profili delle visioni del mondo.

La disciplina, nel tardomoderno della didattica oggetto sincrono e ed epistemicamente confuso con il campo di eventi trattato, non mostri ma racconti e additi, indichi qualcosa che non sta al suo interno, che non le appartiene. Offra per questo consuetudini di approccio affinché il venire a evidenza dei fenomeni non sia vano e lasci tracce attive nella coscienza del soggetto, divenga storia sua.

La conoscenza è indivisibile, è articolazione della visione del mondo non smontabile in obiettivi ovvero in frammenti posti come dotati di significato. Lo è invece la competenza, unica forma di cultura voluta per le masse destinate al lavoro esecutivo (quasi tutto): quel che conta è il saper fare una certa cosa secondo gli standard produttivi dell’officina tardomoderna e possibilmente senza conoscere la radice e il senso di quel che si fa.

Un curriculum, contrariamente alla pedagogia del non-pensiero (obiettivi, competenze, etc.), non è una manovra informatizzata, non è un piano lineare di percorrimento di un pre-pensato. E’ un movimento incerto, solo probabilisticamente prevedibile, animato da tensori interni al soggetto e al suo ambiente e si attua come percorso esistenziale che porta alla consapevolezza della prossimità a molteplici radici degli eventi, allocabili nella pluralità degli spazi e dei tempi, prima ignote al soggetto.

 

Le indicazioni impossibili

Le Indicazioni che non verranno mai, le indicazioni impossibili non tanto per difetto di scrittori o decisori politici quanto per i limiti dell’epoca dovrebbero poi prospettare con forza come in Europa siamo a un momento di vera e propria mutazione culturale, nonché di uscita dalla lunga crisi della cultura e della scienza che dura dalla compressione degli anni quaranta. Alle soglie di un nuovo inizio. Servirebbe dunque un quadro epistemologico emozionalmente sostenuto, una lettura anche “mitica” della contemporaneità, capace di appassionare.

Più che “Traguardi di sviluppo della competenza” chiusi nel sintagma tardomoderno e nelle visioni economicistiche meno aperte alla filosofia dell’innovazione diffusa, sarà forse necessario in futuro indicare le direzioni cui s’intende volgere il senso dell’ azione pedagogica e didattica. Linee che primariamente indirizzino al conoscere, finalità essenziale di tutta la scuola e solo secondariamente alle competenze, che tra l’altro, senza le prime, costituiscono una forma di agire insensato.

 

Onorare la tradizione e aver fede in noi stessi

Pur con tutte le difficoltà che ci attendono, nonostante tutte le indicazioni del mondo, nella scuola e nell’università abbiamo ragioni e forze che ci permettono di sperare. Una forza che nessun decreto legge ci può togliere è quella della tradizione. Mentre l’arco di visione del potere e degli apparati di consenso è limitato alla cronaca, il Maestro proviene dalla storia, fa vivere una tradizione e addita il futuro. Ogni Indicazione insistente nel mero orizzonte della cronaca come quella di cui trattasi è sempre cronaca di un non-essere, o anticipazione di una fine.

I Maestri sapranno recuperare nella tradizione dei saperi il punto di vista trascendentale che sorreggerà: insegneranno a guardare il mondo nuovo nel complesso degli atti di relazione che il soggetto, confortato dall’amicizia del maestro e dei compagni, può instaurare con il mondo a partire dal campo delle sue letture e delle sue esperienze.

Forse in qualche venturo documento programmatico -fra una ventina d’anni- verrà privilegiato il pensiero pensante ed evitato il risucchio nelle correnti discendenti della banalità, nel pensiero amministrante, volto a una scuola che miri solo a far acquisire a basso prezzo per il sistema competenze misurabili.

Dobbiamo conservare l’autonomia di maggior valore, quella intellettuale, e costruire. La scuola e l’università possono cercare di offrire sentieri per permettere al soggetto di capire le idee e i saperi che anticipano il nuovo mondo e di istruire nei linguaggi utili alla sopravvivenza in un mondo più duro; educheranno secondo tradizione, orientando alla vita nonché al mondo come luogo dell’accadere umano, porta aperta sul futuro (il tempo che verrà), finestra socchiusa sul mistero (oltre il tempo).

Tornando alla contingenza, direi che in tempi difficili come quelli che ci aspettano abbiamo bisogno di autostima e fiducia in noi stessi, di sapere che disponiamo di umanità, capacità, conoscenze e competenze quanto basta e avanza per superare le difficoltà derivanti dalle ristrettezze dell’economia e dal differenziale di disagio aggiunto dalla situazione temporanea. Dobbiamo capire tutti che la grande maggioranza di chi lavora della scuola è costituita da persone di valore che lavorano bene. Per fortuna ci siamo noi e siamo tanti.

Nelle scuole autentiche (luogo di persone amiche tra loro che si raccolgono per guardare alto e lontano) si addita ai giovani l’Intero, che non è solo interdisciplinarità. Il mondo tardomoderno è plurale ma uno deve essere lo sguardo che lo coglie: lo sguardo degli Interi (le persone) che si volgono all’Intero (tutto ciò che è) (Platone, Agostino, Hegel, Gentile, Husserl, Heidegger, cioè il futuro del pensare). Nella cultura e nella società contemporanee e in quelle prossime venture l’Intero non è un ammasso di pietra omogenea ma è un fluido; non è l’Unico ma riflette e trascende il tempo della pluralità.

In estrema sintesi, occorre che la scuola insegnante, la scuola dei Maestri che non si illude più ma non ha perso la capacità di sperare “scriva” da sola, in sintonia con la scienza e la cultura, indicazioni finalizzate a volgere lo sguardo e il cuore agli Interi e all’Intero e riconoscere a ogni valido insegnante, dirigente e ispettore la piena dignità del Maestro.

 

Bibliografia

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