Annotazioni sulla bozza delle Indicazioni Nazionali
Claudia Fanti Educazione & Scuola
13.6.2012
Relativamente alla
Bozza delle Nuove Indicazioni Nazionali ho inviato alla Commissione
alcune annotazioni critiche di metodo e di merito.
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Mi pare che la
“consultazione” abbia tempi, forme, modalità di coinvolgimento e
discussione inadeguati a tal punto da risultare poco credibile
per poter suscitare un dibattito approfondito e sentito; in
particolare il questionario (a tre risposte imposte) rivolto
alle scuole viene percepito come un proforma;
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la scelta della
Commissione di elaborare l’Introduzione “dopo” aver scritto le
Indicazioni fa venire meno il rapporto consequenziale che
dovrebbe esserci tra contenuti specifici di merito e il contesto
(la Premessa), che si dovrebbe basare su una “lettura” della
scuola reale, dei suoi bisogni, dei bisogni della società e
delle nuove generazioni nella fase storica che stiamo
attraversando;
-
il venir meno delle
“aree” di aggregazione delle discipline fa sorgere dubbi: se non
avevano un fondamento epistemico già prima, non si comprende
perché gli insegnanti siano stati “formati” con corsi di
aggiornamento in cui si sosteneva da parte degli specialisti e
degli aggiornatori esattamente il contrario, oppure la scelta di
eliminare le aree è dovuta al venir meno del modulo e alla sua
sostituzione col “maestro unico”? Ma anche in quest’ultimo caso
bisognerebbe spiegare allora il conflitto e la contraddizione
tra la scelta di una marcata disciplinarizzazione e
l’impoverimento specialistico degli insegnanti che, divenendo
“unici”, non possono però divenire tuttologi. Più i saperi si
specializzano, più gli obiettivi diventano specifici e
pertinenti alle aree prettamente disciplinari, più l’insegnante
unico pare generico, onnicomprensivo e non in condizioni di
essere all’altezza del compito che gli viene assegnato;
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“spirito di
iniziativa e imprenditorialità”: tra gli otto macro-obiettivi
che vengono elencati nella Bozza, questo è certamente “estraneo”
e resta “appeso” senza che nel corpo del documento vi sia
specificazione di conoscenze, discipline, attività didattiche
che ne dovrebbero essere il supporto e la base concreta, al fine
di renderlo credibile per il suo conseguimento nel tempo;
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il macro-obiettivo
definito “competenza digitale” è fuori misura sia rispetto alle
effettive possibilità della scuola, soprattutto in assenza di
strumenti, saperi, competenze specifiche degli insegnanti, sia
rispetto alle capacità dei bambini di questa fascia d’età, anche
se con roboante ed esagerata espressione li definiamo “nativi
digitali”. Più ancora che alle specifiche “competenze” tecniche,
comunque inadeguate e limitate, occorrerebbe porre l’accento
sull’esigenza di cominciare a maturare una “cultura digitale”;
-
Storia è l’unica
disciplina per la quale nella Bozza onestamente si riconosce la
carenza di tempo scuola a disposizione, ma si afferma, tuttavia,
ne “La ripartizione delle conoscenze storiche per livelli
scolastici”, che “anche gli insegnanti di scuola primaria
dovranno stimolare la conoscenza di aspetti e processi del
nostro tempo e della nostra storia recente, durante tutto il
percorso di studi, assumendo l’opzione metodologica di mettere
in rapporto passato e presente all’interno dei temi che verranno
via via affrontati”. Ciò da una parte rivela la giusta e
auspicabile attenzione degli estensori verso la Storia moderna e
contemporanea anche nella Primaria, dall’altra mette ancor più
in evidenza l’inopportunità della verticalizzazione dello studio
della Storia senza ripetizione dei contenuti. La ripetizione,
alla scrivente, pare invece necessaria e da non sottovalutare,
ovviamente con i dovuti accorgimenti e approfondimenti in base
all’età degli alunni, i quali vivono in contesti che riportano i
segni di un passato recente che stimolano la loro curiosità;
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l’obiettivo
ambizioso, forse anche presuntuoso, della “comunicazione nelle
lingue straniere” appare in stridente contraddizione con la
figura del “maestro unico”, il quale, non solo dovrebbe imparare
la competenza comunicativa in lingue straniere in qualche decina
di ore e per giunta prevalentemente on line, ma dovrebbe essere
talmente colto linguisticamente (per esempio, fondamentale
sarebbe una pronuncia corretta, senza la quale non c’è
“comunicazione”) e didatticamente da poterle addirittura
insegnare, cosa difficile anche per un insegnante laureato e/o
di madre lingua;
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in generale viene
abusato il termine-concetto di “competenza”, anzi “competenze”,
che non pare adatto ad una realistica valutazione delle capacità
dei bambini di questa fascia d’età;
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molti obiettivi
disciplinari non tengono conto né dei tempi dell’attuale
organizzazione scolastica, né degli ambienti, dei materiali,
degli strumenti effettivamente a disposizione delle classi e
delle scuole, né dell’età dei bambini. Inoltre in “Traguardi per
lo sviluppo delle competenze”, nel paragrafo “Organizzazione del
curricolo” è scritto che i traguardi “risultano prescrittivi”: a
questo punto non si capisce poi come si possano costruire dei
curricoli nelle singole scuole autonome. Sarebbe stata più
opportuna una scelta lessicale meno deterministica e assertiva:
ad es. si sarebbero potute usare espressioni come “avviare”,
“orientare”, “incentivare”… in particolare per alcuni obiettivi
enfaticamente alti di “Arte e immagine”, “Tecnologia”, “Musica”,
“Lingue comunitarie”;
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assolutamente
niente viene scritto dell’integrazione, dell’inclusione, della
prevenzione della dispersione, che non sono questioni “a parte”
che riguardano un numero insignificante di allievi (si pensi ai
bambini stranieri, ai diversabili, DSA, dislalici, discalculici,
disgrafici ecc.), ma in un modo o nell’altro, direttamente o
indirettamente riguardano tutti gli alunni e tutti gli
insegnanti, perchè determinano il sistema degli obiettivi e il
sistema della relazioni, gli ambienti e il clima di
apprendimento.
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