Per una valutazione delle scuole e di chi vi lavora
Rielaborazione
di omonima pubblicazione dell’Autore uscita nel n. 30, annata 2011
di Encyclopaideia (Bononia University Press, Bologna) intorno a una
possibile valutazione “di sistema” scientificamente attendibile e
condivisibile dalle scuole
di Gabriele Boselli, consigliere CNPI,
Educazione & Scuola
5.1.2012
I paragrafi 13 e 14
della famosa “lettera dell’Europa” al governo italiano (scritta
–pare- su bozza del destinatario di allora) pongono in ulteriore
evidenza il problema della valutazione. Sulla stampa scientifica e
professionale e sui siti il tema è assai dibattuto ma forse poco
approfondito a livello epistemologico.
Nel contempo, sempre più spesso vengono diffuse dai media sintesi
assai negative sul valore della scuola italiana, derivate da
ricerche che tengono conto solo degli aspetti più facilmente
valutabili del rendimento scolastico, quelli esecutivi, automatici o
in cui comunque la capacità di pensiero critico e creativo, in
un’ottica di visione seriale e pseudo-oggettiva dei processi
educativi, non ha spazio. Una lettura attenta dei testi originari di
simili importanti (che hanno una grossa portata nell’orientamento
dell’ opinione pubblica) ricerche di sistema mostra poi una
rappresentazione dei fenomeni più complessa ma pochi leggono le
ricerche in originale e il danno d’immagine è comunque compiuto.
1. Sostenere la richiesta di valutazione, ma opporre alla prassi
mediatica e al “pensiero amministrante” ufficiale il rigore
epistemologico
L’essenziale –è nota la
frase di A. De Saint Exupery- “è invisibile agli occhi”. Ma il
sistema vive esclusivamente nel visibile e nel tassonomizzabile e ne
richiede imperiosamente un qualche simulacro. E’ dunque vero –la
retorica politica lo impone- che qualcosa in materia di valutazione
occorre fare: ma è necessario che sia fatto disinteressatamente,
onestamente, scientificamente Soprattutto scientificamente, tenendo
conto della complessità del tema e dell’ipercomplessità dell’epoca,
non rinchiudendosi nei confini rituali di quello che Heidegger
avrebbe forse additato come pensiero calcolante o amministrante
(1)..
La ricerca pedagogica italiana prevalente in materia mi appare
bloccata da una quarantina di anni sui lavori di M. Gattullo e
B.Vertecchi; il primo, purtroppo, è morto da quindici anni e forse
–data la sua matrice bertiniana- avrebbe cambiato idea; il secondo è
vivo ma non ha proceduto oltre e i suoi allievi dominano il campo
docimologico con i loro dogmatismi. Sarebbe ora di ripartire:
l’istanza di scientificità (vedi anche di quegli anni i lavori di De
Bartolomeis e della Becchi) potrebbe trovare ora risposte in modelli
epistemologici diversi da un galileismo fuori tempo e fuori campo.
La ricerca mondiale sulle scienze dell’educazione ha recepito la
lezione husserliana della “Crisi delle scienze europee”. Studi
importanti sono ad esempio condotti nell’ambito del Wordl
Phenomenolgy Institute di Vancouver diretto da A.T.Tymieniecka; in
Italia dal gruppo di Encyclopaideia di Bologna (M.Tarozzi e M.Artoni),
dal Centro di fenomenologia e scienze della vita di Macerata (F.Totaro
e D.Verducci), dal Centro italiano di ricerche fenomenologiche di
Roma (A.Ales Bello).
(1)
Lo scenario di sociologia della cultura in cui il problema va
considerato può essere quello disegnato da Saskia Sassen in un
testo del 2006 che una volta sarebbe stato chiamato
“fondamentale”: Territorio, autorità, diritti, ora presso Bruno
Mondadori, 2008.
La globalizzazione dell’economia indebolisce le tradizioni
culturali ed esige in ogni luogo del mondo una uniformità,
informaticamente amministrabile, di processi valutativi che
costituiscano il vero “programma ineludibile” delle strutture
scolastiche. Vengono indebolite e denazionalizzate le teleologie
su base filosofica e le prassi valutative intese come tradizioni
di atti ermeneutici si perdono nell’embricazione asimmetrica con
modelli resi forti (per il potere che li impone) di teaching for
testing.
Questo comporta per noi
fenomenologi il dover assumere una posizione teoretica di contrasto
alla macchina dei test “oggettivi”. Stimolati anche dal vedere che
stanno arrivando nelle professioni e nella scuola gli studenti a suo
tempo selezionati per l’accesso alle facoltà con questa pratica:
bravi quando si tratta di compilare stampati o di esercitare
pensiero conforme e replicante ma di rado brillanti in tutte quelle
attività in cui occorre capacità critica, attenzione a tutto campo,
fantasia, inventiva. Operatori selezionati con metodologie
oggettivistiche opereranno allo stesso modo perfezionando il ciclo.
E dirigenti scolastici e ispettori “convergenti”, selezionati
prevalentemente su test, restringeranno l’orizzonte di senso della
scuola allineandolo e conformandolo all’attualità del sistema
globalizzato. Posizione vincente nella cronaca ma perdente nella
storia poichè l’Europa e l’Italia in particolare possono invece
puntare solo sull’innovazione e la creatività per avere un buon
futuro.
Le ricerche accennate, come tutte quelle di derivazione IEA, sono
comunque da prendere in considerazione in quanto indicative dei loro
presumibili effetti nel condizionamento dell’opinione; occorre
d’altra parte esservi attenti in quanto sono spesso ricche anche di
dati utili a valutare quella parte delle attività scolastiche in cui
viene posto in atto il pensiero convergente e immediatamente
operativo.
Dal nostro punto di
vista una valutazione “oggettiva” delle scuole e di chi vi lavora
che pretendesse di avere valore complessivo appare implausibile
(Bertolini, “Una valutazione possibile”, La Nuova Italia, 1999). Se
la valutazione del personale scolastico e delle scuole non ha
adeguata struttura epistemologica, se la committenza non è
interessata alla verità ma alla produzione di materiale per
argomentazioni persuasive, la valutazione diviene uno strumento di
pura gestione del potere: se sei una scuola, ti valuto per
l’efficacia della rappresentazione che –a suon di test e di slides-
sai rendere credibile nel pubblico; se sei un insegnante o un
dirigente ti valuto non per quel che sai e sai fare ma per il lustro
che deriva dalla tua presenza e per l’obbedienza che mi presti. Se
persegui valori diversi da quelli che mi sono utili non considero i
dati che li riguardano.
Continuando il lavoro di “Una valutazione possibile” (cit.), credo
occorra proseguire con rinnovata lena nella costruzione secondo il
metodo fenomenologico di una teoria della valutazione generativa di
pratiche rigorose di ricerca.
Il tentativo ha anche rilevanza politica: se non vi è un modello di
valutazione scientificamente fondato (oltre che generalmente
rispettato, se non condiviso, dalla comunità degli studiosi e dei
docenti) valutare diviene altrimenti un’arma contro la libertà
d’insegnamento e la libertà di pensiero e di espressione. Una
retorica di sostegno, dunque e le valutazioni saranno non atti
scientifici ma pratiche di affermazione del Potere.
Il tentativo può essere allora quello di elaborare scenari ed
elementi progettuali per una teoria della valutazione che consenta
di produrre non fatti politici (ricerche da cui trarre
plausibilmente documenti da portare sui media a suffragio di
interessi) ma atti veritativi. Cercheremo di indicare esplicitamente
i principi del metodo d’indagine e i processi configurativi,
induttivi e deduttivi di costruzione teoretica e attuazione pratica.
Per mettere il tutto a disposizione di chi proverà a valutare
insegnanti, dirigenti e scuole o di chi sentirà il bisogno di
strumenti per difendersi da valutazioni fondate su modelli di
scientificità e pratiche percepiti da chi lavora nelle scuole come
alieni o aventi scopi meramente propagandistici (2).
(2)
Anche il discorso che si va sempre più affermando sui grandi
media in ordine alla “premiazione del merito” è in questo senso
assai scivoloso: funzionale al potere in quanto incrina quel
poco che resta dello spirito di corpo, consegnando isolati i
singoli docenti nelle mani del valutatore. La prassi
“meritocratica” impedirà a docenti e dirigenti –messi in
concorrenza/conflitto tra loro- di portare attenzione alle
condizioni generali in cui la scuola è stata costretta. Li
disincentiverà da quell’impegno sui grandi temi filosofici e
politici che potrebbe contrastare lo spaccio dell’ ideologia
prevalente.
2. Il potenziale “pericoloso” della ricerca fenomenologica
La valutazione delle
scuole e di chi vi lavora su matrice sistemica e globalizzata
uniforma a una razionalità “post-imperiale” la preziosa pluralità
delle culture tradizionali e potrebbe indebolire gravemente le
capacità di pensiero critico. La fenomenologia invece nasce -con
Cartesio prima ancora di Kant e Husserl (Husserl, Meditazioni
cartesiane)- come dottrina di critica delle manifestazioni, del modo
in cui la realtà viene proposta come evidente verità consegnandola
di fatto come oggetto in mano ai suoi celebranti (i chierici) per
imporla ai destinatari (i laici). Avversa allo scetticismo (il
disperare sulla possibilità di perseguire il vero) inizia tuttavia
(ma non si ferma) con il dubbio radicale, con il sospetto. Come ogni
teoria critica, la fenomenologia si libera il più possibile dalle
preesistenti pratiche configurative di masse di dati; non per
respingere questi ultimi o rinunciare a cercarne altri ma per
scomporli, decostruirne le strutture, ricomporli alla luce di
principi diversi e intersoggettivamente accreditati di analisi e di
riconfigurazione. Non mira a verità presentabili come ipostatiche,
incontrovertibili (quelle introdotte da proposizioni come “questo è
il dato”,” è chiaro che”, “bisogna riconoscere….” o “bisogna prender
atto che”, “è oggettivo che” etc.), ma a manifestare nel caso nostro
rappresentazioni della realtà delle scuole nell’intimo quanto
dichiarato convincimento che questa non è accessibile in sè e per sè
ma si possono costruire plausibili narrazioni di valore del suo
manifestarsi alla comunità dei ricercatori, degli insegnanti, degli
studenti, dei genitori, del pubblico. Che detiene un “diritto al
confronto con la realtà” quotidianamente negato dal sistema
informativo globale.
Si protrà allora indagare sui limiti dell’oggettività, sul come fare
emergere il valore delle produzioni dei soggetti e delle relazioni
intersoggettuali, sulle possibilità di un valutare ordinato su
costellazioni assiologiche e non su valute (standards riconosciuti
di allineamento).
3- Princìpi di un possibile risorgimento assiologico
3.1
Singolarità del volgersi e sviluppi nell’intersoggettualità
Valutare la scuola e
chi vi lavora (si faccia parte o no del campo valutato) significa,
prima che altro, volgersi (volgere sé ..) a ciò che appare, altro
dall’io/noi ma da noi stessi rappresentato. E’ atto costitutivamente
espressivo del soggetto valutante, pur se in-teso ad altro. Niente
di ciò che (senza trucchi) appare è mera parvenza; niente di ciò che
appare è pura verità. Sempre si attua come rappresentazione di un
soggetto (individuale, societario o istituzionale) costituito
intorno a un oggetto, o meglio a un argomento. Meglio scrivere
“argomento” perchè solo questo, in quanto ha luogo nel discorso, può
essere investigato; non l’oggetto in sé e per sé che è e rimarrà
sempre altro, anche quando l’altro siamo noi stessi.
3.2
Inobiettivabilità delle risultanze
Qualità e quantità del
lavoro si possono rappresentare attraverso un processo dialogante e
dialettico, ma inobiettivabile senza tradimento dell’oggetto e dello
stesso soggetto, di proiezione all’esterno, di confronto tra vari
punti di vista. Inobiettivabile nel senso che l’oggetto in sé muta
di continuo, oppone alla stabilità degli strumenti ricognitivi la
fluidità del suo offrirsi in forme sempre nuove; non è coglibile per
ciò che è ma per il suo essere-nel-campo, in un contesto in cui il
gioco dei valori è innestato nell’insieme vivente degli attori e dei
valutatori. L’oggetto è essenzialmente una produzione della
soggettualità degli attori, oltre che, come abbiamo scritto, in
qualche misura un “precipitato” dei loro interessi.
3.3
Serialità dei processi, prevedibilità dei risultati
In ogni campo, i
risultati di una ricerca sono spesso (a volte in gran parte) il
prodotto dei presupposti metodologici e dei modelli
quanti/qualitativi espliciti e impliciti. Le impostazioni della
ricerca determinano gli esiti. Quel che in una piccola ricerca è una
frequente eventualità, in una ricerca che richieda grossi
finanziamenti e apparati stabili (es. PISA, INVALSI) occorre che i
risultati siano, se non utili, almeno compatibili con il sistema. E
gli interessi deontologicamente mal controllati uccidono la verità
del valore (autenticità e autorevolezza dell’attribuzione del
valore), se mai questa esista.
3.4
Nella scuola ci sono solo soggetti, ma possono essere reificati
Si tratta dunque, a mio
avviso, di costruire una valutazione non appiattita sugli stereotipi
di ricognizione/interpretazione degli eventi che possono conseguire
alla seriabilità delle procedure di ricerca, delle pratiche di
elaborazione, di pubblicizzazione (3). Nel caso nostro si tratta di
porsi in opera con il particolare profilo che questa ricerca può
assumere essendo fenomenologia in atto, atto (non fatto, ovvero
evento determinato da strutture precostituite) di una scienza
speciale e non specialistica, per storia, campo, concetto di metodo.
Nella scuola questo significa anche far assumere ai valutati un
ruolo attivo nel disegno dei processi e nei metodi di valutazione.
Secondo un valutazione fenomenologicamente impostata, entro l’area
delle scienze dell’uomo, non ci sono oggetti, solo soggetti. E
l’intersoggettività esclude approcci oggettivistici come di
soggettivismo chiuso, concilia i termini dell’atto valutativo.
3.5
Atti di fenomenologia del vivente
Se le grandi e costose
ricerche di sistema sono investimenti finalizzati della committenza
publica e privata (sappiamo che ormai la differenza è minima, data
l’ampia privatizzazione sostanziale del pubblico v. Sassen 2006/8)
anche le ricerche libere non possono pretendere di essere meri
rispecchiamenti di valori intrinseci all’oggetto. Per quanto
seriamente si lavori, valutare è errare, sia nel senso di percorrere
sentieri che spesso non portano da nessuna parte, sia nel senso di
sbagliare: nemmeno una libera comunità di ricercatori senza padrone
o committente (un padrone a tempo determinato) può pensare di
giungere al vero, di valutare non quel che le appare, ma ciò che è.
Sta comunque entro un orizzonte di valori, una rete di aspettative
che fan sì che niente sia meno evidente dell’evidenza e che
l’evidenza sia solo quella visibile dalla propria finestra.
Anche la ricerca più onesta –se ha dignità e diritto di essere
orgogliosa- deve conservare umiltà: non considererà mai i suoi
risultati universali e necessari, tantomeno “oggettivi”. Potrà
mirare a risultanze dichiaratamente relative e plausibili, almeno in
potenza intersoggettualmente accettabili. L’interpretazione
fenomenologica del mondo degli eventi non è -scriveva Piero
Bertolini- oggettivistica né ingenuanente soggettivistica, ma ‘relazionistica’,
relativizzante senza essere relativistica (nel senso che non
rinuncia ad mettere in opera scale di valore. Comprendere è anche
sapere di essere com-presi.
4. Sui rituali di raccolta dati
Consapevole della
mondanità del suo accadere, il valutare fenomenologicamente
orientato rispetta (con agilità) la deontologia ufficiale e le
regole del gioco della comunità scientifica anche se stabilite
secondo altri approcci teorici e sostenute da interessi differenti e
diversi. Ma ove eticamente necessario e legalmente corretto le
elude. Una di queste regole “mondane” prescrive ad esempio che si
lavori a raccogliere grandi masse di dati, impressionanti volumi di
informazioni “neutre”. Questo va fatto ma criticamente, tenendo
conto di curvature che mi paiono ovvie, seppur disconosciute dalla
teoria prevalente:
a) individuare i dati da ricercare e selezionare quelli da prendere
in considerazione significa aver scritto buona parte delle
conclusioni;
b) l’aumento della massa di dati accresce simmetricamente la loro
utilizzabilità per le conclusioni più disparate; nelle grandi
ricerche di sistema i dati vengono solitamente raccolti sino a che
raggiungono una vettrice di risposta accettabile per la committenza;
e) maggiori sono i mezzi e il “peso” della raccolta, più la ricerca
apparirà “scientifica” e convincente;
c) uguali regole di trattamento di solito confermano i risultati già
acquisiti (per questo a volte le conclusioni che ne risultano sono
analoghe e le generalizzazioni ripetibili); regole diverse anche su
una stessa base di dati producono risultati diversi.
5. Innovare le regole è
rinnovare la valutazione e i suoi esiti
Per ciò nella
prospettiva fenomenologica delineata si pensa e da subito si opera
anche secondo regole innovative. La valutazione degli insegnanti e
delle scuole potrà essere atto di una scienza
-non mortificante, non amministrativa del dato secondo regole
globali consolidate e standardizzate in cui l’omaggiato oggetto di
fatto scompare; sarà una ricerca pensante il vivente, l’esistente
concreto;
-avrà come meta la valutazione dell’esperienza (di ciò per cui si è
passati attraverso, non la massa di conferma dei giudizi/pregiudizi
);
-non tenderà ad affermare che quel che si vede è ed è assolutamente
reale e tutto finisce nel constatare;
- sarà una valutazione narrativa, consapevole delle propria
storicità, concreta;
-si sforzerà di essere pratica, “utile” non solo alla committenza ma
anche agli attori del servizio scolastico, in particolare agli
alunni;
- non avrà come suo scopo principale lo stilar classifiche,
l’archiviare e il giudizioso amministrare eventi, ma conoscere una
regione del mondo della vita sociale e aiutare chi vi si avventura.
Peraltro la scienza in opera non dovrebbe essere più insieme di atti
di appropriazione o di induzione di dipendenze dal proprio potere;
non dovrebbe cercar di porre ciò che si vede come ciò che sta sopra
la mutevole intelligenza umana del fluire dei fenomeni e delle loro
rappresentazioni codificate. Niente sta; niente è più sopra, tutto è
dentro il flusso e noi pure.
L’approccio
fenomenologico non sarà mera applicazione dei codici di ricerca
ordinari ma -ribadisco- fenomenologia in atto, addensamento di
esperienza pura che si costituisce in scienza attraverso l’epochizzazione,
la sospensione del giudizio, la riduzione e altre pratiche
metodologiche singolari.
Epochizzazione-_Mettere tra parentesi (non: ignorare, rimuovere,
cancellare) ogni pre-giudizio sull’ oggetto osservato e sul contesto
di ricerca, ogni sistema compiuto e, fin dove possibile date le
circostanze operative, ogni convenzione. Dirigerci con il più
leggero dei fardelli, alleggerito di ogni struttura precostituita,
verso la qualità (il “qual essere”) e l’attualità di ciò che è nella
direzione del nostro (che sia proprio nostro) guardare.
Riduzione fenomenologica- Alla messa in parentesi dovrebbe
conseguire la possibilità di un’esperienza pura, di puri atti di
conoscenza. Attingere al mondo della vita con un minimo di
rappresentazioni a un’esistenza non coperta da teorie implicite
sull’esistenza e sulla pratica professionale, a valori emergenti non
dalle modalità della ricerca ma, almeno in parte, da ciò verso cui
siamo intenzionalmente volti.
Momenti
Cercherà di essere atto scientifico in quanto attività intellettuale
(ma non intellettualistica) che parte dall’attività pratica e vi
approda, seguendo una prassi di scienza come:
immersione nell’esperienza – il racconto è autentico se il narratore
non è un corpo estraneo, ha davvero con-vissuto l’esperienza di cui
tratta e non si è limitato a far compilare dei questionari; è onesto
se aperto a riferire tutto quel che gli risulta;
distanziamento il semplice aver vissuto non significa aver colto il
valore del vissuto, distanziarsi non significa indossare il camice
dell’osservatore asettico, come si trattasse di valutare dei
semplici reperti biologici ma decentrarsi, connettersi con più ampi
mondi vitali e istituzionali;
concettualizzazione degli approcci e nelle metodologie elaborative
singolari: per permettere la comunicazione forme e metodi devono
essere oltre che reinventati, riconcettualizzati ovvero
teoreticamente rifondati e chiaramente esplicitati; vi devono essere
forme relativamente stabili di connessione dei fenomeni osservati ad
altri;
discussione allargata in ogni fase, con ritorni regolari
nell’esperienza;
revisione teoretica, ripartenze frequenti verso mete non prepensate,
gratuitamente individuate e perseguite.
Una valutazione fenomenologica delle scuole e dei docenti saprà
offrire conforto (abbiamo bisogno di pensare a un qualche tipo di
fondazione, a dei presupposti della ragion valutante, per quanto
universalmente indimostrabili) e far procedere a generalizzazioni,
sorprendere precarie ma illuminanti regolarità nel mondo dei
fenomeni, nel complesso del loro apparire.
6. La curvatura fenomenologica
La docimologia
prevalente, centrata sulle esigenze della committenza, tende a
classificare, cioè a ordinare/archiviare secondo criteri che
rispondono direttamente o indirettamente alle esigenze del gruppo di
ricerca nel suo rapporto con la committenza. E’ strumento
partigiano. Il termine intenzionale è mero oggetto, non ha gravità,
non influisce sulle forme della ricerca e questa procede
linearmente, indifferente a ciò di cui tratta. Linearità di
riduzione delle irregolarità del mondo alla retta che intercorre fra
l’interesse del committente e l’immagine a priori che gli serve,
attraversando campi di valutazione avvertiti come estranei.
Invece, la protensione verso l’oggetto costitutiva del procedere
fenomenologico non è allineante e troverà attuazione nella
particolarità della curvatura fenomenologica (flessione/torsione
dell’immagine inerente sia alla sua base “reale” che all’ampiezza e
alla velocità dei suoi mutamenti/spostamenti entro il campo totale),
indotta dal campo e dal termine dell’argomento. Fare fenomenologia è
anche qui condurre una indagine sulle strutture mobili produttive
delle manifestazioni del reale che ci interpellano, non lasciandoci
indifferenti come se osservassimo strutture geologiche. La scienza
prende sempre parte alle dinamiche mondane, deve solo avere l’onestà
di non dissimularlo.
Potrà così essere configurazione trasparentemente pro-duttiva di
eventi: ogni valutazione fonda la progettazione successiva). Sarà
pensiero in atto che non si fabbrica e non si replica ma che si
prova (individualmente) e si costruisce continuamente (si edifica
insieme, come ogni scienza) nel silenzio e nel rumore dei mondi
vitali, tra le cose date, le pratiche di ricerca obbligate e le vie
nuove che si apriranno.
La pedagogia come scienza filosofica (nel caso nostro
fenomenologica) è peraltro protesa all’impensato, all’imprevisto,
allo scomodo, a quanto l’establishment economico e politico glocal,
con le sue soffocanti reti di interesse- talvolta non è più in grado
nemmeno di immaginare. La retorica del potere veicolata dalla
ricerca docimologica ufficiale è lineare solo in riferimento a se
stessa ma essenzialmente non ha rispetto di ciò che osserva; di
fatto spesso copre, curva e altera.
La ricerca fenomenologica mette in crisi l’immagine propagandistica,
la incrina come struttura rappresentativa dell’ esistente e con ciò
apre al futuro, scopre e innova. Accetta e a sua volta induce a
curvature (non torsionali), in modo autentico e trasparente. Atto
puro, libero, atto di una scienza consapevolmente ed esplicitamente
anche politica, può accogliere il nuovo, sostenerlo con la sua
potenza euristica e trasformatrice proprio perché onestamente
interessata (da inter-esse).