Togliere il valore legale al titolo di studio Pasquale Almirante AetnaNet 11.1.2012 Nel calderone grande delle liberalizzazioni, all'interno del quale ribolle il minaccioso aculeo dei tassisti, pare si voglia mettere dentro anche l'abolizione del valore legale del titolo di studio che per alcuni politici sarebbe una ulteriore tisana per migliorare la strampalata salute della scuola italiana, dopo gli intrugli preparati dalla gestione Gelmini. A giudicare addirittura da lacune dichiarazioni sembra che la proposta sia già pronta e che probabilmente passerà con le altre zattere sul fiume impetuoso delle riforme per salvare l'Italia, dopo le batoste subite dai pensionandi, quelli del 1952 soprattutto, e dalle tassazioni alla cieca, modulate attorno a quel famoso gioco: chi acchiappoacchiappo, e siccome in gioco ci sono solo i poveracci ad essere acchiappati rimangono sempre i poveracci, pensionati compresi.
Abolizione legale del
titolo di studio, come è noto, significa che un ragioniere potrà
fare il geometra e che un corso di studio equivale ad un altro,
tranne che una agenzia specializzata o un corso post diploma
legalizzi il titolo, renda cioè geometra il geometra e ragioniere il
ragioniere, fermo restando che il geometra può liberamente
partecipare alla prova/esame o al corso svolto da queste agenzie
indipendenti per dare valore reale al titolo del ragioniere e
viceversa per il ragioniere che vuole fare il geometra. Il punto
centrale del dibattito diventa allora, non già quello di preparare
nelle scuole dell'intero territorio nazionale geometri con tanto di
strumentazione in grado di usarla, ma diplomati, diciamo così,
portatori di un titolo di studio fruibile per tutte le occasioni e
spendibile nella sua specificità solo se un Ente, o una scuola
abilitata all'uopo, lo rende tale. Il fumus della creazione
indiscriminata di scuole pronte a rilasciare un passaporto qualunque
si coglie a colpo, mentre non si avverte l'utilità di mettere
l'avvocato (anche la laurea perderebbe il suo valore legale) in
condizione di specializzarsi in odontoiatria, seppure dopo avere
superato un corso/ concorso/ prova/ abilitazione/o altro. Ma c'è di
più. Siccome un titolo equivale ad un altro, essendo per esempio il
diploma, chiamiamolo così, preso a Catania senza alcun valore legale
rispetto a uno simile preso a Bolzano, calmiere nella scelta di una
determinata figura professionale potrebbe essere la scuola di
provenienza, non già il suo specifico valore che deve tenere conto
del voto e delle altre componenti giuridiche e legali. E infatti i
sostenitori dell'abolizione del valore legale del diploma, e della
laurea, spingono proprio su questo punto, proprio perchè in questo
modo sia gli atenei e sia le scuole si farebbero concorrenza fra
loro per rendere i propri studenti più geometri i degli altri e più
ragionieri degli altri, dal momento che sarebbe il mercato a
selezionare i veri e più in gamba professionisti del settore. E non
basta. Secondo altri accademici compito dello Stato per
delegalizzare il titolo di studio dovrebbe essere quello di stilare
una graduatoria delle scuole migliori e delle università migliori in
modo che quando ha bisogno di personale per le sue amministrazioni
centrali o periferiche assegni i punteggi per partecipare al
concorso non in funzione del voto, che mette sullo stesso piano
tutte le scuole e le università, ma in relazione alla provenienza
del candidato. Una scuola catalogata dalla Invalsi (o dall'Anvur)
100 garantisce che i suoi geometri (avvocati per le università) sono
al top della preparazione per cui già in partenza sarebbero
preferiti, rispetto ad altri provenienti da scuole, o università con
un giudizio, un punteggio, inferiore. Punto di forza di questa
liberalizzazione sarebbe, sostengono questi esperti, la concorrenza
che le scuole e le università sarebbero costretti a farsi per
raggiungere le vette nelle graduatorie stabilite dagli istituti di
valutazione. Infatti, si sostiene da questi versanti, con l'attuale
sistema un alunno uscito da un insegnante somaro con 100/100 ha più
possibilità di ottenere esoneri all'università, di potere lavorare e
di potere partecipare a un concorso assai maggiori di un suo collega
strizzato da un professore preparato e che l'ha licenziato con
60/100, dal momento che il titolo ha valore legale e che equipara
tutte le scuole sullo stesso piano, sia quella inefficiente e
inefficace e sia quella efficiente ed efficace.
Attenti al lupo, allora: liberalizzare il titolo di
studio, togliendogli il valore legale, è la via maestra per
sbrindellare la scuola pubblica italiana e implementare ciò che il
precedente Governo ha fatto intendere forse anche con estrema
chiarezza. L'ultima toccata con precipitosa fuga sull'armonium della
Gelmini è stata infatti le lettera inviata all'Ue, dove si parlava
di governance e di valutazione dei docenti e delle scuole per
riconoscere il loro merito e quindi premiarli con degli incentivi
pecuniari. Altra avvisaglia si rileva nella continua citazione, cara
a Valentina Aprea, di ribaltare la procedura fin qui adottata e cioè
che non sia più l'insegnante a scegliersi la scuola ma la scuola il
docente, esattamente com'è nella intenzione di chi vuole
liberalizzare il titolo di studio, affidando il suo valore
commerciale al valore della scuola. Dopo il business della sanità
privata all'orizzonte si affaccia anche il business della istruzione
in mano ai privati. Da fastidio solamente che questi processi siano
distillati poco alla volta e con velata parsimonia, in modo da
assuefare lentamente tutti, sindacati e partiti di opposizione
compresi. |