scuola

2. La strana "rivoluzione" dei prof
che viene da Trento

Antonia Romano, Elvira Zuin il Sussidiario 14.1.2012

Nel 2009 la Provincia Autonoma di Trento (PAT) ha emanato i “Piani di studio provinciali per il primo ciclo d’istruzione”. Il testo contiene chiari riferimenti ai documenti emanati dall’Unione europea. La prima parte definisce il quadro di riferimento e i profili di competenza da garantire al termine della quinta classe di scuola primaria e al termine della terza classe di scuola secondaria di primo grado. La seconda parte è costituita dalle Linee guida per la definizione del curriculum di ogni disciplina. Il significato attribuito ai termini “conoscenze”, “abilità” e “competenze” si riferisce alle definizioni contenute nell’EQF (Quadro europeo delle qualifiche).

A partire da settembre 2009 si sono avviate azioni di ricerca, che hanno coinvolto reti di scuole, singoli istituti e gruppi di area disciplinare e che avevano, inizialmente, come finalità la definizione dei Piani di studio d’istituto (L.P. del 7 agosto 2006). Il 17 giugno 2010 la PAT ha emanato il Regolamento stralcio per la definizione dei Piani di studio provinciali per il primo ciclo di istruzione. Ogni istituto nel proprio Piano di studi d’istituto deve inserire, tra tutto ciò che caratterizza l’offerta formativa, il curriculum di ogni disciplina, declinato in termini di conoscenze e abilità per lo sviluppo delle competenze previste dal Regolamento, considerando il primo ciclo d’istruzione organizzato in quattro bienni e le discipline raggruppate in cinque aree di apprendimento.

Come docenti distaccate presso l’Iprase (Istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa), abbiamo accompagnato la maggior parte dei gruppi di ricerca e abbiamo assunto i principi e i modelli suggeriti dai documenti provinciali, da quelli europei e nazionali, dai framework delle Indagini Ocse-Pisa e Invalsi, dalla letteratura scientifica relativa alle singole discipline. Tra i principi su cui si basano il Regolamento e le Linee guida, abbiamo ritenuto fondamentali per i percorsi di ricerca quelli d’integrazione del concetto di competenza in un impianto formativo organizzato per discipline, di raggruppamento delle discipline in aree di apprendimento, di suddivisione in bienni dell’intero primo ciclo. Partire dalle discipline per arrivare alle competenze chiave di cittadinanza, e dalle abilità e conoscenze per arrivare alle competenze, ha consentito di interrogarsi su come le didattiche delle discipline possano evolvere per sviluppare competenze chiave e su come sviluppare la consapevolezza, l’autonomia e la responsabilità con cui la persona competente utilizza abilità e conoscenze per trovare strategie di risoluzione di problemi complessi, nelle varie situazioni di vita, riuscendo anche a giustificare le scelte adottate.

Per non correre il rischio di lasciare i saperi in superficie, abbiamo scelto la partenza da una prospettiva disciplinare, per poi confluire in compiti di realtà o pluridisciplinari. Il concetto di area di apprendimento ha esteso la riflessione dai nuclei fondanti e dallo specifico disciplinare ai “territori di confine” nei quali una disciplina incontra l’altra, alle abilità e conoscenze multidisciplinari e trasversali, alle situazioni in cui i diversi saperi disciplinari sono utilizzati, imponendo la contaminazione tra linguaggi, strumenti, metodologie di lavoro e conoscenze. La suddivisione in bienni si è rivelata particolarmente utile per ancorare la riflessione agli stili e ai bisogni di apprendimento nelle varie età della crescita, alimentando il dialogo a livello di terzo biennio, il più problematico, che è subito apparso il più interessante e fecondo di sperimentazioni. Abbiamo ritenuto utile, per tradurre la teoria pedagogica in prassi didattica, aggiungere ai curricula Unità di lavoro (Udl) esemplari, che descrivessero le metodologie orientate allo sviluppo di competenze, corredate da prove di valutazione.

Particolarmente fecondi si sono rivelati i gruppi di docenti provenienti da ordini di scuole diversi. L’eterogeneità del gruppo, soprattutto dove erano coinvolti anche docenti del primo biennio di scuole secondarie di secondo grado, si è rivelata una risorsa per un confronto centrato non tanto sul “cosa insegnare”, quanto sul “come insegnare”. Docenti di scuola primaria e di scuola secondaria, di primo e secondo grado, hanno avuto occasione di condividere riflessioni su ogni disciplina e sugli ostacoli epistemologici delle diverse discipline. Il “guadagno formativo” dal punto di vista professionale è stato indubbiamente alto. I prodotti elaborati dai gruppi di ricerca sono il risultato di una ricerca partecipata, in cui i diversi insegnanti si sono impegnati nel lavoro, alla pari e senza riconoscimenti di gerarchie, portando ognuno il proprio contributo in termini di saperi disciplinari ed esperienziali.

L’intero percorso è stato vissuto come un’occasione per costruire la scuola “partendo dal basso”. Molte Udl sono state sperimentate e poi ridefinite alla luce degli esiti delle sperimentazioni. La costruzione di prove di valutazione, con attenzione ad aspetti di processo e di metacognizione e con la relativa progettazione e sperimentazione di strumenti, ha avviato, nel corso dei due anni di lavoro, la riflessione sulla valutazione finalizzata alla certificazione e sulla valutazione finalizzata a un apprendimento più efficace. Tutti i prodotti costruiti dalle reti di scuole sono a disposizione della comunità, per essere trasferiti, adattati e ridefiniti a seconda delle esigenze dei diversi docenti nei diversi contesti. I curricula delle discipline sono stati pensati collocandoli tra il possibile già ora e l’auspicabile, qualora si introducessero efficaci innovazioni nella didattica. Alcune proposte innovative sono già presenti nelle Udl. Se raffrontiamo i prodotti dei vari gruppi di ricerca troviamo numerosi elementi comuni.

Questo ci consente di riconoscere e ricostruire, oggi, un curriculum “Trentino” 6-16 anni che, a partire da un Regolamento e dalle Linee Guida, è stato elaborato attraverso il confronto, la discussione, la condivisione di centinaia di docenti. Noi abbiamo interagito con i gruppi di ricerca come facilitatori, ma anche come ponte tra i docenti e le istituzioni, tra i docenti e i luoghi della ricerca accademica, cercando di far emergere e valorizzare saperi, pratiche e convinzioni degli insegnanti. C’è ancora molto lavoro da fare, soprattutto perché il processo attivato e i prodotti non restino patrimonio solo dei docenti che hanno partecipato ai gruppi di lavoro, ma la strada da percorrere è già stata tracciata.

 

(1 – continua)